HUGO DIXON, La Stampa 2/7/2012, 2 luglio 2012
IL DINOSAURO È ANCORA LÌ
Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí. «Quando mi sono svegliato, il dinosauro era ancora lì».
Questo racconto estremamente corto dello scrittore guatemalteco Augusto Monterroso riassume molto bene lo stato attuale della crisi europea. Il vertice della settimana scorsa ha fatto passi importanti per fermare il panico incombente. Ma le grandi economie dell’Italia e della Spagna si stanno ridimensionando e non esiste una visione condivisa e a lungo termine del futuro dell’eurozona. In altre parole, la crisi è ancora lì.
Le decisioni prese al vertice non sono da sottovalutare. L’accordo che permette al Fondo salva Stati di potere, in futuro, ricapitalizzare le banche direttamente e non attraverso gli Stati nazionali dovrebbe contribuire a rompere il vincolo che lega debitori nei guai con i governi nei guai. E’ un’iniezione salvifica sia per la Spagna che per l’Irlanda. Nel frattempo, aprire il Fondo salva Stati per stabilizzare il mercato del debito sovrano può bloccare la crescita dei rendimenti di Roma e Madrid a livelli insostenibili. E se nel frattempo ritorna la fiducia, la Spagna e l’Italia possono evitare di dover richiedere un salvataggio completo, o di ristrutturare i loro debiti. Mentre l’Irlanda, già inserita in un programma di salvataggio a titolo pieno, potrebbe uscirne e trovare di nuovo finanziamenti sui mercati.
La prima reazione dei mercati, venerdì, è stata positiva. I rendimenti dei titoli spagnoli a 10 anni sono scesi dal 6,9% al 6,3%, quelli italiani dal 6,2% al 5,8%, gli irlandesi dal 7,1% al 6,4%. Ma restano cifre troppo alte. E, con l’eccezione dell’Irlanda, i movimenti dei mercati di venerdì non hanno fatto altro che riportare i prezzi ai livelli di maggio.
Inoltre, man mano che vengono fuori i dettagli dell’accordo raggiunto, parte dell’euforia dei mercati rischia di evaporare. Dopo tutto, la Germania, che fa il gioco nell’eurozona, non ha firmato un assegno in bianco. Prendiamo il piano di ricapitalizzazione delle banche. Madrid prevede di iniettare nelle sue banche fino a 100 miliardi di euro, Dublino ha già dato 64 milioni di euro ai suoi creditori. La vera questione è se l’eurozona li rimborserà per l’intero ammontare degli investimenti, considerato che le quote delle banche non valgono tanto. Ciò appare improbabile. Ma se non venisse pagata l’intera somma, il sollievo dal fardello del debito per Spagna e Irlanda potrebbe risultare inferiore a quanto sperato.
Oppure guardiamo al meccanismo della stabilizzazione dei mercati. Le risorse del Fondo salva Stati sono limitate, e potrebbe non riuscire a contenere a lungo i costi del prestito italiano e spagnolo. Inoltre, per poter accedere a questo meccanismo, un Paese deve firmare un memorandum di intesa con gli impegni per riformare la propria economia. Significa che lo schema comunque comporterà l’assumersi un pregiudizio, il che probabilmente spiega perché Roma e Madrid non sono corse a firmarlo.
Ribadire che la Germania di Angela Merkel non ha firmato un assegno in bianco non significa mettere in dubbio il compromesso raggiunto al vertice. E’ essenziale che l’italiano Mario Monti e lo spagnolo Mariano Rajoy prendano ulteriori misure per rendere più competitivi i loro Paesi. Entrambi i primi ministri negli ultimi mesi hanno perso dinamicità e devono imbarcarsi in una seconda ondata di riforme. Se gli si dà soldi in cambio di nulla, non si sentiranno sotto pressione per agire.
L’incertezza che permane riguardo al funzionamento dei salvataggi bancari e della stabilizzazione dei mercati significa però che il vertice non ha prodotto un pacchetto di soluzioni chiare. E cercare ulteriori rimedi significa rischiare ulteriori problemi che innervosiscono gli investitori. Nel frattempo, le economie italiana e spagnola continuano a ridursi. Questo significa che non riusciranno a raggiungere gli obiettivi di riduzione del deficit che si sono poste, e il loro debito e la disoccupazione continueranno a salire.
Per dirla tutta, il vertice europeo ha prodotto un patto per la crescita da 120 miliardi di euro. Ma non è detto che riuscirà a spostare l’ago della bilancia. Bisogna fare altro per rilanciare la crescita. La soluzione più ovvia sarebbe una politica monetaria ancora più lasca della Bce.
La recessione comporta anche conseguenze politiche, soprattutto in Italia, dove al più tardi in primavera del 2013 si andrà alle urne. Sia Beppe Grillo, un comico il cui movimento populista Cinque Stelle dal nulla ha raggiunto il 20% dei sondaggi in pochi mesi, sia l’ex premier Silvio Berlusconi giocano la carta euroscettica. In queste circostanze il governo tecnico di Monti faticherà a raccogliere sostegno politico per nuove riforme. Gli investitori e i partner europei dell’Italia, a loro volta, avranno paura di quello che verrà dopo.
I leader dell’eurozona si sono anche accordati in linea di principio su un primo passo verso una visione più a lungo termine del futuro della regione: la creazione di un singolo supervisore bancario che «comprenda la Bce». Se potrà fare piazza pulita dei problemi in larghe fette del sistema bancario europeo non potrà che essere positivo. Ma alcuni Paesi non vorranno cedere il controllo sulle loro banche a un’autorità centralizzata e quindi resta la possibilità dell’emersione di nuovi problemi. Se la questione del supervisore bancario unico sarà probabilmente argomento di future discussioni, è logico aspettarsi divergenze ancora maggiori sull’ipotesi di un’unione politica e fiscale completa. Alcuni Paesi, come la Germania, vogliono più decisioni in comune, altri, comprensibilmente, temono di perdere la sovranità. Diversi Paesi più deboli vorrebbero mettere insieme i loro debiti, un’idea respinta giustamente dalla Merkel.
Il popolo europeo non è pronto per un’unione politica completa. E quindi la soluzione migliore sarebbe mantenere la perdita di sovranità e la condivisione del debito al minimo. Ma il vertice ha evitato di discutere questi grandi temi.
Il dinosauro è meno spaventoso di qualche settimana fa. Ma è ancora lì.