Marco Imarisio, la Lettura (Corriere della Sera) 1/7/2012, 1 luglio 2012
TAV, LO SCONTRO È ANCHE TRA I LIBRI DOCUMENTATI, FAZIOSI E INCONCILIABILI
D opo tanto parlare e scrivere sul Treno ad alta velocità Torino-Lione e sulla Val Susa, ormai va bene anche il terzo principio della dinamica. A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Anche così può essere spiegato quel che accade da anni in questa estrema periferia boschiva d’Italia, teatro di uno scontro che dalla scorsa estate è diventato violento non solo nei toni ma soprattutto nelle pratiche di alcuni manifestanti. Un conflitto a bassa intensità con le forze dell’ordine che presidiano i cantieri. Un fuoco perpetuo sotto la cenere — sempre pronto a ravvivarsi, come dimostrano le scaramucce di questi giorni — dove ognuno ci vede quel che desidera, e che ormai per alcuni trascende il semplice concetto di favorevole o contrario al Tav.
«Ce lo chiede l’Europa». «Non possiamo rimanere tagliati fuori». «Crea sviluppo e lavoro». Dopo tante formule vuote, giustamente oscurate da una copiosa messe di saggi No Tav che, seppur citando studi di parte, almeno elencavano numeri e cifre, un mese fa è uscito il primo libro di sponda opposta.
Tav sì riempie un vuoto. Per la prima volta, motiva le ragioni a favore della nuova ferrovia attraverso l’analisi tecnica dei volumi del traffico merci, dell’impatto ambientale. Prendendo di petto, senza più slogan e frasi fatte, con una prosa scorrevole e finalmente con tabelle, cifre, analisi autorevoli, ognuna delle questioni sollevate dal fronte avverso. Due parole sugli autori. Paolo Foietta è il tecnico della coppia, direttore della Provincia di Torino, ente favorevole all’opera, membro del contestato Osservatorio sulla Torino-Lione. Stefano Esposito, deputato piemontese del Pd, è uno strano tipo di politico. Uno verace, che sgomita, attacca. Al netto di qualche uscita eccessiva, ha sempre preso di petto quel che accadeva in Val Susa, denunciando le pratiche violente e il silenzio. In cambio ha avuto minacce, intimidazioni.
Come si addice a un libro militante, Tav sì è scaricabile gratuitamente dall’omonimo sito (www.tavsi.it). Sorpresa: settemila copie. Azione-reazione, a stretto giro di posta. Non solo un treno... la democrazia alla prova della Val Susa, scritto dal sociologo Marco Revelli e dal magistrato in pensione Livio Pepino, ha anch’esso il merito di essere schierato, senza fingimenti.
A ognuno il suo. Revelli compie un lungo viaggio sulle ragioni del no all’opera. «Il centro è cieco, la verità si vede dai margini». Il male oscuro della democrazia contemporanea viene identificato nella sua radicale separazione della quotidianità vissuta: «L’aspetto da other country del paesaggio politico, assunto come "straniero" o comunque estraneo nella sua incomprensibilità e impraticabilità da parte di chi sta all’altro capo della catena sociale».
Applicata in dettaglio alla Val Susa, per Revelli esempio di una nuova democrazia partecipata dal basso, questa tesi generale riflette la radicata sfiducia che il movimento No Tav nutre verso le istituzioni. Non si fida, ha imparato a non farlo. Con qualche buona ragione, come ammettono anche Esposito-Foietta: almeno fino al 2006, anno di nascita di quell’Osservatorio aperto ai Comuni della valle sul cui lavoro Non solo un treno... sorvola del tutto, la gestione dei rapporti con le popolazioni locali è stata «disastrosa», creando un grumo perpetuo di risentimento.
Other country, un altro Paese. È la logica da maso chiuso che si respira in Val Susa. Noi da soli. Nella parte più tecnica, Revelli cita spesso il lavoro di quel gruppo di docenti e studiosi che in questi anni hanno fornito sponde scientifiche al movimento No Tav. Documenti e pareri autorevoli ma opinabili, che andrebbero messi a confronto con quelli della controparte. Appunto. Sarebbe bello se i quattro autori si trovassero per discuterne. Non accadrà.
Ormai è diventata una crociata. La concessione della buona fede a chi sta in mezzo non è prevista. Non sfuggono alla regola della delegittimazione reciproca neppure Esposito-Foietta, quando scrivono di «esperti No Tav», dove le virgolette hanno valore denigratorio, e di una sindrome Nimby che appare riduttiva per definire i contorni del movimento contro il Tav. Neppure Revelli fa concessioni. La sua tesi si fonda sull’assunto non dichiarato di una totale disonestà della controparte, sia essa lo Stato, l’Unione Europea, i partiti, le aziende che lavorano al progetto. Ne vengono fuori un’Italia e una Europa descritti come il posto più tetro dell’universo. O siamo tutti farabutti, oppure c’è qualcosa che non funziona in questa narrazione.
Il discrimine tra i due libri sta proprio nel diverso racconto della violenza che ha segnato quest’ultima stagione di lotte. I due autori di Tav sì sono sulle posizioni della Procura di Torino, che lo scorso febbraio ha arrestato 26 militanti per gli attacchi alle forze dell’ordine avvenuti il 3 luglio 2011 in Val Susa.
Pepino, ex presidente di Magistratura democratica, rifiuta la facile via d’uscita dei mille «alieni» infiltrati. Il movimento No Tav ha forte coesione e altrettanta capacità di autodeterminazione. Non deve «isolare i violenti», altro slogan senza senso. Piuttosto, «deve fare i conti con le ragioni interne ed esterne» che provocano atti di violenza. E lo stesso dovrebbe fare la buona politica, senza delegare il problema a quella che Pepino definisce «repressione».
Ma le parole sono pietre, lo scrive il suo coautore citando Carlo Levi. Nell’affrontare la parte giudiziaria, Pepino si produce in un frontale con i magistrati che indagano sul Tav. E così la procura di Torino diventa un ricettacolo di persecutori a senso unico. «Ipotizzare un sospetto di parzialità non è certo fuor d’opera...». Accusa il tribunale di «creare il mostro». A proposito degli scontri definisce «teorema» il riconoscimento del giudice di quelle comuni intenzioni del movimento che lui stesso ha teorizzato. Per finire con un classico, «l’evidente accanimento accusatorio» contro i No Tav da parte dei suoi colleghi. Qualcosa più di una critica legittima. Parole come pietre.
Alla fine si torna al punto di partenza. All’elisione degli aspetti più scabrosi, quelli che confliggono con la propria visione ideale della realtà. Non solo un treno... contiene idee interessanti e colte. Ma è quasi costretto, per sua stessa natura, a sottovalutare, e parecchio, due o trecento cose molto cattive avvenute in Val Susa. Come si concilia la democrazia dal basso con le pietre, quelle vere, che piovono dall’alto? Per quanto semplice, la domanda resta ancora senza risposta.