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 2012  luglio 02 Lunedì calendario

AGNELLI HOLDING IN TRASFERTA GOVERNANCE ALL’OLANDESE


La fusione prossima ventura tra Fiat Industrial e Cnh Global non sta suscitando attenzione. Il Financial Times e l’agenzia di rating Moody’s l’hanno promossa perché migliora la struttura finanziaria, anche se non di molto. Il governo e la Consob, la Commissione di controllo sulla Borsa, hanno altro per la testa. E tuttavia qualche pensiero andrebbe pur fatto se la metà migliore del vecchio gruppo Fiat, quella che produce veicoli industriali, macchine movimento terra e macchine agricole, prende la strada dell’Olanda smarcandosi dalla giurisdizione e dalla supervisione regolatoria del Paese d’origine. L’esempio degli Agnelli, infatti, ha una forte razionalità, e potrebbe far scuola in Italia.
Niente premi
Partiamo dalle notizie. A fine maggio, Fiat Industrial annuncia l’intenzione di integrarsi con Cnh Global. Ma non sarà la holding Fiat Industrial a incorporare la società operativa Cnh Global né accadrà l’inverso. Verrà invece costituita una scatola di diritto olandese che assorbirà entrambe le società oggi esistenti. Agli azionisti di queste ultime, destinate a scomparire, andranno le azioni della nuova società-scatola, in proporzioni determinate dalla media delle quotazioni borsistiche di Fiat Industrial e di Cnh Global. Non sono previsti premi per nessuno, nemmeno a favore delle minoranze di Cnh benché, come osservano gli analisti di Cheuvreux, il titolo Fiat Industrial sia negoziato sulla base di un valore dell’impresa (capitalizzazione di Borsa più debito) pari a dieci volte il margine operativo lordo, mentre Chn Global viene trattata sulla base di un rapporto pari a sette volte. Ma a ben vedere le novità più interessanti sono altre.
La prima e più importante è la decisione di trasferire all’estero, in un mezzo paradiso fiscale qual è l’Olanda, la sede dell’altra Fiat. In altri tempi non sarebbe stata una tragedia.
L’Iveco ha sempre avuto sede nei Paesi Bassi e la direzione e gli stabilimenti dove doveva averli: in Italia, Francia, Spagna, Brasile. Nel diventare multinazionale la Fiat Geotech, figlia della più antica Fiat Trattori, ha spostato anch’essa la sede in Olanda. Ma il vertice della piramide restava a Torino. Non sarà più così. In un’epoca in cui, sull’altro versante, si teme la chiusura di tre delle cinque fabbriche italiane di Fiat Auto.
All’indomani della visita di John Elkann e Sergio Marchionne a Palazzo Chigi, il premier Mario Monti si limitò a dire che la Fiat, soggetto privato, era libera d’investire come e dove ritenesse giusto. Ineccepibile. E però se tutti i gruppi che possono pagarsi un po’ di avvocati si facessero la loro scatola olandese, il governo continuerebbe a lavarsene le mani? La seconda notizia è la decisione di far scomparire Fiat Industrial dalla Borsa di Milano. La nuova società sarà quotata a New York e probabilmente Amsterdam.
Si prevede che, cancellando il nome Fiat, riprenderà la ragione sociale Cnh, acronimo di Case New Holland nel quale si riassume le vicende di tre aziende storiche: Fiat Geotech, Ford New Holland e Case. Per tale via le operazioni sul capitale e le eventuali dismissioni avverranno secondo la legge dell’Aja, assai più comoda sul piano fiscale e meno rispettosa dei soci minori nei passaggi di proprietà.
Il peso di Exor
La terza novità è l’accrescimento della presa di Exor, la holding degli Agnelli, sulla nuova entità. Al momento l’Exor detiene il 30,4% del capitale e la Fiat Spa il 3,2%. Con la fusione, ceteris paribus, queste due partecipazioni scenderebbero rispettivamente al 27,6% e al 2,9%. Questo almeno è il conteggio di Mediobanca Securities.
Ma il progetto elaborato da John Elkann e Sergio Marchionne prevede che quanti depositeranno le azioni di Fiat Industrial e Cnh Global in vista dell’assemblea straordinaria e le conserveranno fino a fusione avvenuta avranno diritto a due voti per ogni azione della nuova società-scatola che riceveranno.
Uguale diritto matureranno i nuovi soci che conservassero per tre anni azioni della società-scatola acquistate successivamente. In caso di vendita, i titoli a voto plurimo tornerebbero al voto semplice. Comunque sia, entrambe le categorie di azioni avranno uguali diritti patrimoniali. Poiché alle assemblee non partecipa mai la totalità del capitale, ma una percentuale tra il 40% e il 65%, sempre secondo Mediobanca Securities, Exor potrebbe ottenere oltre la metà dei diritti di voto senza sborsare un euro. Blindando come non mai il gruppo Fiat Industrial. Senza il costoso fastidio di un’Opa.
Se la stessa cosa facessero le Generali, i soci eccellenti italiani (Mediobanca, Banca d’Italia, Ferak, Del Vecchio, De Agostini, Caltagirone, Benetton, Fondazione Cariplo) potrebbero raggiungere risultati analoghi a quelli dell’Exor in termini di voti assembleari. E che dire di Eni, Enel e Finmeccanica? Imitando Exor, il Tesoro italiano potrebbe andare in trasferta in Olanda e ottenere la maggioranza assoluta dei diritti di voto con il 30% del capitale.
La trasferta in Olanda (o in altro Paese equivalente) sarebbe necessaria perché in Italia le azioni a voto multiplo sono vietate dal Codice civile e le azioni di risparmio sono scoraggiate dalla cultura finanziaria prevalente fin dagli anni Ottanta. Si tratta — è bene dirlo — di un’impostazione singolare. Si presuppone che il comando si giustifichi solo in base al numero di azioni ordinarie possedute e che non possa essere protetto con artifici statutari dalle scalate ostili, considerate l’igiene del mondo che cancella a colpi di Opa gestioni inette.
La realtà è molto più diversificata. I diritti di governance interessano ad alcuni e non a tutti i soci; le scalate ostili sono non di rado contrarie agli interessi permanenti dell’impresa; la stabilità favorisce gli investimenti industriali più dell’incertezza. D’altra parte, quello stesso mondo anglosassone che a ragione critica i patti di sindacato e le piramidi societarie italiane perché consentono l’appropriazione privata dei benefici del controllo, è anche la patria delle azioni a voto multiplo. Forse sarebbe il caso, prendendo spunto dagli Agnelli, di riaprire una riflessione sulla questione del controllo delle società per azioni quotate e sul loro rapporto con il Paese.