Marco Biscella, Il Sole 24 Ore 2/7/2012, 2 luglio 2012
LA FINANZA INNOVATOVA “VALE” PIÙ DI 120 MILIARDI
Project financing, cartolarizzazioni, derivati, fondi immobiliari e mobiliari, emissioni obbligazionarie. Negli ultimi vent’anni la finanza innovativa ha sempre più invaso l’ambito applicativo pubblico e ha cambiato in profondità le opzioni di funding tradizionalmente assunte. Un fenomeno che ha una significativa consistenza finanziaria, stimabile in oltre 120 miliardi di euro, «potenzialmente rischiosa perché le leggi di contabilità pubblica permettono a buona parte di questo impegno di sfuggire a un’adeguata rappresentazione nei bilanci degli enti territoriali». L’universo degli strumenti utilizzati è molto composito (si va dalla finanza strutturata ai prodotti finanziari per la prima volta acquisiti alla sfera pubblica) e rappresentano «una grande opportunità che va assolutamente perseguita per garantire la sostenibilità di molte politiche non più perseguibili senza un rapporto con il mercato». Purtroppo, l’evoluzione normativa è stata «caotica, discontinua e a volte contraddittoria», nell’alveo di un processo verso il federalismo «ancora inattuato sul piano formale e ancor più su quello sostanziale» e da un Patto di stabilità interno «non meritocratico e asfissiante».
A tracciare, per la prima volta e in chiave interdisciplinare, il perimetro di questi nuovi modelli di finanziamento - indotti dalla progressiva riduzione dei trasferimenti centrali e dalla limitata autonomia fiscale locale - è il Rapporto di finanza pubblica intitolato "Finanza pubblica e federalismo. Strumenti finanziari innovativi: autonomia e sostenibilità" (Maggioli Editore, 794 pagine, 48 euro), promosso da Fondazione Rosselli e curato da Marco Nicolai, direttore scientifico dell’Istituto per la finanza innovativa e pubblica (Ifip) di Fondazione Rosselli e professore di Finanza aziendale straordinaria presso l’Università di Brescia.
«La novità di questo Rapporto – commenta Francesca Traclò, direttore della Fondazione Rosselli – sta proprio nel voler comprendere quale impatto, sul campo, abbia prodotto, in termini di efficienza e di efficacia, l’adozione ampia e diffusa degli strumenti di finanza innovativa, cercando di rileggere criticamente i dati qualitativi e quantitativi emersi dalle esperienze analizzate, per offrire ai policy maker le indicazioni migliori».
Il fil rouge è rappresentato dalla correlazione tra i problemi legati all’impiego in ambito pubblico degli strumenti finanziari innovativi e l’evoluzione verso federalismo e maggiore autonomia finanziaria degli enti territoriali. «La finanza innovativa pubblica - commenta Nicolai - può essere una risposta adeguata alle esigenze finanziarie del territorio. Richiede però un deciso commitment politico e una libertà di manovra finanziaria che gli enti territoriali non hanno ancora conquistato».
Oltre alle opportunità, il Rapporto mette in luce diversi punti critici. Innanzitutto sul federalismo. «Siamo ai blocchi di partenza - sottolinea Nicolai - e il cantiere federalista è in gran parte ancora inattuato. L’autonomia, nuovo paradigma degli enti locali sul piano costituzionale dal 2001, anziché essere esaltata, risulta contratta. E ciò alimenta inefficienze e scarsa responsabilità».
Critica anche la continua revisione delle regole, soprattutto nel campo di project financing, emissioni obbligazionarie e derivati, che «allontana gli operatori e impedisce una vera programmazione finanziaria nella sfera pubblica».
Giudizi poco lusinghieri piovono sul Patto di stabilità interno (Psi), ridotto a «stupido algoritmo» che impone vincoli e limiti agli enti territoriali senza assicurare meritocrazia ed efficienza nella loro gestione finanziaria. «Le frustranti e invasive regole del Patto di stabilità - commenta Nicolai - hanno portato a premiare come virtuosi Comuni in dissesto finanziario o che lo sono stati l’anno successivo, come per esempio è successo per i premi 2009 ai Comuni di Napoli, Benevento, Velletri e Rocca Priora. Si pensava di aver sacrificato con il Patto l’enfasi sulla crescita a favore della stabilità. I fatti dimostrano che non si sono garantite né l’una, né l’altra». Non solo: il Rapporto mostra come il Psi, considerando debito solo quello finanziario con le banche e non quello commerciale con le imprese, «abbia spinto la pubblica amministrazione a far cassa presso il sistema industriale. Un’anomalia nota a Bruxelles, tanto che è stata oggetto di raccomandazione nella famosa lettera della Bce al Governo italiano del settembre 2011».
A tutto questo, poi, si aggiunge il fatto che nella pubblica amministrazione si nota una mancanza di conoscenze tecniche e professionalità adeguate, nonché di presidi organizzativi per la gestione della finanza innovativa.
Come migliorare allora questa situazione? Conclude Nicolai: «Occorre predisporre modelli di selezione e accreditamento all’uso di questi strumenti da parte degli enti, valutando i loro requisiti organizzativi e di governance per evitarne un utilizzo improprio e distorsivo. E poi, come ci insegnano le best practices adottate all’estero, gli enti vanno supportati da task force dedicate proprio alla finanza innovativa».