Alessandro Cannavò, Corriere della Sera 2/7/2012, 2 luglio 2012
L’AMORE IN UN FOULARD RITROVATO
Il cerchio verde di uno degli anelli olimpici passa come un raggio di luce sopra il nome di Ottavio Missoni, sesto nella finale dei 400 ostacoli ai giochi di Londra del 1948. La scrittura è granulosa, è l’inchiostro assorbito dal rayon di un foulard che contiene tutti i finalisti delle gare di quelle Olimpiadi. Autore, un certo Crumold Lever. «Me lo vedo aggiungere le ultime classifiche e correre a stampare il suo piccolo capolavoro — dice Rosita Missoni, che da studentessa della scuola svizzera in trasferta londinese assistette nel primo giorno di gare alla vittoriosa batteria di "Tai" (così chiama Ottavio, oppure "il Missoni") —. Fatto sta che una settimana dopo la finale io quel foulard lo vidi in uno scaffale da Harrods. Ero già infatuata di quell’atleta, come può esserlo una ragazza di 16 anni. Anche perché a giochi chiusi avevo trascorso con lui e altri amici una bellissima giornata a Brighton. Ma non comprai quel foulard, un po’ perché avevo pochi soldi e un po’ perché le mie compagne di collegio mi prendevano già in giro per questa storia del Missoni. Poi naturalmente mi sono pentita e per 64 anni l’ho cercato senza sosta nei tanti mercati vintage che frequento quando vado nella capitale inglese. Inutilmente. Lo scorso maggio il signor Leslie di un negozio di Marylebone mi ha riacceso la speranza. "So che quel foulard esiste ancora — mi disse —, forse lo recupero ma lo vogliono anche alcuni musei di memorabilia...". Cinque giorni fa mi è arrivato a casa. Avevo sempre sperato di farcela per il sessantesimo del nostro matrimonio che sarà nel 2013 e invece festeggiamo così le nuove Olimpiadi londinesi». Il cimelio sarà incorniciato e appeso sopra il camino di casa Missoni, a Sumirago.
Si chiude il cerchio (non solo olimpico) di una storia d’amore certo conosciuta ma che ora aggiunge un altro piccolo tassello del destino. E che, guarda caso, unisce ancora una volta lo sport alla moda in questa coppia felice (e di ferro) con tre figli e nove nipoti. L’eleganza Ottavio, oggi invidiabile 91enne, l’aveva innanzitutto nel fisico e nella corsa. «Sugli spalti di Wembley noi collegiali eravamo sedute vicino all’ingresso degli atleti. Lo notai subito, mentre le suore ci riparavano da un insolito caldo torrido con degli ombrelli neri utili per la pioggia. Poi sfrecciò in pista con quella falcata che spinse Gianni Brera a definirlo l’Apollo dell’atletica. Un miracolo che sia andato in finale dopo quattro anni senza allenamenti, trascorsi come prigioniero di guerra a El Alamein». Il secondo atto è la gita a Brighton. «Maria Testa, la moglie del presidente della Ginnastica gallaratese, società a cui apparteneva Ottavio, mi invitò con un’altra studentessa a passare una domenica sulla costa. "Ma prima di prendere il treno a Victoria Station dobbiamo fermarci a Piccadilly", mi disse. Sostammo sotto la celebre colonna con in cima un Cupido. Anche quello un segnale... Ed è lì che dalla metropolitana apparve lui insieme a quel gigante di Giuseppe Tosi, medaglia d’argento nel disco dietro all’oro di Consolini. Devo dire: elegantissimo con l’uniforme della nazionale, un doppiopetto di panno azzurro, pantaloni di flanella grigi, cravatta a strisce bianche e blu. Però fui colpita soprattutto dal suo humour. Mi fece ridere tutto il giorno sulla spiaggia e al ristorante. E quando seppe dei miei studi cominciò a interrogarmi sulla letteratura inglese, a partire dai Racconti di Canterbury di Chaucer. Certo rimasi sorpresa da questa cultura in un uomo di sport, cultura che poi seppi Ottavio si fece a casa per conto suo, non essendo mai andato a scuola. D’altronde leggere è sempre stato il suo passatempo preferito, insieme con il dormire. Ne aveva letti tanti di libri in prigionia».
Alla fine della giornata era nato qualcosa in Rosita. «Gli avevo dato 21 anni e invece ne aveva 27...». Ma le frequentazioni continuarono una volta tornati in Italia, complice quella simpatia che convinsero il papà e i fratelli di Rosita ad accogliere "Tai" nella loro famiglia. Cominciava così un sodalizio affettivo e professionale arricchito da tutti i colori della vita, quei colori che hanno sempre contraddistinto la moda Missoni. «Il buon umore, il sorriso è stato il nostro grande collante. Abbiamo spesso litigato in azienda ma una volta a casa i rancori rimanevano fuori dalla porta. Credo che l’aver scelto di vivere e produrre in campagna, dove ogni giorno assistiamo allo spettacolo delle Alpi e possiamo emozionarci per tutti i cambiamenti delle stagioni, sia stato utile a mantenere un certo spirito. Ce lo riconoscono anche i nostri dipendenti».
Di questi 60 anni e oltre, Rosita ama ricordare il complimento che le fa regolarmente Ottavio quando gli viene chiesto chi dei due è il creativo: «Sono io, ma lei ha creato me». «Ed è vero, senza di me, lui non sarebbe mai entrato nella moda». E Rosita invece cosa dice di Ottavio? «Che mi ha regalato una vita piena e meravigliosa. Lui così bello e simpatico che facilitava gli affari con le venditrici straniere canticchiando canzoni d’amore in francese... Gelosia? Ma no, o comunque me la sono tenuta dentro. Le uniche scenate gliele ho fatte per un giallo o un rosso in più che volevo in collezione...».
Alessandro Cannavò