Claudio Del Frate, Corriere della Sera 2/7/2012, 2 luglio 2012
MARONI LEADER DELLA LEGA: «VIA DA ROMA»
È nata la Lega di Maroni, ma l’evento era ampiamente annunciato; sarà una Lega «blindata» dal nuovo leader che è riuscito a far eleggere una segreteria composta quasi esclusivamente da suoi fedelissimi e anche qui nulla di imprevisto. È stato anche il giorno dell’uscita di scena di Umberto Bossi e in questo caso le reazioni erano imprevedibili. È finita con la platea dei delegati del congresso leghista di Assago divisa tra applausi e fischi al Capo, stanco e sopraffatto dalle lacrime al passo finale. «Adesso il bambino è tuo!» ha detto Umberto a Bobo al momento del passaggio delle consegne, con un «coup de theatre» che ha evocato i giorni migliori.
Il cuore, i nervi, la pancia; anche la ragione ovviamente: tutte le parti vitali del grande corpo leghista sono state messe sotto pressione nella fatale giornata di ieri. E se il finale era già scritto (per Maroni hanno votato per alzata di mano 614 delegati, 2 astenuti, 1 contrario), c’era grande attesa per due passaggi chiave: la linea che Maroni avrebbe dettato ai delegati e la reazione di Umberto Bossi.
Per il suo primo «discorso della corona», l’erede del Senatur ha lasciato nell’armadio la grisaglia da ex ministro preferendo la camicia verde. Ecco alcuni concetti chiave lanciati dalla tribuna congressuale. Il Sud? «È la nostra Grecia, la nostra pietra al collo. Adesso dobbiamo regionalizzare il debito; per 15-20 anni possiamo pagare anche quello degli altri, poi fuori dai c...!». Il governo Monti e le tasse? «Monti è il vero nemico della Padania, il nostro primo obiettivo è mandarlo a casa. Mi spiace che molti sindaci leghisti sull’Imu all’ultimo momento si siano tirati indietro; ma sarà guerra contro il patto di stabilità che affama i nostri Comuni». Gli immigrati? «I respingimenti dei clandestini li rifarei domani». Fino all’acuto che fa tremare il Forum fin dalle fondamenta: «Via da Roma! L’impegno della Lega è qua; chi se ne frega delle alleanze, chi se ne frega di stare con chi sostiene il governo Monti. Via da Roma vuol dire via dalle poltrone, via dalla Rai e dai doppi incarichi».
È stato il passaggio politicamente più importante perché lascia intendere la tentazione di Maroni di ritirare i parlamentari, forse di non far scendere il partito nell’agone politico dell’anno prossimo. Ma significa anche che in Lombardia l’appoggio a Formigoni ha i giorni contati, come dice Roberto Calderoli («conviene anche a lui passare il pallino»)? Decisioni rimandate al chiuso della segreteria politica, organismo rinnovato da capo a piedi e che i delegati hanno plasmato a immagine e somiglianza di Bobo: entrano infatti suoi fedelissimi, come il deputato bergamasco Giacomo Stucchi, il mantovano Gianni Fava, il leader dei Giovani Padani Paolo Grimoldi. Nel nuovo «cerchio maroniano» hanno più peso i veneti della cui pattuglia, però, fa parte anche Massimo Bitonci: unico, insieme con Manuela Dal Lago, a non essere omologabile al nuovo condottiero.
Maroni — che ieri ha anche stretto la mano all’ex capogruppo Marco Reguzzoni: un segno della volontà di mettere fine «alle beghe interne» — fa capire di voler puntare a una leadership forte: «Il nuovo segretario dovrà avere pieni poteri sulla linea politica; non avrò né tutele, né commissariamenti né ombre».
Ma proprio qui ecco rimaterializzarsi Umberto Bossi. Il fondatore del Carroccio è arrivato ad Assago in ritardo, ha costretto a scombinare la scaletta degli interventi; si temeva un colpo di coda del leader uscente. La «mossa del cavallo» non è arrivata ma alla fine le parole dette dal palco da Umberto sono state le uniche vere forme di dissenso rispetto al nuovo corso leghista. «Se siamo qui a fare questo congresso è per colpa della magistratura» ha attaccato suscitando anche parecchi fischi. E ancora: «Quelli che agitano le scope, se andiamo a fondo, farebbero bene a non agitarle troppo. Uno di loro è sindaco ma l’autista se lo faceva pagare dalla Lega». L’allusione sembra diretta a Flavio Tosi che in serata chiarisce: «Il mio autista è pagato attraverso contribuzioni volontarie». E poi sul nuovo statuto: «Vedrò se qualcuno mi ha imbrogliato. Volevo che il 20% di parlamentari e consiglieri regionali fossi io a indicarli». Ma qui è Zaia a replicare al vecchio «Capo»: «È stato votato praticamente all’unanimità».
Bossi poi riguadagna il palco per il passaggio dello scettro al nuovo re padano: «È un fratello!». È il momento del passo finale e delle lacrime. «E da stasera ricominciamo subito a lavorare, non vedrò nemmeno l’Italia» proclama Maroni. In pochi gli credono, ma il messaggio è lanciato ugualmente.
Claudio Del Frate