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 2012  luglio 01 Domenica calendario

Lo sbadato crea gli occhiali che rinfrescano la memoria - Forse l’unica difficoltà, al­meno agli ini­zi della tera­pia, è ricordarsi do­ve si sono riposti

Lo sbadato crea gli occhiali che rinfrescano la memoria - Forse l’unica difficoltà, al­meno agli ini­zi della tera­pia, è ricordarsi do­ve si sono riposti. Per il resto, una vol­ta trovati e indossa­ti, pare proprio che gli occhiali della memoria inventati dal professor Francesco Ferro Milone siano in grado di rinfrescare i ricordi agli sbadati cronici. Niente di miracoloso. Ma nei sog­getti con deficit cognitivi lievi si nota un miglioramento della memoria di breve termine, detta anche memoria di lavoro. «Non ci capita a volte di citare persone illuminate e idee luminose?», s’interroga Ferro Milone, senza rendersi conto che sta parlando di sé. «C’è qualcosa di vero in queste espressioni, basta leggere la pri­ma riga della Bibbia: “E Iddio disse: sia la luce, e la luce fu”. La luce è al centro della nostra esistenza. Regola alcune funzioni essenziali del cervello, per esempio la me­moria, e con essa il pensiero, ma anche la vita vegetativa». L’invenzione del professor Ferro Milo­ne si chiama Mnemosline. Si tratta di un paio di occhiali da sci, all’apparenza. So­lo che, al posto delle lenti, celano nel tela­io di plastica un microprocessore capace di emettere impulsi luminosi che arriva­no direttamente al cervello. All’esterno un pulsante per accenderli, all’interno due forellini in corrispondenza delle pu­pille, nei forellini due led rossi che lam­peggiano a frequenze prestabilite. Si in­dossano a palpebre chiuse e comincia la stimolazione luminosa intermittente che combatte il decadimento delle cellu­le neuronali. Dieci minuti di trattamento, due o tre volte al giorno, e il gioco è fatto. Ma è un gioco che deve durare per tutta la vita. Altrimenti dopo qualche settimana la memoria torna ad arrugginirsi. Torinese, 86 anni a fine agosto, laurea­to in medicina nel 1950, neurologo e neu­rochirurgo, figlio del pittore Cesare Ferro Milone che fu presidente e direttore del­l’Accademia Albertina e artista di corte presso il re del Siam prima che nascesse la Thailandia,l’inventore degli occhiali del­la me­moria è un esperto di elettroencefa­lografia che scandaglia il cervello umano da oltre mezzo secolo: «Fino agli anni Ses­santa lo aprivamo. Agli epilettici, nel ten­tativo di guarirli, veniva asportato mezzo lobo tem­porale ». Nel 1961 fu il pri­mo a eseguire le stereo elet­troencefalografie: «Si prati­cavano col trapano alcuni fori nella calotta cranica per poter inserire nell’en­cefalo gli elettrodi che regi­stravano i tracciati in pro­fondità ». Dopo aver lavorato alle Molinette di Torino, al San­ta Maria della Scala di Sie­na e al Santa Chiara di Pisa, nel 1970 il professor Ferro Milone appro­dò all’ospedale San Bortolo di Vicenza, do­v’è rimasto primario di neurologia fino al momento d’andare in pensione. Qui co­nobbe il collega Adolfo Porro, primario di geriatria e fondatore dell’associazione Pro Senectute, una Onlus che oggi conta una cinquantina di sedi in Italia e assiste gli anziani in difficoltà. «Un inventore an­che lui: il telesoccorso e il telecontrollo so­no creature sue. Purtroppo è mancato nel 2008». Dalla collaborazione tra Ferro Mi­lone e Porro è nato nel 2000 il progetto Mnemosline, che ha coinvolto fin da subi­to l’attuale presidente della Pro Senectu­te, Francesco Binda, per 25 anni aiuto di Porro al San Bortolo e poi primario di ge­riatria all’ospedale di Schio. «Siamo parti­ti da una constatazione elementare: tutti badano al controllo periodico della pres­sione, della vista, del cuore, del sangue, dei polmoni, ma nessuno si preoccupa dello stato della propria memoria. Eppu­re, superate le 60 primavere, un terzo del­la popolazione comincia a perdere colpi ». Ferro Milone e Porro dal 2002 al 2007 hanno effettuato uno screening circa l’in­cidenza dei deficit cognitivi su un campio­ne di 2.000 anziani tra i 60 e i 90 anni nella provincia di Vicenza. Mediante due test specifici, quelli di Rivermead e Beck per la valutazione della memoria e della de­pressione, è stato selezionato un gruppo di 600 pazienti con deficit rilevanti, poi sottoposti a encefalogramma per capire se il problema era patologico o fisiologi­co. «Fra