Gabriele Romagnoli, la Repubblica 1/7/2012, 1 luglio 2012
I ? NY
Nelcuore di tenebra della Tanzania due ragazzini scalzi corrono sollevando polvere. Macchie colorate si avvicinano definendosi: a quel punto appare chiaro che uno indossa la maglia blu del Chelsea, l’altro una t-shirt bianca con la scritta “I love Ny”, dove il verbo è rappresentato da un cuoricione rosso. L’universalità è questo: raggiungere ogni angolo di mondo e in ciascuno risultare comprensibile perché si evoca una fantasia condivisa. Ma che cosa c’entra un bambino africano con i canyon delle avenue,
Colazione da Tiffany
e quel che resta delle notti “vale tutto” al Meatpacking District? C’entra, anche se non sa neppure di che cosa sto parlando.
Un giorno lontano, proprio a New York, entrai nello studio di un tizio di origini russe che aveva fondato una strana agenzia pubblicitaria: traduceva campagne per Paesi culturalmente distanti da quello originale, spiegava come correggere spot americani nell’Europa orientale o nel mondo arabo. Ultimo suo cliente era stata la Nike, che gli aveva chiesto come tradurre altrove lo slogan “Just do it”. E questo genio aveva messo insieme un fascicolo di svariate pagine per dire: non toccatelo,
lasciatelo esattamente così, nessuno lo capisce ma tutti lo capiscono, passa il senso, l’energia, passa il messaggio.
“I love Ny”, stessa cosa: puoi non averci mai messo piede, puoi aver perfino visto pochi film ambientati a Manhattan, non sapere che cosa sia
Sex and the City,
non ha importanza:
you can love New York, anyway.
Non sei convinto? Guardati allo specchio: hai un cuore rosso sopra il cuore.
Si può vendere una città come fosse un prodotto? Certo che sì. La prova è nei fatti: è successo. Hanno venduto New York. Gli assassini del Bronx e quelli di Wall Street, le puttane di Times Square e quelle dei quartieri alti, tutti sepolti sotto un telo bianco, sul quale campeggiava la scritta “I love Ny”. Tre lettere e un simbolo, capaci di trasformare una città in uno stato della mente, in una fantasia condivisa. Tu ami New York. Non per aver passeggiato a Central Park, aver pranzato accanto a Martin Scorsese in un ristorante di Tribeca o per aver fatto jogging sul
ponte di Brooklyn. Neppure conta che tu sappia che queste cose esistono, basta che ammetta un universo parallelo capace di contenerne la possibilità. Lontano o vicino, raggiungibile o già raggiunto, non conta. Il cuore attribuiva a New York la natura di oggetto del desiderio. E quello, inevitabilmente, è unico (anche se ci culliamo nell’illusione della poligamia). Hanno provato a clonare l’idea, a declinarla in forme alternative, di cui la più tragica rimane il palindromo “Amoroma”.
Non ha mai funzionato. Né si sa se funzionerà una delle migliaia di proposte alternative (alcune sono pubblicate in queste pagine) che rispondono alla proposta del governatore di New York Andrew Cuomo di inventare un nuovo logo per mandare in pensione quello di Milton Glaser del ’76. “I love Ny” era il “Just do it” applicato alla promozione di un luogo. Non replicabile in altre forme. Avere addosso quella scritta conferiva un’aura di appartenenza. Non siamo mai stati e mai saremo “tutti americani”, ma possiamo essere “tutti newyorchesi”, giacché (ce ne hanno convinto) New York è uno stato mentale.
Va da sé che, lontano dalla polvere della Tanzania, tutta l’operazione è finalizzata a che tu ti compri un pezzetto di questo luogo-non luogo: un biglietto aereo per raggiungerlo, un libro o un film ambientati lì, dozzine di capi
d’abbigliamento che ne portano il nome, il profumo con il suo prefisso by Carolina Herrera. E ha funzionato. A volte succede l’opposto. Il caso tipico è lo slogan “Milano da bere” inventato per l’amaro Ramazzotti.
È rimasto come un adesivo sul petto della città a segnalarne una stagione di fatuità e corruzione. Cerchi l’espressione su Wikipedia et voilà: appaiono le foto di Berlusconi e Craxi in smoking a qualche festa con nani e ballerine. A quel punto, esci al casello di Melegnano. O vai a Malpensa e ti imbarchi sul primo volo per New York. Atterri, prendi il taxi, ti fermi in un negozio di souvenir e, prima che le ritirino dal commercio, ti compri e indossi una maglietta con le tre lettere e il cuore (per quanto reperibile anche su una bancarella di Milano). A quel punto ci sei dentro, ti sei messo nel punto esatto dove eri stato precollocato da un’attenta campagna e l’amore per la città che non conosci te l’hanno, innegabilmente,
venduto.