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 2012  luglio 01 Domenica calendario

FINE DELL’IMBROGLIO

Silvio Berlusconi pensa che, a que­sto punto del processo, dovrebbe es­sere la Procura della Repubblica di Milano a venire in aula, davanti ai giu­dici che lo stanno processando, e a chiedere la sua assoluzione. A chi lo ha incontrato in queste ore, il Cavalie­re ha manifestato la sua convinzione che sia dovere dei pubblici ministeri avere questo coraggio davanti al nul­la assoluto che hanno portato in aula per dimostrare la sua colpevolezza. Non hanno portato nulla, sostiene Berlusconi, perché non c’era nulla da portare. E credo che la legge gli imponga di prender­ne atto.
Chi lo ha incontrato ieri gli ha chiesto: presidente, crede che lo fa­ranno? Che chiederanno la sua as­soluzione? No, non lo faranno, li co­nosco, pare che sia stata la risposta di Berlusconi.
È sabato pomeriggio, ed è passa­ta una manciata di ore dall’udien­za- svolta del processo per il Ruby­gate. Udienza-svolta non solo e non tanto perché un’altra presun­ta superteste è venuta in aula a dire di essersi inventata tutto: si è sco­perto che Michelle Conceicao, che all’ Espresso aveva detto di avere vi­sto con i suoi occhi Ruby infilarsi nella camera da letto di Berlusconi, quel giorno ad Arcore non c’era nemmeno. Ma udienza-svolta so­prattutto perché la Procura ha an­nunciato a sorpresa di avere prati­camente finito. Ilda Boccassini can­cella quaranta testi, forse rinuncia persino ad interrogare Kharima el Mahroug, la presunta vittima: e questa di un processo dove non si interroga la vittima è davvero una stranezza o almeno una cosa incon­sueta, come se in un processo per rapina non si sentisse la versione del rapinato. Ci si aspettava, dai pm, la mossa a sorpresa, la zampa­ta finale che ribaltasse il corso di un processo finora tutto in salita, rigo­glioso di pettegolezzi piccanti ma deserto di prove. Invece la Procura ha finito, non tira fuori altre carte, anzi rinuncia a giocare le ultime mani.
Ma Berlusconi non è contento. A chi riesce a incrociarlo ieri, nella ca­nicola del pomeriggio, torna a par­lare di un tema che gli sta a cuore. Secondo Berlusconi, comunque vada a finire il processo, i pm avran­no raggiunto il loro scopo, perché il loro obiettivo era «sputtanare» lui, il governo e il Pae­se. Ma ciò che è ir­recuperabile, so­stiene ieri l’ex ca­po del governo, è la devastazione che questi magi­stra­ti hanno compiu­to del presente e del futu­ro di quarantadue ragazze a cui hanno incollato per tutta la vita il marchio di escort. Il Cavaliere ce l’ha con la conduzione delle scorse udienze, quando a porte aperte, da­vanti alla stampa, i pm hanno co­stretto le testi a rispondere a do­mande come «Ha mai intrattenuto rapporti sessuali a pagamento?», insistendo e scavando quando le ri­sposte non li soddisfacevano.
Per quanto riguarda se stesso, la sua posizione di imputato,l’ex pre­sidente del Consiglio si mostra tran­quillo. Sa che sui due capi d’accusa - la concussione ai danni dei poli­ziotti che avevano fermato Ruby, i rapporti sessuali con Ruby mino­renne- il processo è fermo vicino al­lo zero. I poliziotti sono venuti in au­la, hanno detto sotto giuramento di non avere ricevuto pressioni.L’uni­ca testimone che diceva in giro di avere visto Ruby appartarsi con il Cavaliere è finita sotto inchiesta per falsa testimonianza. E soprat­tutto tutti i testi, dal primo all’ulti­mo, hanno detto che la ragazza di­ceva a chiunque di avere ventiquat­tro o venticinque anni, e ne dimo­strava altrettanti: quand’anche la Procura volesse sostenere che ba­sta essere andate ad Arcore per es­sere considerate escort a tutti gli ef­fetti (e questa, più o meno, sembra annunciarsi come la strategia in vi­sta della requisitoria), quel dettaglio sull’età sareb­be sufficiente a fare as­solvere l’imputato.
