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 2012  luglio 02 Lunedì calendario

DEBITI FUORI CONTROLLO PER 34 MILIARDI


A favore dell’emendamento aveva spezzato una lancia anche Antonio Di Pietro. Argomentava, il leader dell’Italia dei valori, che spesso lo Stato, le Regioni e gli enti locali agiscono per il tramite di società partecipate: quindi non si capisce perché i loro amministratori non debbano essere chiamati a rispondere dei loro atti davanti alla magistratura contabile, esattamente come accade per i dipendenti e i dirigenti pubblici. «Ci sembra un escamotage cui molto spesso si ricorre quando si vogliono compiere atti contra legem», sospettava l’ex pubblico ministero di Mani Pulite. Ma quando si è trattato di votare è stata registrata un’astensione di massa: in 177 non hanno premuto il bottone verde. Così la proposta avanzata dal deputato del Pd Salvatore Vassallo, che avrebbe attribuito alla Corte dei conti il potere di controllare l’operato ed eventualmente sanzionare dipendenti e dirigenti delle società pubbliche, non è passato. I sì sono stati appena ottantasette, i no ben duecentosessantadue. Se l’enorme massa degli astenuti avesse appoggiato l’emendamento, sarebbe andata in un modo diverso.
Per questo il procuratore generale della magistratura contabile Salvatore Nottola, lo scorso 28 giugno, si è pubblicamente rammaricato, considerando che il disegno di legge nel quale quell’emendamento doveva essere inserito era il provvedimento anticorruzione: «particolarmente appropriato perché moltissimi casi di disfunzione nelle società partecipate hanno origine proprio nella corruzione e nell’illegalità».
Le dimensioni del fenomeno per cui funzioni pubbliche vengono sempre più spesso trasferite «a soggetti esterni alla pubblica amministrazione costituiti sotto forma di società private» che si trasformano esse stesse «in pubblica amministrazione» è imponente. Le società controllate o partecipate in forma maggioritaria dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali sono più di cinquemila. E crescono a un ritmo incessante, indipendentemente dalla loro effettiva utilità.
Con le società controllate, per esempio, è possibile aggirare con una certa facilità le norme che impongono il divieto di assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, dove si entra solo per concorso e non per chiamata diretta o selezioni fittizie. Per non parlare della maggiore libertà nella gestione dei flussi finanziari. Peccato soltanto che questo si porta dietro conseguenze economiche mica da ridere.
Il rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica stilato dalla Corte dei conti stima che abbiano accumulato un debito di 34 (trentaquattro) miliardi di euro. In media, quasi 7 milioni ciascuna. Sommando questo indebitamento all’esposizione ufficiale delle amministrazioni locali, si arriva a un centinaio di miliardi.
La proliferazione delle società pubbliche spesso è quindi un modo per mettere la polvere sotto il tappeto, garantendo al tempo stesso un rilevante quantitativo di poltrone (ne sono state contate 38 mila). Tanto da far dire a Nottola: «La creazione di enti privati per le funzioni pubbliche è una scelta politica che ci sfugge. Se la cognizione del giudice contabile non comprendesse queste entità, una larga parte delle pubbliche risorse sarebbe sottratta al sindacato del controllo pubblico». Aggiungendo che «la soluzione di questo problema, per la sua estensione e gravità, non può più essere affidato alla giurisprudenza, ma essere ricondotta alla responsabilità politica». Che però, purtroppo, è assente.