Francesco Piccolo, Corriere della Sera - Roma 02/07/2012, 2 luglio 2012
IL GUSTO DEGLI ALTRI E IL SENSO DI EATALY
Credo che se si vuole trovare una cosa che rappresenti Eataly Roma, il suo gusto allo stesso tempo sofisticato e popolare - una sorta di «bellezza per tutti» - si possono scegliere «le patatine all’aceto balsamico». Parlo proprio di quelle in busta, che ti danno di solito in numero risicato in un piattino accanto all’aperol. Ecco: sono molto buone, sono del tutto insensate, e hai la sensazione che ti facciano bene. Questo è, in sintesi, Eataly. Una specie di invenzione riuscita sulla quale non avresti mai scommesso. E Eataly Roma - che è il più grande di tutti gli Eataly del mondo - ma questa non è una sorpresa, perché ormai si costruiscono soltanto luoghi che sono i più grandi del mondo (che si tratti di Ikea, centri commerciali o grattacieli). In pratica, sono quattro piani dell’Air Terminal Ostiense, un posto gigantesco e molto bello, che finora non era servito a nulla, e adesso è riempito di cibo e bevande fino all’ultimo angolo. Cibo da comprare, da mangiare, da assaggiare. Tutto di qualità eccellente. Per tutte le tasche: dalla panineria, fino a un tavolo grande che si chiama «il tavolo dei 10 fortunati», in cui da settembre i più grandi chef del mondo cucineranno per i dieci che vinceranno la lotteria. Solo che la lotteria di solito consiste nel comprare un biglietto da un euro o due. Qui invece chi vuole sedersi deve fare un’asta sul sito e la base di partenza dell’asta è di 300 euro, e si arriverà di sicuro a cifre astronomiche. Però i soldi verranno dati in beneficenza. Bisogna vedere se i 10 spenderanno migliaia di euro con la scusa di una cena per dare i soldi in Africa, oppure con la scusa dei soldi in Africa mangeranno piatti irripetibili, ma con la coscienza a posto.
Però - appunto - a prescindere dai ristoranti, a Eataly si vende roba da mangiare e da bere, prodotta in Italia e di qualità altissima, di qualsiasi tipo: pasta, carne, pesce, olio la cui extraverginità è complicatissima, birre artigianali che hanno procedimenti lunghi quanto la costruzione della diga di Suez. A proposito di questo, Eataly Roma ha una caratteristica fondamentale che devo ancora capire se è casuale perché nei primi giorni la quantità di gente è straripante; o se è dedicata ai romani perché si annoiano subito; oppure se è frutto di un sondaggio accurato per capire cosa vuole l’italiano medio.
La questione è la seguente: come sanno tutti coloro che hanno avuto a che fare con uno Slow Food, ogni alimento o bevanda è stato (per semplificare) coltivato e/o fatto e/o conservato nel miglior modo possibile, nel modo più naturale possibile. Per farvi capire, l’aranciata e la gazzosa sono le più buone che avete mai assaggiato. Ma la cosa davvero sorprendente e molto positiva, sta nel fatto che i lavoratori di Eataly sono gentili e disponibili e competenti, ma non stanno lì a spiegarti, quando ti siedi a mangiare la pizza fatta con farina naturale macinata a pietra del Mulino Marino, come si fa e cos’è la farina naturale, la macina a pietra e il Mulino Marino. Di solito, le persone competenti possono spiegarvi per un’ora e mezza questo procedimento, convinti che la questione vi appassioni. Uno dei grandi difetti di queste persone è che credono che le cose interessanti, siano interessanti sempre e per chiunque, qualsiasi tempo durino. Insomma, non è che uno per accendere la luce sul comodino deve per forza sapere come si diffonde la corrente e con quale procedimento si illumina la lampadina. Preme l’interruttore e legge il libro. Basta.
Dico questo, perché io lo so cosa vuole l’italiano medio, essendo io stesso l’italiano medio perfetto, avendo mutuato la mia filosofia di vita, quando ero un ragazzino, da un personaggio di un vecchio programma tv, l’Altra domenica: il personaggio era interpretato da Andy Luotto, e di qualsiasi cosa succedesse nel mondo, aveva due singoli e lapidari giudizi: bbuono; no bbuono. Questa cosa a me ha subito convinto. Quindi, quando mi sono seduto nella minipizzeria di Eataly e ho assaggiato la pizza con le farine naturali macinate a pietra, ho detto solo: bbuono. Ed era davvero una pizza buonissima. E questo può bastare.
Ho mangiato la pizza perché c’era lì l’unico tavolo libero. Per il resto, c’erano file di decine di persone per ogni ristorante, pasticceria, gelateria, panineria, osteria. Nelle prime settimane sarà così, la curiosità è tanta. E del resto, entrare in un luogo dove puoi scegliere tra i migliori pomodori coltivati in qualsiasi regione, o mozzarelle fatte davanti a te, è un colpo d’occhio pazzesco. Anche se un oste romano, che ho incrociato e al quale ho chiesto, cosa te ne pare, ha detto con aria scettica: mi aspettavo di più.
E dire mi aspettavo di più di un posto di quattro piani pieno di ogni ben di Dio, esposto in modo ragionato e con libri che parlano di ogni singolo argomento; con cioccolate e liquirizie nel corridoi di passaggio; e con un sistema di pagamento, ordinazione e servizio che sono pazzeschi e che non si capisce perché funzionino in un luogo di migliaia di metri quadrati e non nell’osteria sotto casa dove aspetti mezz’ora che ti portino l’antipasto, è molto molto azzardato.
Difetti ce ne saranno, di sicuro. E del resto, più si è competenti, più si riconoscono. Però un luogo del genere è una contraddizione risolta: un megastore di qualità, un ipermercato sofisticato. Uscendo dal quale, noi italiani medi non possiamo dire molto altro che: bbuono