Edunque? Cosare­sta di un processo che per due anni ha fatto dell’Italia il paese del bunga bunga? Nulla, asso­lutamente nulla, dice ieril’ex capo del governo ai suoi collaboratori. Raccon­ta agli amici di una riunione dell’As­sociazione nazionale magistrati in cui un giudice ha detto: se Leonar­do da Vinci avesse avuto qualcuno che lo prendeva a schiaffi tutti i gior­ni, non sarebbe riuscito a dipinge­re il Cenacolo e la Gioconda; e a quel punto tutti gli altri giudici si so­no messi ad applaudire. Il messag­gio, secondo Berlusconi, era chia­ro: questi processi avevano l’obiet­tivo di non permettergli di governa­re questo paese e di fare le riforme di cui ha bisogno. Di questa offensi­va Berlusconi raccoglie ieri nuove statistiche: 2.640 udienze a carico suo o di suoi collaboratori; 428 mi­lioni di spese legali. Non la conse­guenza di una «scheggia impazzi­ta », ritiene il fondatore del Pdl, né di qualche magistrato zelante, ma un pezzo di una strategia precisa. Di questa strategia Berlusconi con­sidera parte integrante, insieme al­la «magistratura di sinistra», anche la stampa,come nel caso dell’inter­vista a Michelle Conceicao. Nelle settimane successive alla sua inter­vista, si dice negli ambienti vicini al Cavaliere, la Conceicao in Brasile si sarebbe comprata un’auto e una casa.
Una soddisfazione, però, l’ex pre­mier se la vuole togliere: verrà in au­la al processo Ruby a darà ai giudici la sua versione. Tornerà a parlare di Mubarak, del pranzo in cui il pre­sidente egiziano disse di conosce­re bene la cantante egiziana di cui Ruby diceva di essere la figlia, e quando seppe che era stata ferma­ta la sua unica preoccupazione fu evitare un incidente diplomatico. Tornerà a parlare delle cene di Ar­core, passate alle cronache come «cene eleganti». Cene normali do­ve veniva chiunque, che poi l’idea iniziale era stata di Emilio Fede, spiegherà. D’altronde, come rac­conta anche ieri a chi lo incontra, Berlusconi ritiene di avere, a dispet­to dell’età, il fascino e la voce suffi­cienti per intrattenere un pubbli­co: e le feste erano destinate anche a questo. Alle cene, ribadirà in aula, non accadeva mai nulla che avesse anche lontanamente uno sfondo sessuale.
Berlusconi però sa bene che anche se le accuse giudiziarie si dovesse­ro sgretolare, tutto questo indaga­re e tutto questo scavare lascereb­ber­o alcune domande irrisolte nel­l’opinione pubblica, colpevolista o innocentista che sia. Riassumibili forse in una sola: come diavolo è possibile che una fanciulla bella e spiantata come Michelle Concei­caoabbianellasuarubricailnume­ro di cellulare del presidente del Consiglio? A chi ieri gli fa questa do­manda, Berlusconi risponde che lui alla Conceicao il suo numero non l’ha mai dato: sia perché non l’ho mai incontrata,sia-e soprattut­to - perché Berlusconi non possie­de un telefono cellulare. Per parla­re con lui ci sono i numeri delle sue residenze, dei suoi uffici, del suo staff, della segreteria, della scorta. Ma da anni non ha più un cellulare in tasca. Da quando, racconta, fece vedere il suo apparecchio ad un esperto del settore e l’esperto gli ri­spose: questo qui te lo intercetta­no. Da allora, basta.
E quando verrà in aula a dire la sua, forse il Cavaliere spiegherà anche il vero arcano del processo, quello che ritorna inevitabilmente in ogni interrogatorio dei pm alle ragazze delle feste: la statuetta fallica, il Pria­po­o il fauno superdotato che veni­va passato di mano in mano. E dirà che la statuetta c’era davvero: ma niente di osceno, era un oggetto di artigianato africano che un came­riere di Arcore aveva comprato in occasione di un viaggio a trovare suo papà e aveva portato alla villa. Poi a un certo punto è sparito. Sarà finito, dice, in qualche borsetta.