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 2012  luglio 01 Domenica calendario

LA TRAPPOLA DELL’AUSTERIT


I governi europei hanno combattuto la crisi finanziaria salvando le banche compromesse dalle loro ignobili manipolazioni (Barclays docet). I salvataggi sono costati molto denaro dei contribuenti e hanno fatto lievitare i debiti pubblici. Le regole di Maastricht e una distorta cultura dello sviluppo hanno indotto a perseguire politiche di austerità nel momento meno opportuno. Queste hanno indebolito la domanda peggiorando i conti delle imprese e, a seguire, quelli delle banche. Da Basilea, invece di riformare le banche troppo grandi, hanno pensato di imporre a tutti vincoli patrimoniali più stringenti. Ne è seguita una stretta al credito che ha ridotto gli investimenti e quindi lo stesso sviluppo; nuovi problemi alle finanze degli stati le cui entrate fiscali si sono assottigliate con conseguenti esigenze di maggiore austerità: siamo finiti in una trappola. Questa è l’interpretazione, più che condivisibile, dell’Ilo (Organizzazione mondiale del lavoro) e di Paul Krugman e Richard Layard nel loro «Manifesto per il buonsenso in economia».
Secondo i dati rilasciati dall’Istat giovedì scorso gli occupati nelle imprese italiane con più di 249 addetti nei primi 4 mesi di quest’anno sono diminuiti del 2,5% al netto della cassa integrazione. I regressi più marcati sono sempre nelle costruzioni (-6%) e nella manifattura (-2,5%); seguono i servizi direttamente collegati: quelli alle imprese per attività professionali, scientifiche e tecniche (-5,7%) e i trasporti (-3%). La dinamica favorevole delle esportazioni fa capire che il calo degli occupati non deriva da bassa competitività delle nostre imprese, ma da carenze di domanda interna. La flessione dei consumi (6,8%) è un’ulteriore prova.
Secondo i dati del BLS americano, nel primo trimestre la disoccupazione italiana era al 9,7% come in Francia. Un anno fa noi eravamo all’8,2% e i francesi al 9,3%. La Germania è invece scesa dal 6,8% al 6,3%, mentre la Spagna è salita dal 20,7% al 24,3%. Tra i minori di 25 anni d’età essa supera il 35% in Italia, il 22% in Francia e il 51% in Spagna. Nella meno infelice Germania è inutilizzato l’8% dei giovani. Da tutte le fonti statistiche vengono messaggi a senso unico. La citata Ilo calcola il tasso di disoccupazione nell’Unione Europea e negli altri Paesi avanzati all’8,5% coinvolgendo 45 milioni di persone; di queste 2,6 milioni sono in Italia dove la Confindustria prevede che il tasso salirà dal 10% attuale al 13,5% a fine 2013. Nei Paesi avanzati questa inefficienza di sistema si traduce in un minor Prodotto interno lordo valutabile in 3.300 miliardi di dollari, valore equivalente al Pil dell’intera Germania. Tutto ciò è l’effetto di politiche errate, comprese le riforme del lavoro che uno studio pubblicato dall’Ilo nel maggio scorso dimostra ininfluenti sui livelli di occupazione.
Occorre recuperare il mercato interno con sostegni «veri» alla domanda, specie dal lato degli investimenti. In contemporanea sarebbe bene chiedere all’Ue di adottare politiche doganali di reciprocità verso i Paesi (Cina e Brasile ad esempio) che hanno introdotto forti dazi sull’import dall’Europa frenando le nostre produzioni per l’export e favorendo le delocalizzazioni. Se la Bce riuscisse pure a svalutare il cambio dell’euro, manifestamente troppo elevato rispetto al dollaro, potremmo beneficiare di un effetto competitività tra il 30% e il 40% dei costi di produzione. Secondo l’Observer i britannici stanno tremando all’idea che la dissoluzione dell’euro sia come un asteroide che precipita su di loro senza che possano fare nulla per evitarlo. Ma noi possiamo: rimettendo la piena occupazione al primo posto nella politica economica.