MAURIZIO MAGGIANI, La Stampa 3/7/2012, 3 luglio 2012
Garibaldi l’eroe imbalsamato - No, noi non ci ricordiamo un fico secco del Generale Garibaldi, non ci è rimasta che la più pallida e insignificante idea di chi fu quell’uomo agli occhi del mondo, e le risposte che abbiamo dato sul suo conto al professore di storia per tirar via un sette, erano confacenti alla banalità delle domande
Garibaldi l’eroe imbalsamato - No, noi non ci ricordiamo un fico secco del Generale Garibaldi, non ci è rimasta che la più pallida e insignificante idea di chi fu quell’uomo agli occhi del mondo, e le risposte che abbiamo dato sul suo conto al professore di storia per tirar via un sette, erano confacenti alla banalità delle domande. Il Generale è stato per alcune generazioni di americani del Sud e del Nord, e di europei, e di asiatici, semplicemente, il più grande degli eroi della modernità. La quintessenza dell’Eroe; sempre vittorioso e sempre sconfitto, sempre presente là dove un torto va riparato, una giusta causa sostenuta, un popolo reso libero. E sempre, per l’eterno, di limpida purezza di azione e pensiero. Quando arrivò a Londra, nel ’64, per chiedere fondi per la «Rivoluzione Italiana», di fatto bandito dal suo Paese e pedinato dalla polizia politica, reduce dalla regia galera, la galera di quel re a cui aveva messo nelle mani i due terzi del suo regno, ci furono, secondo i cauti calcoli della polizia metropolitana, mezzo milione di londinesi a fargli festa. Lo salutarono tutti i bastimenti del porto con il gran pavese e le sirene spiegate, e ci mise sei ore a fare le tre miglia dalla banchina al prato dove lo aspettavano tra i molti altri le delegazioni dei minatori gallesi, degli operai del distretto industriale di Bristol, delle filandere scozzesi. E assieme a quelli un bel mazzo di Pari d’Inghilterra con mogli, fidanzate e sorelle in trepidante attesa di poter estorcere all’Eroe un pelo della sua barba, un filo dei suoi capelli; e la crème degli intellettuali del Regno Unito guidati da Carlyle, e l’universo dei rifugiati politici d’Europa, e il sindaco della città, naturalmente. Quando la regina Vittoria, indispettita e preoccupata, chiese al ministro Disraeli cosa avesse mai quell’uomo da suscitare tanta isteria fra tante persone così diverse, dall’uomo che si rifiutò di stringergli la mano, le fu freddamente risposto: quell’uomo, Maestà, è oggi l’individuo più potente del mondo perché si riconosce in lui l’assoluta purezza. Egli è ciò che dice e dice ciò che fa senza contraddizioni e debolezze. Del ’64 a Londra si ricordano ancora, e si comprano ancora i biscotti e il tè Garibaldi, e se volete una delle tavole illustrate dell’Illustrated London News che fece il “videoreportage” dell’evento, non la pagate meno di 500 sterline. Se poi un signor socio del Reform Club volesse poggiare oggi il suo deretano al tavolo dove già lo pose l’Eroe in una cena in cui ai soci di allora chiese ed ottenne soldi per comprare fucili, deve chiedere un permesso speciale e assicurare sul suo onore di non danneggiare in alcun modo i sacri cimeli e la targa commemorativa. In quel ’64, mentre Garibaldi inviperiva la regina Vittoria, il re delle Hawaii prendeva il mare per andare a Caprera a stringere la mano del suo eroe, e a Caprera veniva recapitata una lettera del pensatore anarchico principe Bakunin spedita due mesi prima dal suo confino siberiano in cui raccontava al Generale, in cattivissimo odore di cedimenti monarchici, come in Siberia e in tutte le Russie non si facesse che discutere ed ammirare le sue gesta. E Bakunin gli andrà incontro e lo abbraccerà quando l’Eroe farà il suo ingresso alla Comune di Parigi, l’ultima sua battaglia per la libertà dei popoli, anche quella persa, anche quella vinta. Di lui ancora oggi si ricordano a New York, dove si celebra un Garibaldi Day in onore della Garibaldi Gard, il mitico 171° reggimento NY composto da esuli politici italiani, che si fece onore nella guerra di secessione combattendo, ovviamente, contro gli schiavisti. L’anno scorso il discorso lo fece il presidente Obama e prima di lui tutti i presidenti democratici e qualche repubblicano. Di lui si ricordano con feste nazionali in Argentina, nello stato di San Paolo, e a Puerto Rico, in Uruguay, dove Garibaldi è eroe nazionale sopra ogni altro, avendo generato lui, combattendo vittoriosamente contro l’impero argentino, la repubblica. Di lui si ricordano ovunque, essendo, nonostante i molti e qualificatipretendentialsoglio,l’italianopiùfamosonelmondo. La mitologia al suo riguardo è ovunque sconfinata. Qui no; qui, il Generale è stato sterilizzato e imbalsamato e mummificato prima dai Savoia e poi dal fascismo, che hanno lavorato alacremente per renderlo agli occhi dei bravi scolari e dei focosi giovanotti un pupazzetto inoffensivo. La sua carica sovversiva, il suo insurrezionalismo irriducibile, il suo pensiero così fanciullescamente eversivo, erano, e restano, indesiderabili e intollerabili. Ci vuole una nazione con le spalle più robuste per caricarsi di un eroe così tosto, ci vuole un popolo con una notevole fiducia in sé per ricordare con onesta memoria l’eroe nazionale che fondò un partito che aveva fissato al primo e al secondo articolo del suo statuto i seguenti obiettivi politici: 1, l’acquisizione con ogni mezzo di cinque milioni di fucili per terminare la Rivoluzione Italiana. 2, la deportazione di tutti i preti abili al lavoro nelle Paludi Pontine per il proficuo impiego nelle opere di bonifica. Ci vuole un’Italia un po’ diversa da quella che vedo per onorare con sincerità quel Garibaldi che, avendo messo piede nel Parlamento appena eletto, ed essendosi presentato con il suo poncho e il suo cappello piumato da brigante lucano, ebbe a dire ai parlamentari in cilindro e marsina: «Non è questa l’Italia ch’io sognava». E chi ricorda questo, il sottoscritto, è un mazziniano. Ed essendo mazziniano ha parecchio da ridire sul Generale, visto che l’Azione e il Pensiero mazziniani - e chi se lo ricorda mai? sono assai più estremi e irriducibili dei garibaldini.