Marco Bellinazzo, Il Sole 24 Ore 30/6/2012, 30 giugno 2012
ITALIA-SPAGNA, SFIDA TRA BUSINESS
Italia-Spagna non sarà solo la sfida tra le squadre che hanno conquistato le ultime due edizioni della Coppa del mondo. A contendersi domani il titolo di Euro 2012 saranno anche due Nazionali espressione di modelli di gestione del business calcio alternativi, se non contrapposti. Quello italiano più “democratico” e “collettivistico”; quello iberico “oligarchico” e “ultra-meritocratico”. A guardare i numeri, quello spagnolo sembrerebbe avere una marcia in più. Perlomeno a partire dal campionato 2005/2006 – come certificano i dati elaborati da Deloitte –, quando la Liga ha culminato la sua rincorsa sulla seria A. Da sette stagioni il torneo iberico ha un giro d’affari più ampio e il gap tra le due manifestazioni è andato consolidandosi intorno al 10 per cento. A fine stagione 2010/2011 la Liga ha conseguito ricavi per 1,7 miliardi a fronte di 1,5 miliardi di entrate dei 20 club di serie A.
Il vantaggio economico della Liga peraltro si è tradotto anche nella creazione di valore a favore della Nazionale. Le Furie rosse orchestrate da campioni del calibro di Xavi e Iniesta, rappresentano oggi una squadra che al calciomercato potrebbe costare oltre 600 milioni di euro, il doppio del prezzo dei cartellini dei 23 Azzurri. Quotazioni destinate a salire, anche se bisogna considerare che si tratta di giocatori già affermati, il cui costo è poco influenzato dall’esito di singole competizioni e che nella maggior parte dei casi non sono oggetto di trattative in virtù dei lunghi e remunerativi contratti che li legano ai rispettivi club.
In generale, fra il 2006 e il 2011 la Liga ha incassato circa 7,5 miliardi contro i 6,9 della serie A. Ma mentre i ricavi italiani sono sempre più sbilanciati sui diritti tv (4,2 miliardi), in Spagna si è riusciti a contenere questa voce sui 3,2 miliardi, meno della metà del totale, incrementando botteghino, sponsor e merchandising.
Le performance spagnole però sono frutto di un’organizzazione dominata dalle due regine Real Madrid e Barcellona che insieme fatturano rispettivamente oltre la metà del reddito complessivo della Liga (rispettivamente di 479 e 450 milioni).
Le due società hanno raggiunto la vetta del calcio europeo grazie a una struttura associativa che le rende una sorta di public company solidamente radicate nel territorio e hanno potuto attirare nel recente passato i fuoriclasse mondiali sfruttando una legislazione fiscale molto favorevole (la cosiddetta “legge Beckham” che prevedeva un’aliquota agevolata al 24% per i lavoratori stranieri residenti in Spagna più ricchi). Oggi i regimi tributari sono sostanzialmente equivalenti, ma il vantaggio competitivo è ormai acquisito. Né potrà essere eroso – almeno nel breve periodo – dalla crisi che ha colpito il sistema bancario spagnolo, storicamente molto generoso con i due club. Real e Barcellona hanno debiti rilevanti, è indubbio. I madrileni, al 30 giugno 2011, avevano debiti di breve termine per 241 milioni di cui 118 verso le banche e 343 di lungo termine (48 verso le banche). I debiti di breve termine dei catalani, invece, ammontano a 168 milioni (107 verso istituti di credito), e quelli di lungo termine a 410 (50 verso le banche). Quest’anno la situazione potrebbe essersi aggravata. Tuttavia, a fronte di questi debiti Real e Barca generano flussi di cassa invidiabili: non essendo ingabbiati da una legge come la Melandri che impone la cessione collettiva dei diritti di trasmissione del campionato, ricavano dalle tv attraverso vendite individuali circa 180 milioni a testa; ricavano inoltre, rispettivamente, 123 e 110 milioni dalla biglietteria e 172 e 156 milioni dal settore commerciale. Pagano, è vero, lauti stipendi (parliamo di 216 e 241 milioni nel 2011), ma il rapporto salari-fatturato si attesta sul 45 e sul 53%, ben al di sotto del 70% fissato dal fair play finanziario. Dunque, se le due “regine” resisteranno alla crisi, le altre squadre iberiche che devono accontentarsi di meno della metà di una torta che (per loro) va restringendosi, faranno molta più fatica. Non a caso diversi club sono già da tempo in amministrazione controllata e sono sull’orlo del fallimento. Una fine da cui i pur indebitati club italiani sono lontani.