PAOLO BRUSORIO, La Stampa 3/7/2012, 3 luglio 2012
I più forti di sempre? Sì, per il sondaggio Fifa - La domanda non è quotata, è la risposta che bisogna dare
I più forti di sempre? Sì, per il sondaggio Fifa - La domanda non è quotata, è la risposta che bisogna dare. C’è mai stata una squadra più forte di questa Spagna? Il primo Triplete consecutivo (EuropeoMondiale-Europeo) sgrossa già le possibili soluzioni, ma il pallone non è una scienza, accanto gli rotolano troppi fattori perché l’albo d’oro sia un verdetto inappellabile. Meglio mettersi d’accordo subito: in lizza non ci sono solo le nazionali che hanno vinto, sarebbe troppo facile così. Il calcio è stato cambiato anche da chi è rimasto a secco, ecco forse quella della Roja è la prima rivoluzione in cui gli ideali sono diventate idee e i progetti risultati. Ci sono storie che si tramandano, come quella della formidabile Ungheria che negli Anni 50 divenne il faro del calcio mondiale. L’invenzione di un centravanti finto, come un errore di ortografia: l’MM al posto del WM, ora sembrano simboli del paleozoico, ma quando Gusztav Sebes si inventò un ruolo che nessuno aveva mai visto (sì, proprio quello di Hidegkuti) non tutti si resero conto che la ruota stava girando. Scriveva Gianni Brera: «L’Ungheria è come un orologio di alta precisione, quindi basta un granello di sabbia per farlo inceppare». Più che un granello, la corazzata tedesca è un mare di sospetti. Così quell’Ungheria non vinse il Mondiale ‘54, ma il falso «nueve» mica se lo è inventato Del Bosque, arriva da lontano. Era un problema allora, continua ad esserlo ora vista la fatica fatta dagli Azzurri per prendere le impronte a Fabregas. Poi ci sono le nidiate di campioni e allora lì non devi fare altro che saperli mettere insieme: quando Vicente Feola ci riuscì, dopo aver scannerizzato i giocatori con test attitudinali (anche psichiatrici), ottenne un miscela chiamata Brasile, con un terzino come Djalma Santos anticipatore della trasgressione Anni 70. E poi, facile, se hai Pelè le cose ti vengono meglio. O’ Rey era ragazzino, fu imposto dai senatori della squadra, arrivarono due mondiali di fila, le stelle erano tante, una brillava di più. Ma le innovazioni sudamericane arrivano al di qua dell’Oceano troppo lentamente per lasciare il segno, la contaminazione difficile. E allora la Spagna va al confronto diretto con la Germania, quella dei primi Anni 70, meno tedesca e tetragona di quanto sembri. Beckenbauer era il libero, ma giocava a centrocampo; Breitner, il terzino, ma si travestiva da ala. Schegge di quella rivoluzione arancione che stava per travolgere il pallone, riveduta e corretta. Per dire: il terminale di tutto quel gran movimento era un certo Gerd Muller, tracagnotto centravanti dal gol facile: 68 in 62 partite. Solo così riuscì a resistere, quella Germania, alla rivolta arancione: covata nell’Ajax, scoppiò in mano al calcio mondiale durante i Mondiali del 1974. Un profeta, Johan Cruyff, un paio di discepoli (Neeskens, Krol, Rensenbrink) e molti fedelissimi (Haan, Suurbier, Van Hanegem): insieme hanno cambiato la storia del calcio (fuorigioco a metà campo, pressing, terzini come ali), ma senza la qualità necessaria non hanno avuto la forza per scriverla e firmarla. Hanno perso tanto quegli Oranje e quando hanno vinto (Europeo ‘88) si erano normalizzati. Nel gioco, non nei fenomeni vista l’opera d’arte che fu il gol di Van Basten in finale con l’Urss. La Spagna triplettista attacca difendendosi, usa i lanci rasoterra per scardinare gli avversari. Lo puoi fare solo se hai giocatori di sangue blu, se ne hai tanti, se giocano insieme a occhi chiusi, se non prendono gol da dieci partite da dentro-fuori. La Fifa ha indetto un sondaggio su twitter: per il 70% dei votanti è questa la squadra più forte di sempre. Lo stesso dicono i lettori dell’Equipe. El Pais parla di «esibizione dell’eternità». Dunque chi è la più bella del reame? Effetto non solo mediatico: anche la risposta non è più quotata.