Stefano Bucci, Corriere della Sera 30/6/2012, 30 giugno 2012
PIAZZA ARMERINA, RINASCE LA VILLA ROMANA MILIONI
Dopo quelle polemiche infinite lunghe dieci anni, solo sei quelli effettivi di lavoro, fa piacere sentir dire che del precedente allestimento, fine anni Cinquanta, firmato dall’architetto Franco Minissi «abbiamo in fondo cambiato solo la pelle, mantenendone l’anima». E che, addirittura, una parte di quella struttura in ferro e perspex, definita «una delle opere simbolo della moderna museografia» (comunque successivamente stravolta dai controsoffitti e dalle lastre di vetro intere al posto delle persiane laterali) verrà addirittura utilizzata per la nuova biglietteria.
Il 4 luglio viene inaugurato il nuovo percorso, guscio compreso — oltre 13 milioni il costo dell’impresa — della Villa del Casale di Piazza Armerina, in provincia di Enna, uno dei gioielli dell’arte romana antica (età di Diocleziano, IV secolo dopo Cristo), dal 1997 Patrimonio dell’Unesco ma per anni anche uno dei simboli dello sfascio dei beni culturali italiani. «Le polemiche? Me le aspetto. — dice al "Corriere" Gionata Rizzi, l’architetto che, con Guido Meli, curatore del restauro e direttore del parco archeologico della Villa, ha firmato il progetto della nuova copertura — Ma, al di là del giudizio estetico, abbiamo ottenuto quello che volevamo. E cioè che, grazie alla nuova copertura areata, in rame e legno, il visitatore possa finalmente ammirare, con calma e con la giusta temperatura, i mosaici della Grande Caccia o di Ulisse che vince Polifemo». E l’anima del progetto di Minissi? «È quella che farà camminare i turisti lungo le creste murarie della villa, senza dover calpestare i mosaici, riproponendo così il meglio della sua idea di museo, ma senza per questo dover rischiare ogni volta un colpo di calore o di freddo, a seconda delle stagioni».
Ma non di sola ricopertura si è trattato: «Abbiamo rimosso i detriti, la polvere, le alghe, i batteri che proliferavano sui mosaici appunto per colpa della copertura trasparente ora sostituita con vetri di materiale opaco. Il nuovo tetto potrà forse apparire a qualcuno fin troppo tradizionale ma sicuramente impedirà che si possano formare di nuovo». L’obiettivo è far arrivare a Piazza Armerina almeno 600 mila visitatori all’anno (le ultime medie oscillavano attorno al mezzo milione). Un obiettivo fin dalle origini nelle intenzioni di Meli e di Vittorio Sgarbi, che in qualità di Alto commissario per la Villa del Casale aveva sostenuto l’intervento per la nuova copertura. E che appare molto prossimo se si pensa alla bellezza dei mosaici (120 milioni di tessere per 4.100 metri quadri di pavimentazione) della Sala delle Ginnaste, del Triclinio o della Basilica (la stanza principale di questa villa, una delle maggiormente trasformate dall’intervento). Anche considerando la prossimità con un altro tesoro da poco «riacquistato», la Venere di Morgantina (solo venti chilometri separano la Villa dal museo di Aidone). Ma che al tempo stesso preoccupa: «Abbiamo paura dei possibili ingorghi, di non avere strutture sufficienti per accogliere tutti quelli che potranno arrivare».
Dunque, legno lamellare e rame verde come copertura (una copertura meno leggera visivamente ma più efficace) per evitare che la troppa luce potesse continuare a sbiancare i mosaici. E poi una nuova illuminazione e un’operazione di microchirurgia che ha permesso di recuperare la quasi totalità dei mosaici, anche grazie all’integrazione (una cinquantina i giovani restauratori impegnati) di varie tipologie di malte neutre e colorate a riprodurre l’alternanza dei tasselli. Ma a sorprendere è stata anche la scoperta di ottanta «nuovi» metri quadri tra portico colonnato, vasca absidata, pavimento a mosaico e affreschi.
Ai nostalgici della precedente copertura (che avevano condannato anche la nuova impostazione sul modello di «casa-museo» e che avevano raccolto un bel gruzzolo di firme contro il progetto) Rizzi ripete che «si trattava di una struttura degradata e comunque irrecuperabile». E pur apprezzandone la qualità estetica ribadisce: «Era colpa proprio della copertura se sembrava di essere sempre in una serra, freddissima d’inverno e soffocante d’estate, mentre l’umidità finiva per spaccare le tessere dei mosaici, favorendo la muffa e la fuoriuscita di sali dal sottosuolo. Per quello l’abbiamo sostituita con un rivestimento che ha migliorato anche la conservazione». E sempre per lo stesso motivo «abbiamo utilizzato un tetto e una pannellatura perimetrale che eliminassero l’effetto chiaroscuro delle ombre proiettate dalla struttura metallica sui pavimenti che rendevano praticamente impossibile apprezzare il fascino degli affreschi. Non mi pareva logico che per vederli bene bisognasse ogni volta sperare che non ci fosse il sole».