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 2012  luglio 03 Martedì calendario

L’AMORE DI KIERKEGAARD SVANITO IN UN GIORNO


Le storie d’amore più interessanti (per i posteri) sono quelle che finiscono male. Non si riescono a chiudere o si consumano con attese e rinvii; tra le prime scintille e le iniziali dichiarazioni si vivono momenti luminosi, ma poi gli slanci si trasformano in distacco, noia, tormento. Bene: ne evochiamo qualcuna, cominciando da quella che vide protagonisti Regina Olsen (1822-1904) e uno dei più grandi filosofi moderni, il danese Søren Kierkegaard (1813-1855).
Il pensatore che oggi ammiriamo come uno dei padri dell’esistenzialismo non era un animo semplice. Pubblicò quasi tutte le sue opere con pseudonimo, nascondendosi. Per esempio, utilizzò Johannes de Silentio per Timore e tremore, Hilarius il Legatore per gli Stadi sul cammino della vita, Costantin Costantius per La ripresa e via di questo tono. Il suo nome appare sui Discorsi edificanti e su altri scritti religiosi, dove si sentiva un pastore privato. Non si curava dell’aspetto. La rivista pettegola Corsaren a partire dal 1846 lo prese di mira. Una caricatura ne mostra i tratti ridicoli e goffi: schiena curva (c’è quasi la gobba), arti inferiori gracili, andatura sgraziata, pantaloni troppo corti, cappello a cilindro ampio. Eccetera.
Regina è una bella ragazza, figlia minore del consigliere di Stato Terkel Olsen. Il filosofo la conosce nel 1837, in casa di amici. Ha quattordici anni. I due, come si suol dire, si fiutano, sino a quando giungono a stabilire un rapporto. La proposta è fatta cadere nel settembre del 1840, probabilmente il giorno 8, mentre si stava eseguendo un brano al pianoforte. Il tutto avviene in casa Olsen. Ha raccontato Kierkegaard anni dopo nei Diari (opera fondamentale, che la Morcelliana sta ritraducendo): «Che me ne importa della musica? Sei tu che voglio, ti ho voluto per due anni». Lei incassa in silenzio. Il padre della fanciulla benedice la proposta. I due sono ufficialmente fidanzati.
Il giorno seguente Søren è già pentito. Non ha mai pensato di sposarsi e ora ha fatto un passo in quella pericolosa direzione. Comincia a porsi domande quali: «È possibile innamorarsi umanamente?». Basterebbe dare un’occhiata alle lettere che i due si sono scambiati tra il settembre 1840 e l’11 ottobre 1841 per accorgersi che c’è un sentimento vero ma il filosofo non si dà pace. Scrive: «L’amore — usiamo la traduzione contenuta nel volume: Søren Kierkegaard, Lettere sul fidanzamento, Morcelliana — è più veloce di tutto, più veloce di se stesso». Talmente veloce che, mese dopo mese, diventa anche malinconico. Egli riflette sulla sproporzione tra anima e corpo, si interroga sulle impossibilità. E poi Regina — siamo nel gennaio 1841 — le sembra appartenente a una specie non spirituale, anzi forse non è nemmeno una fidanzata cristiana, giacché ha un’idea puramente umana dell’amore. L’11 agosto le restituisce l’anello. Inizia, come ognuno immagina, un periodo denso di scenate, cadenzato da crisi, con epistole piene di parole pesate. E poco dopo, nel ricordato 11 ottobre, Kierkegaard rompe il rapporto. Si considera legato a Dio, anzi ritiene di essere stato amato come donna quando era preesistente presso il Padre. Poteva invocare il versetto della Prima lettera di Giovanni: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (4,10); ma tali parole non riuscivano certo a chetare Regina. Lei è disperata, minaccia il suicidio; interviene il padre, a Copenhagen i commenti si sprecano.
Nel 1847 la ragazza, venticinquenne, sposerà il suo vecchio precettore, Frederik Schlegel. Sarà un matrimonio tranquillo, felice. Regina il 17 marzo 1855 partirà per le Indie occidentali danesi, delle quali il marito era stato nominato governatore. L’11 novembre di quell’anno Kierkegaard moriva. Ma prima trovò il tempo di farsi vivo. Nel settembre 1849 scrisse a Schlegel supplicandolo di poter parlare con la moglie. Il marito non rispose. A richieste ulteriori seguirà nuovamente il silenzio. Chissà cosa voleva. Non immaginiamoci nulla di particolare. Del resto, allorché il 15 maggio 1849 la giornalista svedese Frederika Bremer chiese di incontrarlo per un’intervista, le rispose: «No, grazie; non so ballare!».