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 2012  luglio 01 Domenica calendario

SPENDE E STA DA PASCIA’ IL BOSS DI POGGIOREALE

Il caffè di Ciccirinella a Poggioreale non è un lusso per pochi. La crema d’arabia del recluso cantato da Fabrizio De An­dré, più che un innocente piacere da galeotto è diventato uno smacco. I 2.700 detenuti del carcere partenopeo ricevono dai familiari 640 mila euro al mese, in totale 8 milioni di euro all’anno, «senza tracciabilità e con il ri­schio di manovre neppure troppo oscure della camorra», denuncia un dirigente del­la polizia penitenziaria. Le nuove norme consentono ai parenti dei reclusi di depositare al Bollettario, la cas­sa dell’istituto di pena, fino a 200 euro alla settimana per ogni congiunto dietro le sbar­re, per un massimo di 800 euro al mese. Tut­to considerato un discreto gruzzolo, dato che il loro mantenimento è a carico della co­munità.
Ma che ci faranno i ristretti di Poggioreale con quei soldi? Niente di illegale, in appa­renza. I reclusi possono approfittare del so­pravvitto, ordinando presso una sorta di su­permercato interno generi alimentari che possono cucinare in cella con i fornellini a gas e altri beni: cosmesi, sigarette, bibite. Il risultato è che secondo il Sappe, il sindaca­to autonomo di polizia penitenziaria, ogni giorno 2.500 pasti vengono buttati via: l’e­quivalente di pranzo e cena di 1.250 reclusi su 2.700. Già, perché all’ora di pranzo i cor­ridoi degli otto padiglioni profumano di pa­stasciutta di Gragnano, di polpette di pesce, di torte fragranti. Per finire con la crema d’Arabia che sbuffa dalle caffettiere, per dir­la ancora con De André, co’ à ricetta ch’à Cic­cirinella/ compagno di cella/ ci ha dato mammà.
Il sovraffollamento delle volte è una bene­dizione. A Poggioreale sono in 2.700 su una capienza di 1.500. In otto o in dieci per cel­la si sta stretti, ma vuol anche dire che in molte «camere di detenzione si può dispor­re di quasi ottomila euro al mese», fa i conti Donato Capece, segretario generale del Sap­pe.
Di fatto metà del cibo preparato e pagato dallo Stato «finisce nella spazzatura: e que­sto è vergognoso, oltreché immorale – de­nuncia Capece – in tempi di crisi come quel­li attuali». Che si facciano o no da mangiare in proprio, l’amministrazione penitenziaria deve comunque far preparare i pasti per tut­ti i reclusi. Facile, dietro al giro di così tanti soldi, vedervi la mano della camorra. «La maggior parte dei detenuti cucina da sé e ai più indigenti – spiega ancora Capece – i boss forniscono la sussistenza quotidiana rifor­nendoli di cibo, che diventa quindi occasio­ne di affiliazione e sottomissione».
Che Poggioreale sia un mondo a parte lo con­fermano le statistiche: nelle altre realtà car­cerarie ogni detenuto riceve dall’esterno me­diamente quattro volte di meno. Un altro a­gente penitenziario in servizio nell’istituto di pena napoletano aggiunge un tassello. «Ci sono detenuti poveri che potrebbero essere usati dai ’capi’ che si trovano in carcere co­me prestanome, per far arrivare più denaro ai boss attraverso i familiari dei compagni di cella». La questione è stata già portata sul ta­volo del premier Mario Monti e del ministro della Giustizia Paola Severino, che sull’argo­mento hanno ricevuto denunce circostan­ziate.
La faccenda, infatti, è gravida di risvolti. Non solo perché un detenuto stipendiato non ha alcun interesse a svolgere attività di lavo­ro interno, vanificando i tentativi di recupe­ro e reinserimento sociale. «Ma com’è pos­sibile – si domanda ancora Capece – che sog­getti e famiglie che risultano indigenti e nul­latenenti siano in grado di depositare quel­le somme di denaro a favore di detenuti per i quali lo Stato si fa carico delle spese legali assicurando il gratuito patrocinio?».
Viene da dar ragione a Cafiero Pasquale, il brigadiere che nel testo di De André confi­da tutta la sua rassegnazione al boss dete­nuto don Raffaè (Cutolo): «Prima pagina ven­ti notizie, ventuno ingiustizie, e lo Stato che fa? Si costerna, s’indigna, s’impegna, poi get­ta la spugna con gran dignità».