Nicola Porro , il Giornale 30/6/2012, 30 giugno 2012
Euforia da speculazione sulle banche italiane «Non si fidi dei rialzi di ieri», così uno dei grandi banchieri italiani, commentava la bonanza che si è vista ieri a Piazza Affari per le banche italiane
Euforia da speculazione sulle banche italiane «Non si fidi dei rialzi di ieri», così uno dei grandi banchieri italiani, commentava la bonanza che si è vista ieri a Piazza Affari per le banche italiane. Unicredit ha fatto segnare un più 15 per cento, Intesa più 12, Mediolanum e Mediobanca più 9 per cento e Mps più sei per cento. Una giornata così non si vedeva da secoli. «Quello che è successo è molto semplice - dice un altro dei nostri intervistati - : sono state chiuse tutte le posizioni short sulle banche. E su quelle italiane ce n’erano di enormi». Tra i top banker del nostro sistema la lettura tecnica del vertice europeo è unanime. Si partiva dall’attesa di un flop, che non c’è stato. La Germania è più sola, rispetto all’asse franco-italo-spagnolo. E, dunque, la spinta a vendere allo scoperto gli istituti di credito è venuta meno. «Un ribassista - dice il nostro terzo interlocutore -ha già fatto un mucchio di soldi sui nostri titoli. Visti i risultati del vertice e la capacità di comunicarli bene, piuttosto insolita per la Ue, non c’è nessuno che voglia tenersi il rischio di ricoprire le proprie posizionishort, e dunque ieri sono tornati a comprare un po’ tutti». Insomma, i banchieri sono piuttosto ottimisti e spiegano i buoni andamentidi ieri più che con un ritrovato sentimento positivo per le nostre banche, con un movimento di tipo tecnico. Infine una piccola prova del nove. Le quotazioni delle banche sono proporzionalmente salite molto più di quanto giustificherebbe la discesa degli spread. Ci spieghiamo meglio. Il calo dei differenziali di tassi tra Italia e Germania ha un impatto diretto sui bilanci dei nostri istituti di credito. Ebbene, lo spread è ieri sceso, ma non in modo così clamoroso. Il balzo delle banche, come visto, è stato spettacolare. Testimonianza questa che la risalita dei titoli bancari nasce sostanzialmente dalle ricoperture di posizioni speculative. *** C’è un signore che nel giro di un paio di giorni si è messo in tasca un centinaio di milioni di euro. Il miliardario russo, Mikhail Fridman, non poteva certo conoscere l’esito del vertice Ue, ma il suo investimento in Unicredit si è rivelato davvero azzeccato, soprattutto per il tempismo. Proprio in settimana nel capitale di piazza Cordusio è entrato il Fondo Pamplona con un tondo 5 per cento. Anzi, per essere corretti,con un’azione in più del 5 per cento. Ciò permette al fondo di salire fino al 10 per cento senza fare comunicazioni pubbliche. Il fondo, anche se indirettamente, è di Fridman. Un oligarca che ha fatto fortuna ai tempi di Eltsin e che non si può certo definire un investitore silente. Altro che libici. Gli investitori del fondo sovrano di Tripoli che crearono tanto trambusto per la loro entrata nella banca di piazza Cordusio, sono tradizionalmente dei partner silenti: sono lì in consiglio e non fanno altro che aspettare la cedola. Fridman è di tutt’altra pasta: è a capo di un conglomerato. E una delle sue caratteristiche è quella che, una volta entrato in una società, non si accontenta della porta di servizio: vuole comandare. Basta vedere il pasticcio della joint venture petrolifera Tnk-Bp, dove Fridman ha un quarto del capitale, e dove gli inglesi di Bp hanno chiesto di uscire, proprio per le supposte ingerenze dei partner russi. Altrettanto difficili sono i rapporti nella società di tlc russa Vimpelcom, di cui il nostro ha un quarto del capitale, con l’egiziano Sawiris, che gli italiani conoscono bene per Wind. Insomma, nei prossimi mesi c’è da aspettarsi che il placido board di Unicredit ne sentirà delle belle. *** Bel colpo di Giorgio Squinzi, il numero uno della Confindustria. In modo del tutto inaspettato nomina alla direzione generale del palazzone dell’Eur una giovane dirigente, fuori da tutti i giochetti del palazzone romano. Per carità, chi legge questa zuppa, sa quanta stima sia riservata al direttore uscente, Gian Paolo Galli, un fine economista, che ha saputo temperare e dare sostanza ad una presidenza che si è rivelata troppo politica, come quella Marcegaglia. La nomina di Marcella Panucci ha però rotto tutti i giochi che si erano creati per la successione di Galli: furibondi gli uomini dello staff dell’ex presidente di Federchimica, molti dei suoi grandi elettori e il sistema dei direttori della Confindustria. Entrata alla fine degli anni ’90, la Panucci era da pochi mesi capo del legislativo del ministro della Giustizia, Severino. In un primo tempo Squinzi le aveva offerto di diventare sua assistente, poi general counsel ( figura inedita) e, infine, pur di strapparla al ministero della Giustizia dove era in odore di promozione, è arrivata la nomina a direttore generale. Musi lunghi da parte di alcuni vicepresidenti e in particolare di Aurelio Regina, che sperava in un altro genere di nomina. Squinzi sta costruendo pezzo per pezzo una squadra a lui molto vicina,che smonta l’illusione, che alcuni si erano fatti, di una Confindustria guidata da un padre nobile, ma gestita da molti figli interessati.