La Stampa 30/6/2012, 30 giugno 2012
IL CELLULARE A TEATRO
Ebbene sì. Eravamo a un bivio. A dicembre 2011 avevo conquistato biglietti per tutta la famiglia, per vedere, il 28 giugno, “Un ballo in maschera” al Regio. Poi, un giorno, precisamente il 24 giugno, l’Italia va in semifinale agli europei. E quando, la semifinale? Il 28 giugno, alla stessa ora del ballo in maschera. Che fare? Una partita del genere non si ripete, sarebbe un peccato non poterla poi raccontare, l’opera la rimetteranno prima o poi in cartellone.
Decisione finale: noi genitori all’opera e i figli a vedere la partita. Decisione difficile, anche se un po’ scontata. Atmosfera rovente, mentre ci rechiamo al Regio incontriamo schiere di tifosi dipinti tricolore; già suonano le trombette, i banchetti espongono bandiere biancorossoverde. Chissà come va a finire.
Spengo diligentemente il cellulare e mi avvolgo nella pashmina: al Regio, durante le repliche estive si gela. Anche i posti vuoti sembrano tanti, più del solito. Mi lascio prendere dalla storia: fosche tinte, amore, fedeltà, congiure. Ma non appena le luci si accendono per l’intervallo tanti piccoli lumini si accendono in sala. Sono i cellulari dei seriosissimi spettatori, che permettono di collegarsi col mondo esterno, con il “fatto del giorno” che si insinua nel melodramma. Devo confessare, pure io, accendo il piccolo tiranno e chiamo a mia sorella, in vacanza al mare, sicuramente in passeggiata davanti a qualche maxischermo. Due a zero. Chissà cosa succede fuori. Mio marito era uscito nei foyer a cercare notizie ma torna a secco: sono io la portatrice della lieta novella! Riprende lo spettacolo. Bello, coinvolgente, strappa anche applausi a scena aperta. Il cellulare vibra nella borsa. Un sms mi dice: “Finita! 2 a 1”!! Comunico a gesti con mio marito mentre Renato minaccia di morte la povera Amelia. Chi l’avrebbe mai detto! No, non che l’Italia avrebbe vinto. Che IO avrei usato il cellulare a teatro: mai dire mai.
GIANFRANCA FRA