Daria Galateria, la Repubblica 30/6/2012, 30 giugno 2012
VISITE A DOMICILIO E GRANDI MAGAZZINI: LE SPESE DEL PASSATO
“Ah, chi vo’ belli spingule francese!”, grida il venditore itinerante di spille da balia nella canzone di Salvatore di Giacomo. Il mestiere, che consentiva di entrare nelle case di donne sole, ha risvolti piccanti: «Mme chiamma na figliola: ‘Trase, trase, /quanta spíngule daje pe’ nu turnese?’», e il venditore, che è “viziosetto”, subito si “ammuccaja”, si insinua all’interno. Riporta del resto il duca di Saint-Simon che il principe di Conti, cugino del re Sole, era avarissimo, ma per raggiungere la stanza delle amanti era capace di qualsiasi stravaganza: comperare l’intero lato di una strada per scavarsi un passaggio, oppure, appunto, mascherarsi da
“revendeuse à la toilette”,
le dettaglianti che andavano a proporre alle dame, durante il trucco, mercanzie alla moda - sete, merletti, fibbie, tutto il mirabile artigianato del lusso. Era il vecchio regime; ancora a Robespierre andavano a proporre in casa dei campioni in scatole spruzzate di bucce d’arancia e mandarino: il giacobino adorava gli agrumi. “Che ne pensate di questa passamaneria a punto Valenciennes?” chiese l’Incorruttibile a una cittadina che chiedeva la grazia per il fratello incarcerato: “il vostro parente usava il punto Inghilterra?”; quell’imperfetto terrorizzò la ragazza.
Bambole vestite alla moda, mobili e stivali miniaturizzati viaggiavano a testimoniare nel mondo, ai benestanti, l’abilità degli artigiani. Immense fiere temporanee - a Milano, Lione, Lubecca, Chester - elargivano a contadini e borghesi di città merci e divertimento: giocolieri e imbonitori, balsami miracolosi e, come nel melodramma di Donizetti, vino di Bordeaux spacciato per
Elisir d’amore.
Vennero poi l’inurbamento, i trasporti, e così i grandi magazzini. L’epopea delle botteghe, e dei
magasins de nouveautésdai
nomi romanzeschi (
L’Ebreo errante, La maschera di ferro)
schiacciati dal grande commercio è cantata da Zola nel romanzo
Au Bonheur des Dames.
La massa delle merci andò a incrociarsi con la massa dei compratori: veri templi dell’abbondanza dedicati alla civetteria femminile, ricchi di cupole, specchi e dorature, i grandi magazzini ospitavano, a metà Ottocento, quasi tutti i dipendenti. La moralità, parente stretta dello zelo sul lavoro, era ferrea. Per assumere come impiegato ausiliario, a sedici anni, Jacques Prévert, l’ispettore del
Bon Marché
andò a informarsi alla sua scuola; e comunque nel 1916 lo licenziò perché il poeta riaccompagnava
a casa, la sera, una commessa carina. Lei gli raccontava di un collega del reparto orologeria, congedato per “costumi contro natura”, che si era vendicato caricando tutti i carillon insieme, e facendo fuggire la clientela, che aveva scambiato quel trillo formidabile per un allarme.