Fabio Bogo, la Repubblica 1/7/2012, 1 luglio 2012
I RISCHI
Perdita di assetto, scarsa visibilità, panico, affanno: è questa la catena che spesso trasforma le immersioni subacquee in una tragedia, come è successo a Palinuro. Una catena che è particolarmente frequente quando si scende ad esplorare le grotte, un ambiente straordinariamente affascinante ma anche più pericoloso del normale, a causa degli spazi a volte strettissimi in cui si è costretti a muoversi, della semioscurità e dei sedimenti di sabbia e fango che, spinti dalle correnti o alzati dalle pinneggiate dei subacquei, diventano un ennesimo muro che fa perdere orientamento e lucidità, e conduce a comportamenti letali. Ecco i quattro killer che i subacquei temono di più:
IL PANICO è il primo vero killer per i subacquei. La percezione di un pericolo, il sentirsi intrappolati, l’accorgersi improvvisamente che la riserva d’aria sta finendo prima del previsto scatenano reazioni che — se non sono controllate — possono portare a comportamenti irrazionali che alla fine diventano assolutamente letali. Il subacqueo in preda al panico è portato istintivamente ad uscire dall’acqua a qualunque costo e con la massima velocità possibile, con movimenti spesso frenetici. Non è raro che un erogatore di riserva non agganciato al jacket e impigliato in un anfratto della parete venga strappato via con violenza nel tentativo di liberarsi, ed è frequente il caso di sub che battono violentemente il capo contro le pareti superiori delle grotte o dei cunicoli.
L’AFFANNO è la prima e più grave conseguenza del panico. In acqua la sicurezza e la sopravvivenza sono legate alla disponibilità dell’aria compressa contenuta nella bombola. Un subacqueo in preda al panico si muove in maniera frenetica e disordinata, aumentando esponenzialmente il consumo della sua riserva. E siccome la quantità di aria è costantemente monitorata dal manome-tro, un’occhiata alla lancetta in picchiata è a sua volta causa di ulteriore panico, in una spirale di tragica ineluttabilità che può diventare fatale. L’affanno e la respirazione esageratamente accelerata possono portare ad uno stato di grande stanchezza fisica e successivamente ad un principio di anossia, mentre lo sforzo può causare la sincope, l’arresto cardiaco e la morte per annegamento.
L’ASSETTO è la cosa più importante per un subacqueo e decisiva quando ci si immerge in ambienti chiusi, come grotte o relitti di navi. In acqua si sta in posizione neutra: dosando i pesi-zavorra e l’aria contenuta nel jacket il corpo deve galleggiare senza affondare ulteriormente né essere spinto verso la superficie. Solo così i movimenti potranno essere naturali e rilassati, si potrà scivolare in un tunnel senza che l’attrezzatura resti impigliata nelle pareti rocciose soprastanti. La perdita di assetto è la prima componente che può scatenare il panico e che fa sentire il subacqueo intrappolato in profondità.
VISIBILITÀ e correnti sono tra i più grandi nemici dei subacquei. In genere si immagina che le immersioni avvengano in paradisi tropicali con le acque immobili e cristalline, ma sotto la superficie le cose sono diverse. Spesso la visibilità è influenzata da plancton, depositi torbidi tipo il fango scaricato dai fiumi, o presenza di sospensione causata dall’aumento della temperatura: in grotta il tutto è complicato dal buio. Correnti o movimenti impropri sollevano da terra piccole tempeste di sabbia o fango: la visibilità di colpo cala a zero, di fronte non ci si trova più l’uscita ma un muro, si perde l’orientamento.