ROBERTO CONDIO, La Stampa 30/6/2012, 30 giugno 2012
La carica dei nuovi italiani portacolori alle Olimpiadi - Tutti pazzi per Balotelli, adesso. Per l’Italia dei «nuovi italiani»
La carica dei nuovi italiani portacolori alle Olimpiadi - Tutti pazzi per Balotelli, adesso. Per l’Italia dei «nuovi italiani». C’è Super Mario, figlio di ghanesi nato a Palermo e adottato da bresciani. Ci sono anche Ogbonna, nato a Cassino da nigeriani, e Thiago Motta, oriundo brasiliano. Forzando un po’, c’è pure Montolivo, con mamma tedesca. Quattro su 23, nella Nazionale del calcio, specchio di un Paese che cambia. Un’anticipazione di quel che sarà la nostra squadra olimpica. Perché sui 276 atleti già col pass in mano, 27 sono «nuovi italiani». Quasi il 10 per cento. Quasi un record, considerati i 39 su 372 di Atene 2004, quando però il numero fu gonfiato dai 13 «paisà» del baseball. Guarda caso, l’ultima a qualificarsi è stata proprio una «sorella» di Balotelli. Anche Gloria Hooper, freccia dei 200, ha genitori ghanesi ma natali a Villafranca di Verona. Mario e Gloria come tanti altri azzurri acquisiti che ci regalano emozioni. È il mondo del 21° secolo, indietro non si torna. Francia, Germania e Gran Bretagna, solo per restare alle altre «grandi» d’Europa, sono multietniche da decenni. Non ci fanno più caso. Da noi, il melting pot fa ancora notizia. Anche se a Sydney 2000 sfilò col tricolore in mano un cestista nato a Londra da padre caraibico e mamma pesarese. Carlton Myers segnò la storia. La prima vera accelerata, però, l’aveva data l’amore. Quello dei nostri uomini per le straniere. Matrimoni con atlete che hanno fatto più forte il nostro sport. Cominciò Josefa Idem, tedesca di Ravenna, a Barcellona 1992. Poi, ad Atlanta 1996, si aggiunse Fiona May, inglese di Toscana. E ancora, da Sydney 2000, la moldava modenese Natalia Valeeva; da Atene 2004, la cinese mantovana Wenling Tan e l’ungherese di Campania Noemi Toth. Fino al boom delle cubane di Pechino 2008: Grenot e Martinez nell’atletica, Aguero nel volley. Tutte mogli di italiani. Qualcuna, nel frattempo, è diventata anche madre. Tre di loro le ritroveremo dal 27 luglio: Londra sarà l’ottava Olimpiade per la canoa della Idem-Guerrini, la sesta per l’arco della Valeeva-Cocchi e la terza per la racchetta della Tan-Monfardini. Sarà invece la prima azzurra per Nadia Ejjafini, marocchina di Biella, e per Amaurys Perez, cubano che ha sposato la cosentina Angela. Perez fa il difensore nel Settebello, l’Italia più eterogenea che ci sia. Con lui gioca Pietro Figlioli, nato in Brasile con un papà ex campione di nuoto carioca, poi naturalizzato australiano e azzurro dal novembre 2009. Ci sono poi Deni Fiorentini, croato fino al 2006, e Alex Giorgetti, natali e mamma Katalin ungheresi. E ancora non basta, perché del gruppo del ct Campagna fanno ancora parte Tamas Marcz, ungherese fino al 2004, e Daniel Premus, croato fino a due anni fa. Anche quelli del volley pendono verso Est. Ma i casi di Dragan Travica, Michal Lasko e Ivan Zaytsev sono diversi: i loro padri hanno tutti militato nella nostra A1 negli Anni 80. Dragan è nato a Zagabria, Michal a Wroclaw, Ivan a Spoleto ma s’è presto spostato nella Russia dei genitori. Poi, sono venuti in Italia. Qui hanno cominciato a giocare, qui sono diventati uomini e campioni. Con gli accenti delle loro regioni d’adozione. Cantano l’inno di Mameli a squarciagola, non vedono l’ora di vivere la loro prima Olimpiade. Anche per Jiri Kovak sarà il debutto. Papà Petr e mamma Milada erano pallavolisti: cechi trasferiti per sport in Germania, accompagnarono il figlio tredicenne a un camp della Sisley. Da allora, Jiri è trevigiano, anche se per la cittadinanza ha dovuto aspettare l’agosto 2010. Funziona così, da noi. Si è italiani per diritto di sangue, trasmesso da papà e/o mamma. Altrimenti, lo si diventa per matrimonio. O, nel caso di figli di stranieri, dopo 10 anni di residenza. Che, per quattro azzurre, ormai sono molti di più. Come Gloria Hooper anche la spadista Nathalie Moellhausen è nata da noi. Però, da papà tedesco e madre brasiliana. Edwige Gwend, judoka, arrivò a Parma dal Camerun a soli 9 mesi. Oggi ha 22 anni, due in meno di Noemi Batki, tuffatrice, che quando ne aveva 3 lasciò l’Ungheria con la madre, da sempre sua allenatrice. Storie di immigrazione, di sacrifici fatti per coronare un sogno che si chiama Olimpiade. Storie di permessi e passaporti sofferti. «Nuovi italiani» simboli di un Paese e, di conseguenza, di un movimento sportivo che viaggia al passo col mondo. Vite che s’incrociano, gente che si integra e, nelle diversità, fa crescere un popolo. Valgono le parole di Giorgio Napolitano: «Non comprendere la portata di questo fenomeno e quanto sia un necessario contributo per il Paese, significa non saper guardare la realtà». Quella degli «italiani 2.0» che, come disse il Presidente della Repubblica a fine 2011, «rappresentano un’energia vitale di cui abbiamo bisogno». Anche per vincere un Europeo di calcio o qualche medaglia olimpica in più.