questi, ne abbiamo scelti 120 che avevano un disturbo cognitivo iniziale: 60 non sono stati curati e 60 si sono sottoposti alla tera­pia a base di stimolazione luminosa intermittente, eseguita rigorosamente in ambulatorio utilizzando gli occhiali della memoria due volte al giorno per 20 minuti. Dopo sei mesi, co­me att­estano due tesi di lau­rea discusse presso la facol­tà di psicologia dell’Univer­sità di Padova con relatrice la professoressa Francesca Pazzaglia, i soggetti non trattati con Mnemosline hanno subìto un progressivo peggioramento, mentre nel 60 per cento dei pazienti trattati è stato ri­scontrato un miglioramento della memo­ria. Il restante 40 per cento è rimasto stabi­le. Un dato altrettanto importante per confermare la bontà del metodo». Com’è arrivato alla sua invenzione? «Partendo dall’elettroencefalogramma, in sigla Eeg. Ma devo fare una premessa. Già Edgar Douglas Adrian, premio Nobel per la medicina, nel 1944 aveva compreso come la luce fosse lo stimolo dominante per il cervello. Essa parte dalla retina del­l’occhio e, trasformata in segnale neuroe­lettrico, raggiunge nell’encefalo il nucleo sovrachiasmatico, che è grande quanto una capocchia di spillo. Qui la luce si sdop­pia in due segnali: uno va al talamo, e da lì alla corteccia cerebrale, dove prende origi­ne la memoria, mentre l’altro va all’ipota­lamo, dove regola funzioni essenziali, tra cui l’orologio biologico e il ciclo riprodutti­vo. Ora,nell’effettuare gli Eeg,avevo nota­to che il ritmo alfa, compreso fra gli 8 e i 13 hertz, arrivava a raddoppiarsi o addirittu­ra a quadruplicarsi in presenza di una sti­molazione luminosa intermittente». Che cos’è il ritmo alfa? «Il ritmo di base delle onde cerebrali. Uno studio dell’Università di Oxford ha messo in evidenza che la stimolazione a 10 hertz provoca negli anziani un miglioramento della memoria nel breve termine. La Scuola neurologica di Vienna ha dimo­strato che fra gli studenti in visita a una mostra di Rembrandt quelli più preparati avevano una frequenza media alfa di 11,9 hertz, contro i 10,2 hertz dei loro compa­gni meno istruiti. E siccome il ritmo alfa ha un’importanza fondamentale nell’ar­chiviazione dei ricordi, mi sono chiesto: se lo stimolassi tutti i giorni, quali effetti conseguirei sulla memoria?». Di qui l’idea degli occhiali con le luci­ne intermittenti. «Il prototipo,costruito in casa,faceva ride­re. Un giorno ho accompagnato mia mo­glie dal dermatologo perché doveva to­gliersi un neo. Il collega ha usato un bisturi elettrico che non faceva fumo né odore di carne bruciata. Mi sono incuriosito e ho chiesto informazioni. Così ho conosciuto l’ingegner Gianantonio Pozzato, titolare della Telea,l’azienda di Sandrigo che pro­duce il bisturi. Gli ho chiesto: sarebbe in grado di ingegnerizzare questi occhiali?». C’è riuscito. «Ma ancora non bastava. Serviva un’im­presa disposta a produrli e a distribuirli su scala industriale.L’ho trovata nella Ka­los di Vicenza, che ora ha ottenuto dal mi­nistero della Salute la registrazione degli occhiali come dispositivo medicale e ha cominciato a commercializzarli. L’inve­stimento è stato contenuto, 350.000 euro, perché è un progetto nato dal volontaria­to: io, Porro e Binda, come tutti quelli che vi hanno partecipato sul piano scientifi­co, non abbiamo voluto essere pagati». Presumo tuttavia che la sua scoperta non venga regalata. «L’occhiale tarato è concesso in comoda­to d’uso, con un pacchetto completo di vi­sita medica presso i Centri della memo­ria, test ed Eeg». Tarato in che senso? «A richiesta, possiamo monitorare le on­de­cerebrali alfa grazie a un casco e a un di­spositivo di registrazione Eeg, personaliz­zando gli occhiali. Ma essi funzionano a prescindere, tant’è vero che presto si po­tranno acquistare liberamente nelle far­macie a 449 euro». Funzionano sempre? «Non siamo tutti uguali. Diciamo che su oltre due terzi della popolazione funzio­nano nel modo che le ho illustrato». Però non vi sono riscontri su una po­tenziale dannosità. «Per precauzione si devono astenere dal­la terapia solo coloro che soffrono di epilessia o che hanno avuto anche un solo caso di questa malattia nel­la storia familiare. Per il re­sto, non c’è alcun rischio». E se si aprono gli occhi durante la terapia? «Nessun danno. Abbiamo ottenuto via libera dagli oculisti. Non ci sono con­troindicazioni