Arturo Carlo Quintavalle, la Lettura (Corriere della Sera) 1/7/2012, 1 luglio 2012
IMMAGINI DALLE PERIFERIE DELLA CHIESA
S ingolare storia, quella della fotografia nelle raccolte del papato: finora inedita, finora mai indagata; la illustra Sandra S. Phillips con un volume sulla collezione delle fotografie della Biblioteca vaticana. Racconta dunque — questo testo affascinante (The Papal Collection of Photographs in the Vatican Library, Biblioteca apostolica vaticana, pagine 282, 84 in promozione per tutto il 2012, poi 120) — una vicenda intrigante, quella dei Papi e del loro rapporto con la fotografia, un rapporto strano e, per due generazioni — una sessantina d’anni dalla breccia di porta Pia al Concordato (1870-1929) — un rapporto condizionato dal rifiuto del dialogo con lo Stato unitario. Da qui l’isolamento — con i Pontefici, a cominciare da Pio IX, che ricevono, dal mondo intero, migliaia di album di immagini che raccontano quello che la Chiesa sparsa nei diversi continenti, dall’America Latina all’India, dall’Africa all’Europa, vuole far conoscere al Papa.
Certo, le immagini di Pio IX sono anche quelle dei ritratti ufficiali, a cominciare da un’incisione ricavata da un dagherrotipo, che risale forse alla metà del XIX secolo; ma le immagini più note sono quelle stampate poi anche su carta da visite, dunque in piccolo formato: una su tutte, del 1877, scattata dallo studio romano Angiolini e Tumminello, mostra il Papa ormai anziano — morirà nel 1877 — seduto pensoso su un’alta sedia.
Dalle migliaia di album Sandra S. Phillips ha scelto alcune immagini rappresentative, ma ogni album è analiticamente descritto nella parte catalogica del volume. Così ecco il «Campo delle truppe pontificie a Rocca di Papa» (1869) con le milizie schierate a formare la scritta «W Pio IX» (una recente campagna pubblicitaria di un gestore telefonico non ha nulla da invidiare a questa foto); e ancora le immagini della fortezza di Civitavecchia (1869) appena un anno prima della sua caduta. Lo Stato della Chiesa sta per finire e il potere dei Papi è destinato a diventare altro, uno spazio limitato, il Vaticano, dentro una città diversa, la Roma della rapida edificazione delle strutture dell’Italia unita. Così la Roma paesana e pre-industriale, quella del Grand Tour, quella delle rovine e dei monumenti, scomparirà presto sotto il cemento.
Ma il papato dialoga con il mondo: ecco allora le scuole del Minnesota (1887) che mandano le foto di gruppo degli indiani Chippeway, e, sempre dagli Stati Uniti, una bella foto del ponte di ferro sulle cascate del Niagara.
Altri album illustrano i popoli andini e colpisce un confronto fra Araucani «indigeni» e «civilizzati»: siamo davanti a una rappresentazione di quello che vuol dire, appunto, nell’ottica occidentale, «civiltà»; da una parte gli indios accovacciati davanti a una capanna, oppure seminudi e armati di lance, coltelli, fucili; dall’altra in posa, sempre in gruppo ma con vestiti, cappelli scuri, larghi poncho, il tutto però contro uno sfondo falso, la foresta dipinta di uno studio fotografico.
La Chiesa si occupa anche del dolore, di quelli che diremmo oggi gli esclusi; ecco allora foto impressionanti, ad esempio quelle di un gruppo di ragazze e ragazzi disabili degne di Diane Arbus. Ma ecco, più avanti nel tempo, altre immagini, sempre quelle che il clero, o i fedeli, mandano a Roma: il Cristo del Monte Corcovado a Rio de Janeiro ancora stretto dai ponteggi; le foto (1905-08) delle rovine del terremoto di Calabria.
C’è un album dedicato alla spedizione di Nobile al Polo Nord, con le immagini del dirigibile (1928); ma colpisce un’altra foto, quella della folla a San Pietro, una marea di ombrelli neri, il 12 febbraio 1929. Fra tutti gli album resta impresso quello delle rovine della guerra: le foto terribili (1945-1946) delle macerie di Montecassino e delle altre chiese distrutte. Insomma una storia del mondo che si racconta al Pontefice, una storia che merita di essere indagata anche sul piano sociologico.