Pietro Veronese, la Repubblica 1/7/2012, 1 luglio 2012
Mali, lo sfregio degli islamisti distrutti i mausolei di Timbuctù “Non vogliamo ingerenze”– CON un gesto dettato dal fanatismo, e di suprema ottusità politica, le milizie legate ad Al Qaeda che occupano la città di Timbuctù in Mali hanno distrutto con picconi, zappe e scalpelli alcuni mausolei musulmani venerati dalla popolazione locale
Mali, lo sfregio degli islamisti distrutti i mausolei di Timbuctù “Non vogliamo ingerenze”– CON un gesto dettato dal fanatismo, e di suprema ottusità politica, le milizie legate ad Al Qaeda che occupano la città di Timbuctù in Mali hanno distrutto con picconi, zappe e scalpelli alcuni mausolei musulmani venerati dalla popolazione locale. Questa iniziativa insensata è, a quanto pare, una risposta alla decisione presa giovedì scorso dall’Unesco (su richiesta del governo maliano) di iscrivere la mitica Timbuctù nella lista del patrimonio mondiale in pericolo. Secondo le testimonianze raccolte dall’agenzia France Presse, gruppi di combattenti dell’organizzazione Ansar Dine hanno circondato i luoghi di sepoltura e di culto che sorgono alla periferia della città e al consueto grido di «Allah Akbar», Dio è grande, hanno preso ad abbatterli. Si tratta di strutture di terra battuta sorrette da intelaiature in legno, simili a delle piccole piramidi tronche, cosicché l’opera di distruzione non ha richiesto grandi sforzi né tempo. I monumenti ai sant’uomini dell’Islam presi di mira sono quelli di Sidi Mahmoud, Sidi Moctar e Alpha Moya; ma ce ne sono a Timbuctù altri tredici, insieme a tre celebri moschee. La stessa agenzia di stampa ha parlato per telefono con un portavoce degli Ansar Dine a Timbuctù, Sanda Ould Boumama, il quale ha dichiarato l’intenzione di «distruggere tutti i mausolei della città senza eccezioni». Egli ha anche confermato che si tratta di una decisione presa «in nome di Dio» in risposta alla mossa dell’Unesco. «Gli islamisti — ha confermato un testimone — hanno detto che visto che l’Unesco vuole immischiarsi nei fatti loro, mostreranno di cosa sono capaci». Per il governo legittimo l’operato degli estremisti islamici è invece un «crimine di guerra». Va tenuto presente che Timbuctù fa parte del Patrimonio mondiale Unesco dal 1988: l’iscrizione di giovedì scorso riguarda la lista dei siti minacciati. Sono ormai tre mesi che la celeberrima capitale del deserto, fondata intorno all’anno Mille e da secoli ormai ridotta a un’ombra del suo passato splendore, è nelle mani degli Ansar Dine (o Eddine, secondo la grafia adottata), cioè i “difensori della fede”, una formazione estremista islamica che in alleanza con un’altra organizzazione armata dei Tuareg ha cacciato le truppe governative da tutto il nord del Mali — stiamo parlando di una vastità desertica grande quasi tre volte l’Italia — proclamandovi una repubblica indipendente, l’Azawad. Sotto i loro stendardi neri sui quali sono iscritti dei versetti del Corano, gli Ansar Dine sono la componente più estremista di questa alleanza anche se probabilmente non la più forte. Il loro capo, Iyad Ag Ghali, ha affermato esplicitamente la sua volontà di introdurre la forma più rigorosa di legge coranica nelle zone da lui controllate, incluse la mutilazione dei ladri e la lapidazione delle adultere. Le testimonianze di fustigazioni e della messa al bando del gioco del calcio, dei videogame, della musica si vanno moltiplicando. Si tratta di provvedimenti senz’altro impopolari e ancor più sembra esserlo l’abbattimento dei mausolei di Timbuctù che secondo la credenza popolare avevano il potere di proteggere la città. Dopo la presa di Timbuctù e di Gao, il maggior centro del nord del Mali, i rapporti tra gli Ansar Dine e l’altra organizzazione — il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad — si erano fatti molto tesi. A fine maggio tuttavia i due movimenti hanno annunciato la loro imminente fusione. La situazione resta tuttavia molto fluida ed instabile. Dopotutto proprio a Timbuctù sorge il monumento che ricorda la “Fiamma della Pace”, il grande falò di armi che segnò la fine della rivolta Tuareg degli anni 90. Il più entusiasta sostenitore di quell’accordo fu Iyad Ag Ghali, l’odierno capo degli Ansar Dine: promesse scritte nella sabbia del deserto.