neppure per chi soffre di retinite pig­mentosa o maculopatia. Si potrebbe fare la terapia an­che a occhi aperti. Ma con le palpebre ab­bassate è molto meno fastidiosa e inoltre il ritmo alfa compare spontaneamente». I primi effetti benefici sulla memoria dopo quanto tempo si notano? «In base agli studi che ho condotto col pro­fessor Jonathan Williams, del dipartimen­to di farmacologia dell’Università di Oxford, il miglioramento comincia fin da subito. Però diventa stabile nel giro di due­sei mesi. Dopodiché la terapia va comun­que continuata con regolarità. Del resto accade la stessa cosa per i farmaci anticoli­nergici, come il donepezil, che provocano una riduzione temporanea del deteriora­mento cognitivo nel morbo di Alzheimer. Con l’aggravante che queste medicine, a differenza degli occhiali della memoria, hanno effetti collaterali e costo elevato». Che cosa danneggia la memoria? «Un complesso di fattori che comprendo­no età, alimentazione, stile di vita, stress, apnee ostruttive del sonno, malattie neu­rodegenerative ». E che cosa la rinforza? «Imparare a memoria aumenta la memo­ria. Ma oggidì non s’imparano a memoria neppure i numeri del telefono, figurarsi le poesie di Giacomo Leopardi». I deficit di memoria sono in aumento? «Sì, perché abbiamo affidato la nostra me­moria alle macchine». Proprio perché cellulari e computer sono sempre più ricchi di memoria, e ci siamo abituati a consegnare a essi tutti i nostri dati, i nostri scritti, persi­no i nostri ricordi, non è mai assalito dal dubbio che il cervello delle mac­chine finirà per avere il sopravvento sulla volontà dell’uomo? «Eccome. Col professor Tullio Minelli, un matematico che lavora nel dipartimento di fisica Galileo Galilei dell’Università di Padova, abbiamo studiato per due anni i modelli matematici nella sincronizzazio­ne dei neuroni. Lei ne fa interagire dieci fra di loro casualmente e non succede niente. A quel punto manda un segnale periodico e i neuroni si allineano. È lo stes­so fenomeno dei dieci pendoli che oscilla­no in modo diverso in una stessa stanza. Dopo un po’,non si sa perché,il loro moto diventa uniforme». Devo farle la domanda che ho posto a molti suoi colleghi: in percentuale, quanto conosce la scienza del cervello? (Ci pensa). «Il 15 per cento». Il più ottimista mi ha risposto: «Il 20 per cento». Allora come fate a dichia­rare la morte di un organo che vi è per l’80-85 per cento ignoto? «Purtroppo ero uno dei medici che stacca­vano la spina, che dovevano dichiarare la morte cerebrale. Madre natura ha fatto in modo che io respiri da solo. Se non riesco più a respirare da solo, significa che sono morto. Ma per dimostrare che sono mor­to dovrei rimanere staccato dal respirato­re per 40 minuti. Però se stacchiamo dal respiratore il paziente in morte cerebra­le, poi non si possono più usare i suoi orga­ni per i trapianti. È un rebus, lo ammetto». Come mai gli anziani hanno memoria dei fatti lontani nel tempo mentre si di­menticano le cose di mezz’ora prima? «Perché il passaggio dalla memoria di bre­ve ter­mine a quella di lungo termine com­porta una sintesi proteica che nell’anzia­no è meno facile. Per cui le proteine che si sono create nelle sinapsi tanti anni fa ri­mangono, mentre le nuove proteine si­naptiche si fissano con più difficoltà». Ma quanto posto occupa la memoria nel disco fisso chiamato cervello? «La memoria è dinamica, non statica, e tutto il cervello concorre a configurarla, a rimaneggiarla, a ridimensionarla in con­tinuazione ». Lei ha buona memoria? «No, pessima. Infatti sono cinque anni che utilizzo gli occhiali della memoria». Come si chiamava la sua maestra alle elementari? «Boh». Ricorda le date di morte dei suoi genitori? «Mio padre il 15 marzo 1934. Mia madre nel 1993, settembre, ma non sono si­curo ». E le date di nascita dei suoi figli? «Eh, perbacco, sì. L’ultimo il 30 giugno 1967. Il secondo il 26 gennaio 1961. Il pri­mo il 10 marzo 1959». Ricorda anche per chi votò la prima volta che fu chiamato alle urne? «Non è difficile. Ho sempre votato per lo stesso partito, il Psi». Perché è importante ricordare? Molti preferiscono dimenticare. «L’identità è legata ai ricordi. Non fissare nella mente le tappe del nostro passaggio terreno equivarrebbe a non vivere. An­che­se Ernst Hemingway diceva che ti vol­ti indietro per guardare la tua vita e vedi so­lo il tuo sedere».