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 2012  luglio 01 Domenica calendario

MONTI: ORA L’ITALIA È PIÙ SICURA


Appena rientrato in Italia dal vertice di Bruxelles Mario Monti ha voluto telefonare ancora una volta a Giorgio Napolitano, con cui si era tenuto in contatto costante dal summit europeo, per commentare la stampa internazionale e il successo dell’Italia. Poche parole, un appuntamento a breve al Quirinale e una battuta conclusiva: «In fondo era il suo compleanno, signor Presidente. Non c’era modo migliore per farle gli auguri. E mi pare che lei abbia gradito».
L’asse con Napolitano è la sponda più forte a cui il presidente del Consiglio si è appoggiato nei giorni più difficili, prima del vertice, quando la maggioranza anomala che sostiene il governo sembrava sul punto di spezzarsi, gli avvoltoi erano già in volo attorno a Palazzo Chigi e la destra coltivava la tentazione di scommettere sul tanto peggio, annegando il caos del Pdl nel caos del Paese.
Napolitano si è mosso, ricordando a tutti che si vota nella primavera del 2013, non prima. È quello che ha ripetuto a Monti mentre il Premier partiva per Bruxelles, invitandolo ad andare avanti con fiducia, giocandosi tutte le sue carte. «Possiamo permettercelo — si sono detti i due presidenti in una sorta di patto repubblicano — perchè i famosi compiti a casa li abbiamo fatti. Dunque chiediamo per l’Italia lo stesso rispetto che noi portiamo verso altri Paesi».
Adesso quel risultato è raggiunto. Il bilancio
che Monti ha fatto col Capo dello Stato al ritorno è prudente, perchè le difficoltà restano molto forti, ma sicuramente positivo, e non solo per l’Italia. «Per il nostro Paese c’è un cammino più sicuro: ma insieme a questo, c’è una nuova speranza di Europa, e forse sta qui il risultato più importante», ha sottolineato il Premier analizzando col Quirinale, in particolare, i commenti dei media americani.
Le due cose per Monti vanno insieme. Non ha mai pensato, nei due giorni e nella lunga notte di Bruxelles, di difendere soltanto gli interessi italiani, convinto com’è che quando Italia e Spagna finiscono sotto attacco, l’attacco è all’Europa nel suo insieme. I due Presidenti non concordano con certe interpretazioni belliche secondo cui è «il Sud» d’Europa che ha piegato la Germania. Anzi, mai come in questo momento Monti e Napolitano — ognuno nel suo ruolo — intendono «dare alla Merkel quel che è della Merkel», nella convinzione che il rigore non è certo un’invenzione ideologica della cancelleria: che anzi in questi mesi ha avuto il merito di indicare ai Paesi più deboli una ferita
che fingevano di non vedere e di non sentire. Sia il Quirinale che Palazzo Chigi si sono preoccupati nella fase più acuta della crisi di non alimentare il sentimento antitedesco che pure cresce in Europa e anche nel nostro Paese. «Un’interlocuzione vera, sincera, con la Merkel è indispensabile », ha sempre ripetuto Monti ai suoi partner più impazienti. E oggi al Capo del governo non sfugge la necessità di gestire l’«infelicità» politica del Cancelliere, sconfitta a Bruxelles (anche se a Roma nessuno canta vittoria), sotto attacco in Germania, per la prima volta dall’inizio della crisi costretta a fare i conti con un’imprevista debolezza in Europa. Per questo nei due palazzi romani sono state lette con preoccupazione certe «manife-
stazioni scomposte» del mondo berlusconiano contro il Cancelliere.
