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 2012  luglio 02 Lunedì calendario

“La mia guerra solitaria per mandare ingalera i criminali nazisti” - Da piccolo sognava il mare

“La mia guerra solitaria per mandare ingalera i criminali nazisti” - Da piccolo sognava il mare. Da ragazzo voleva fare il magistrato. È diventato l’ultimo cacciatore di nazisti. Marco De Paolis, capo della procura militare di Roma, è l’investigatore che ha messo in piedi la Norimberga italiana, anche se forse in pochi se ne sono accorti. Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Fucecchio, San Terenzo, le stragi della Romagna, La Certosa di Farneta e Falzano di Cortona: una geografia di sangue. Ha incontrato scampati e parenti, ha interrogato soldati delle SS di allora. Ha cercato di dare giustizia a 3555 vittime innocenti. In questi giorni sta girando il Paese per presentare il libro «La ricostruzione giudiziale dei crimini nazifascisti in Italia». Dopo dodici anni immerso nelle nostre memorie più tragiche, è tempo di bilanci. Procuratore, può riassumere il suo lavoro con qualche numero? «Abbiamo aperto oltre 500 fascicoli d’inchiesta. Sono stati celebrati quindici processi, altri tre sono in corso. Abbiamo rinviato a giudizio 75 persone e ottenuto 55 condanne all’ergastolo, anche perché molti indagati nel frattempo sono morti». Come spiegherebbe a un ragazzo di 18 anni il famigerato armadio della vergogna: 695 fascicoli grondanti crimini nazisti nascosti e mai perseguiti fino al 1994? «Con la “ragion di Stato”, purtroppo. Cioè con valutazioni di carattere politico che si sovrappongono alle esigenze di giustizia, in alcuni casi fino a cancellarle». Lei dov’era quando qualcuno, finalmente, aprì quell’armadio? «Facevo il gip al tribunale militare di La Spezia. Sono incominciati ad arrivare i fascicoli. Ne ho fatti archiviare un centinaio. Ma nel 2000, quando sono diventato procuratore, li ho riletti da un altro punto di vista. Molti processi andavano istruiti». Cosa prova a rievocare in aula rastrellamenti, fucilazioni, bambini ammazzati a sangue freddo? «È molto duro, complicato. Ma c’è anche un fortissimo riscatto morale. Anche se ci siamo arrivati tardi, ci sono centinaia di famiglie che sperano e ci sostengono, non chiedono vendetta ma giustizia». Lei ha interrogato molti ex appartenenti alle SS. Cosa ha trovato in fondo ai loro occhi? «Spesso un’estrema freddezza. Nessun desiderio di alleggerire la coscienza. Sono persone che continuano ad essere legate a quella ideologia, nazisti nell’animo. A molti di loro i processi sono serviti per dimostrarsi ancora “fedeli”». Chi, per esempio? «Gerhard Sommer, uno dei condannati di Sant’Anna di Stazzema. Oppure il sergente Helmut Wulf, condannato per l’eccidio di Marzabotto». Nessuno dei condannati è in carcere. Come giudica il comportamento della Germania che respinge sempre al mittente i vostri mandati d’arresto? «Non so spiegarmi questo atteggiamento. Se non con la paura di essere coinvolta direttamente e magari vedere pregiudicata la propria immagine. L’esecuzione delle pene renderebbe più evidente il coinvolgimento dello Stato tedesco nei crimini di guerra». Formalmente come avviene questa risposta? «Ci sono stati due momenti distinti. Il primo, quando abbiamo emesso venticinque mandati d’arresto. Le procure tedesche ci hanno richiesto delle precisazioni con un atteggiamento estremamente formale. Poi ci hanno risposto che gli arresti erano incompatibili con il loro ordinamento».. Era la guerra, dicono. E la guerra è passata. Una storia chiusa. «Sì, dicono così, con molte perifrasi». Qual è il secondo momento? «È stata prospettata la possibilità di chiedere l’esecuzione della pena in Germania, quindi abbiamo avviato la procedura. Prevede una valutazione di carattere politico da parte del ministro della Giustizia italiano. Che a sua volta, in caso di parere positivo, dovrebbe chiedere all’omologo tedesco di eseguire la pena in Germania». A che punto siamo? «Abbiamo inviato le prime richieste nel 2008 e poi a seguire... Saputo più nulla». A parti invertite, come crede che si comporterebbe l’Italia? «I mandati d’arresto europei noi li eseguiamo». Ha mai la sensazione di essere un cacciatore di fantasmi? «Al contrario. Andando a fondo in queste storie, per quanto siano lontane nel tempo, si capisce che sono molto reali. Storie di carne e ossa». Il caporale Alfred Störk, unico responsabile ancora in vita della strage di Cefalonia,daleiaccusatodellafucilazione di almeno 117 ufficiali italiani, ha dichiarato: «Non avrei dovuto sparare. Ma adesso il procuratore De Paolis mi lasci in pace». Cosa gli risponde? «Che non dovrebbe dirlo a me, ma agli orfani dei caduti. E forse non avrebbe il coraggio di dirglielo in faccia». Crede che si chiuderanno mai i conti con la Storia? «Non credo si possano saldare. Noi non siamo capaci di fare giustizia neanche nelle piccole cose, figuriamoci... Mi sento sempre molto inadeguato a esercitare il mio ruolo...». Tralasciando il mero piano giuridico? «Forse. Se un popolo avesse la possibilità di riflettere e maturare, fino a compiere certi percorsi sulla pace e sui valori fondanti, allora il discorso potrebbe cambiare». E invece? «Credo che in questi ultimi dieci anni in Italia non ci sia stata un’attenzione adeguata all’importanza dei valori in gioco. Eppure sono convinto che ci sia un forte legame fra le stragi del nazifascismo e l’attualità. Conoscere quello che è stato - ma anche quello che è mancato - sarebbe estremamente importante».