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 2012  luglio 01 Domenica calendario

IL FISCO INGUAIA PASSERA

Milano
Parte da Biella, in Piemonte, una nuova inchiesta penale sui trucchi fiscali delle grandi banche italiane. E questa volta la pista porta fino a Corrado Passera, l’ex capo di Intesa che da novembre siede sulla poltrona di ministro dello Sviluppo economico. L’indagine riguarda un gioco di sponda finanziario con una società inglese creata ad hoc. Questa ed altre acrobazie contabili, che risalgono al 2006, hanno consentito al grande istituto milanese di risparmiare più di un miliardo di tasse. Un articolo del quotidiano La Stampa, che ieri ha anticipato la notizia, rivela che Passera è indagato perchè, in qualità di amministratore delegato, ha firmato la dichiarazione fiscale di Intesa.
CHE C’ENTRA Biella? Semplice, nella cittadina piemontese ha sede Biverbanca, che faceva capo all’istituto guidato dal futuro ministro. Come succede normalmente per i grandi gruppi, i proventi di un affare gestito a livello di tesoreria centrale sono stati poi suddivisi tra diverse controllate, compresa l’ex Cassa di risparmio di Biella e Vercelli, ribattezzata Biverbanca. L’indagine nasce da una una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza di Milano che portato a un processo verbale di contestazione all’Agenzia delle entrate. Quest’ultima un anno fa ha girato la documentazione alla procura di Biella perchè approfondisse eventuali aspetti penali che riguardano la posizione di Biverbanca. Va detto che segnalazioni analoghe sono state inviate alle procure di tutte le città dove hanno sede le banche targate Intesa coinvolte nel presunto illecito fiscale. A cominciare, ovviamente, da Milano, dove si trova il quartier generale della capogruppo. Al momento, però, che si sappia, solo Biella ha ritenuto che ci fossero gli estremi per avviare un’indagine.
L’operazione sotto inchiesta assomiglia molto a quella che poco meno di un mese fa è costata il rinvio a giudizio all’ex amministratore delegato di Unicredit (ora presidente del Monte dei Paschi) Alessandro Profumo. Negli anni tra il 2004 e il 2008, gli anni della grande bolla finanziaria tra derivati Borsa e boom del mattone, i banchieri nostrani avevano scoperto una nuova miniera d’oro. Aggrappandosi a norme e cavilli della nostra legislazione tributaria sono state allestite operazioni miliardarie in cui grandi flussi di denaro partivano dall’Italia rimbalzavano oltrefrontiera, il più delle volte a Londra, e infine rientravano alla base. Questo gioco virtuale ha fruttato profitti altissimi. E le tasse? Il minimo indispensabile, perchè il gioco di sponda era stato studiato con l’unico obiettivo di creare un cuscinetto di crediti fiscali da utilizzare per dare un taglio alle imposte complessive della banca in questione.
A muovere questa giostra off shore erano i grandi broker della finanza internazionale che proponevano pacchetti chiavi in mano ai maggiori istituti di credito italiani. Intesa, per esempio, ha utilizzato un veicolo societario britannico, denominato La Defense II plc, messo a disposizione dal Credit Suisse. Unicredit invece si è affidato all’inglese Barclays bank, che ha allestito il progetto con il nome i codice di “Brontos”. Il giocattolo è andato in frantumi quando a partire dal 2009 la Guardia di finanza e poi l’Agenzia delle entrate hanno contestato alle banche di aver abusato di norme di legge con il solo scopo di aggirare o ridurre le imposte dovute. È il caso per esempio del credito fiscale creato da Intesa con l’operazione via Londra.
DOPO LE PRIME schermaglie legali, tutti gli istituti coinvolti nell’indagine hanno preferito arrivare a una transazione con le autorità tributarie. Già nel 2010 il Banca Popolare ha pagato 190 milioni per metter fine alla vertenza. Nel 2011 Unicredit ha versato 191 milioni per gli esercizi tra il 2005 e i 2006, mentre il Monte dei Paschi si è accordato per 270 milioni. La stessa Intesa, come risulta dal bilancio 2011, ha regolato una serie di pendenze con il Fisco sborsando 270 milioni contro una contestazione complessiva tra mancate imposte, sanzioni e interessi di oltre un miliardo, per la precisione 1.150 milioni di euro.
Il fatto è, però, che la vertenza penale è andata avanti per la sua strada. E la procura di Biella, dopo aver acquisito una gran mole di documenti anche nella sede centrale dell’istituto, ha deciso di muoversi ipotizzando i reati di dichiarazione infedele e dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. Un’indagine che comunque, al momento, riguarda solo i proventi dell’affare attribuiti a Biverbanca, una parte minima, quindi, della somma contestata a suo tempo dall’Agenzia delle entrate. Curiosità finale. Nel 2007, l’anno dopo l’affare finito sotto inchiesta, Intesa ha venduto per 399 milioni al Monte dei Paschi la quota di controllo della banca biellese. Che aveva in bilancio anche il profitto del gioco di sponda fiscale.