Eppure la partita di Bruxelles è stata molto complicata, «anzi, tutta in salita, fin dall’inizio. Come scalare una montagna». Se si prova a ricostruire il diario dei contatti tra il Premier e Napolitano, durante il summit, si scopre che non c’era alcuna bozza d’intesa con la Germania. Monti non aveva nemmeno preparato la mossa del veto sulla Tobin tax e sul pacchetto crescita se non ci fosse stato il via libera al salva-spread. Lo ha deciso direttamente a Bruxelles, la sera prima di affrontare il pacchetto sviluppo. Ne ha informato per primo Van Rompuy, poi Hollande, quindi Rajoy e il mattino presto Angela Merkel. «Noi — ha spiegato ai suoi interlocutori il
Presidente del Consiglio italiano — siamo forse i più interessati a queste misure di crescita. Ma l’Europa ha anche altre urgenze, che io qui rappresento. E senza una risposta io sono costretto a mettere una riserva di attesa sul pacchetto sviluppo, e non posso dare il mio accordo alla tassa sulle transazioni finanziarie».
Monti ha riferito al Quirinale che per tre ore è stato attaccato da molti primi ministri, che temevano di tornare a casa senza risultati per l’impuntatura italiana. Non ha cambiato posizione. A qualcuno è sembrato testardo. A qualche alto dirigente tedesco delle istituzioni comunitarie, è sembrato addirittura improprio che l’Italia, nelle sue condizioni, si permettesse di bloccare una decisione europea.
In qualche modo, una mano a Monti l’ha data Barack Obama, che ovviamente non era a Bruxelles, ma che sostiene la linea del Premier italiano. Lo ha raccontato lo stesso Monti a Napolitano: «Quando ti trovi per due o tre ore uno schieramento di 24 o 25 leader europei che ti ripetono di non mettere questo blocco, di lasciare che l’Europa decida, di togliere il veto, la resistenza è quasi più psicologica che politica. E a questo punto sapere che il presidente degli Stati Uniti sostiene questa politica certo per sue legittime convenienze elettorali, ma anche in nome dell’interesse generale, bene, questo è un aiuto psicologico a tener duro e andare avanti».
Un Monti negoziatore, dunque, un tecnico
che tratta per ore con politici professionisti. Ma nei due palazzi romani il negoziato è stato preparato con una lunga tessitura, che nel caso di Monti è cominciata inconsapevolmente addirittura dagli anni di commissario a Bruxelles, quando ha iniziato a svolgere la sua rete di relazioni, e soprattutto ad acquisire il metodo e la prassi del quadro europeo di vertice, abituato ai negoziati internazionali. Naturalmente nulla sarebbe stato possibile senza il recupero di credibilità del Paese negli ultimi mesi, dopo il disastro precedente. «Oggi si capisce che la credibilità è la prima pietra su cui costruire — conclude Monti il suo resoconto per il Colle —. E soprattutto si tocca con mano che la credibilità non dà lustro soltanto a chi la illustra pro tempore, ma serve al Paese, a tutto il Paese, perchè gli consente concretamente di ottenere risultati».
Monti vorrebbe parlare di tutto questo agli italiani, e chiederà sul punto consiglio a Napolitano. Vorrebbe dire che i sacrifici non sono soltanto un tampone, ma servono a costruire qualcosa, e quel che si costruisce nella fatica e nella responsabilità viene apprezzato dalla comunità internazionale. Dunque il Paese può avere rispetto per se stesso.
È quel rispetto che alla fine è arrivato anche dagli avversari, dopo una stretta di mano con l’«alleato» Rajoy e un arrivederci a Kiev per la finale degli europei di calcio, dopo un saluto riconoscente del Premier ad Hollande, che ha capito lo spirito della proposta italiana e l’ha sostenuta
fino in fondo. Ma anche il saluto con Angela Merkel è stato cordiale, Monti ha assicurato Napolitano che la «simpatia reciproca» è sopravvissuta al vertice. E Cameron, il primo ministro inglese, ha salutato così Monti, insieme col premier danese: «Secondo noi hai tirato un po’ troppo la corda. Ma il risultato è buono, anzi è migliore: e questo è ciò che conta».