Lorenzo Salvia, Corriere della Sera 3/7/2012, 3 luglio 2012
I MINISTERI PRONTI A RESISTERE «I RISPARMI? ABBIAMO GIÀ DATO»
Che qualche mugugno ci sarebbe stato lo si era capito subito. Quando a metà giugno Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia aveva annunciato i tagli dalla loro pianta organica del 20% per i dirigenti e del 10% per gli altri dipendenti era stato Vittorio Grilli a mettere pressione sui colleghi: «Noi dobbiamo essere come la moglie di Cesare — aveva detto il viceministro dell’Economia — al di sopra di ogni sospetto. Ma ci aspettiamo che entro la fine del mese le altre amministrazioni seguano l’esempio». La fine del mese è arrivata ma quell’esempio non è stato seguito da tutti. Anzi, più di un ministero ha chiesto di lasciare quella regola fuori dai propri uffici. Primi fra tutti l’Istruzione e la Giustizia, che pure hanno qualche ragione. La loro pianta organica è meno squilibrata rispetto ad altre amministrazioni, piene di dirigenti come gli eserciti affollati di generali e senza soldati semplici. Per questo le osservazioni dei due ministeri non sono state subito catalogate tra le resistenze corporative, che pure ci sono state. Ma il problema resta perché anche fare un’eccezione significa dare un esempio. Con il rischio di innescare un processo a catena, spingendo gli altri ministeri a chiedere a loro volta l’esenzione dalla regola del 20 e del 10%. E siccome i ministeri bruciano quasi un miliardo al giorno, basta spostare una virgola per non far tornare più i conti della spending review. Per questo il governo sta cercando il modo di tagliare lo stesso la pianta organica di Istruzione e Giustizia, limitando al massimo le deroghe e cercando un difficile compromesso.
A prima vista il problema non ci dovrebbe essere per un’altra amministrazione pesante come organico, la Difesa. La linea del ministro Giampaolo Di Paola è nota. I militari la loro parte l’hanno già fatta perché, prima ancora che la discussione sulla spending review entrasse nel vivo, il governo ha presentato una riforma delle forze armate che taglia il numero dei militari. Ne avremo 33 mila di meno, altri 10 mila tagli riguardano il personale civile. Numeri importanti, verrà eliminato un posto su cinque. Ma il processo sarà graduale, serviranno dieci anni per andare a regime. E la Ragioneria generale dello Stato ha avuto qualche dubbio sugli effetti positivi della riforma sui conti pubblici. È vero che ci sarebbero meno stipendi da pagare ma i soldi risparmiati verrebbero dirottati alla voce investimenti. E le casse pubbliche perderebbero anche il gettito delle tasse che, con una partita di giro, arrivano proprio dalle paghe dei soldati. Alla fine lo Stato non ci guadagnerebbe, anzi rischierebbe di perderci, anche se va considerato che pure gli investimenti verso il privato, se aggiuntivi e sul mercato italiano, portano gettito. In ogni caso, tra i colleghi di governo c’è una certa freddezza verso una riforma arrivata al Senato con la sola firma del ministro Di Paola, fatto insolito per un testo presentato dall’esecutivo. In questi giorni la Difesa ha cercato di usare il disegno di legge come scudo per evitare altri tagli, per schivare quelle misure di razionalizzazione che riguardano le spese di apparato, come la sorveglianza del territorio che in alcuni casi potrebbe essere una duplicazione del servizio già svolto da altri corpi. Ma le riserve sui reali effetti economici della riforma hanno reso quello scudo meno efficace. Anche perché con la Difesa c’è un altro nodo da sciogliere. Tre giorni fa è scaduto il termine per estendere ai militari l’innalzamento dell’età pensionabile deciso per tutte le altre categorie di lavoratori con il decreto salva Italia. Anche in questo caso le resistenze, non solo dei militari, sono state parecchie. Tecnicamente non si tratta di spending review, ma le pensioni sono sempre spesa pubblica e infatti anche questa partita ha il suo peso. Il decreto di adeguamento alla riforma Fornero tarda.
C’è poi la sanità, il settore al quale è stato chiesto il sacrificio più pesante visti i suoi volumi di spesa. Anche qui c’è qualche dubbio, in particolare sulla reale possibilità di applicare in tutti i casi la logica ferrea degli acquisti centralizzati. Così come il ministero degli Esteri aveva (ed ha) qualche perplessità sul taglio delle proprie rappresentanze, il ministero dell’Interno sulla razionalizzazione delle prefetture, le Regioni e gli enti locali sui paletti più stretti per le società. Sarà anche per questo che adesso la spending review è diventata un’opera in tre atti?
Lorenzo Salvia