Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 01 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA. MARONI SEGRETARIO DELLA LEGA


REPUBBLICA.IT
ASSAGO (MILANO) - Lacrime, quelle di Umberto Bossi. Sorrisi, quelli di Roberto Maroni e dei suoi sostenitori. E applausi. La seconda e ultima giornata del Congresso federale della Lega Nord al Forum di Assago è stata segnata da un mix di emozioni che ha segnato il passaggio tra la vecchia e la nuova gestione del partito. Non sono mancate frasi polemiche e frecciate nei discorsi: con il nuovo segretario del Carroccio, eletto con voto palese per alzata di mano, che ha subito rivendicato la volontà di agire senza ’tutele e commissari’ e il senatur, che ha voluto leggere il testo dello statuto appena approvato, temendo ’imbrogli’. Una giornata difficile per Bossi che, dopo la proclamazione di ’Bobo’, riprendendo la parabola legata a Re Salomone, ha spiegato di aver agito per evitare la divisione della Lega: "Ho fatto come la donna di quella parabola che lascia il bambino alla rivale pur di non farlo tagliare in mezzo. Il bambino è tuo", ha detto l’ex leader del Carroccio. ’’Umberto Bossi per me è mio fratello, lo porterò sempre nel cuore - ha commentato commosso Maroni - ma oggi inizia una fase nuova’’.
L’intervento di Maroni. Poco prima l’ex ministro dell’Interno aveva preso la parola mettendo in chiaro la sua posizione e la volontà di lavorare senza tutele e commissariamenti: "Voglio dirlo subito: patti chiari, amicizia lunga. Non me l’ha ordinato il medico di fare il segretario federale. Il segretario federale lo voglio fare come deve essere fatto da statuto: senza tutele, senza commissariamenti, senza ombre e con il coinvolgimento di tutti. Lo farò con lo stesso impegno con cui negli ultimi anni ho combattuto contro la mafia, al 150%", ha detto. Poi, la presa di distanza da Bossi sulle inchieste della magistratura: Maroni ha escluso che ci sia un attacco studiato contro la Lega: "Basta beghe interne, basta piangerci addosso, non ne posso più. Io non credo ai complotti. Abbiamo fatto pulizia e continueremo a farla". Il neosegretario ha anche ventilato l’ipotesi che la Lega lasci Roma: "Via da Roma può essere la strada" per far ripartire la Lega Nord, ha detto Maroni. "Via da Roma significa che del tema e del problema delle alleanze (in vista delle prossime elezioni politiche) chi se ne frega - ha aggiunto - e certamente non potranno esserci alleanze con i partiti che sostengono il governo Monti". "Via da Roma - ha proseguito - significa via dalle poltrone e dalla Rai. Non ci hanno portato a niente se non a difenderci dalle accuse di essere lì". "Via da Roma - ha concluso - significa via dai doppi incarichi, soprattutto all’interno della Lega". Poi sull’Europa: "Noi non siamo contro l’Europa e contro l’euro, a condizione che si possa creare una nuova Europa. Siamo pronti a contribuire alla nuova Europa, altrimenti è meglio uscire dall’euro e poi succederà quello che deve succcedere’’. Poi l’attacco a Monti: "Il primo obiettivo è commissariare il governo Monti senza possibilità di reintegro".
Tutti insieme. Un invito a ripartire tutti insieme. Così Maroni si è rivolto ai militanti: "Io vorrei che da domani si ricominciasse a lavorare tutti insieme: chi è qui per lavorare sarà benvenuto, chi è qui per chiacchierare a vanvera può andarsene domani mattina", ha detto, sottolineando che "il progetto dell’indipendenza della Padania non cambia e non cambierà. Ho sentito dire che con il mio arrivo l’articolo 1 dello statuto sarebbe cambiato - ha aggiunto -. Cazzate. Finché ci sono io l’articolo 1 non si tocca". Poi, l’ex ministro dell’Interno ha aggiunto: "Non sarà facile recuperare la fiducia di chi non ci vota più, ma io ci credo. Voglio che la Lega torni ad essere la Lega Nord ’la potentissima’, come è stata negli ultimi decenni. Garantisco il mio impegno totale: lavorerò per unire. Devo tutto alla Lega’’.
Bossi: "Tra noi non ladri, quelli stanno a Roma". Il discorso di addio del Senatur è stato all’insegna delle polemiche. ’’Noi siamo qui a congresso per l’attacco della magistratura’’, sono state le sue prime parole davanti al congresso, dove è arrivato con due ore di ritardo, tanto da costringere gli organizzatori a invertire l’ordine degli interventi. E ancora: "La Lega non ha rubato niente. I ladri sono a Roma, sono farabutti i romani non sono padani’’, ha detto, ma questa affermazione è stata accompagnata da qualche fischio della platea. Le vicende giudiziarie che hanno toccato la Lega Nord negli ultimi mesi sono state, per Bossi, "tutte studiate al tavolino" perché "Berlusconi è stato fatto fuori e se ci sono elezioni i voti vanno alla Lega, che è molto peggio di Berlusconi". Poi ha attaccato i militanti "che alzavano le scope", cioè i leghisti - in grande maggioranza maroniani - che in occasione di una manifestazione a Bergamo, dopo l’avviso di garanzia al tesoriere Belsito, chiedevano pulizia all’interno del movimento. "Non hanno capito - ha detto - che la cosa era organizzata. Di più. Farebbero meglio a non alzarle troppo. Perché uno alzava la scopa, gridava e poi il suo autista, invece di farlo pagare dal suo comune, lo faceva pagare alla Lega. Meglio essere tranquilli". Secondo alcuni fedelissimi bossiani, un riferimento all’autista del sindaco di Verona Flavio Tosi. Non sono mancate parole sprezzanti nei confronti del governo e del tricolore: "In Svizzera Monti sarebbe stato licenziato per incompatibilità con la democrazia", ha dichiarato Bossi che, rivolto a quelli che in sala avevano la bandiera, ha affermato: "Il sogno è una cosa sola. E lo dico per gli imbecilli che stanno nella Lega che girano col tricolore. Il sogno è la Padania libera.
"Vedrò se mi state imbrogliando". Poi il Senatur ha espresso le sue perplessità sugli uomini del nuovo corso. Parlando del nuovo statuto - rivolto al governatore veneto Luca Zaia, presidente dell’assise - ha detto:ne: ’’Vado a vedere se mi avete fatto degli imbrogli’’. Lo statuto ’’è stato votato all’unanimità’’, è stata la replica di Zaia. ’’Questo è preoccupante’’, ha aggiunto Bossi. ’’Oggi, secondo me, non è necessario fare lo statuto, avete votato lo statuto, spero che qualcosa non sia cambiato che io non sappia’’, ha aggiunto.
La consegna del "bambino". In chiusura, dopo l’intervento di Maroni, il Senatur ha deciso di riprendere la parola. Tra le lacrime. Citando la Bibbia. "Bisognava impedire che la Lega si distruggesse... qualcuno non l’aveva capito, io invece l’ho capito", ha detto citando l’aneddoto sulle due madri che si rivolgono a re Salomone, rivendicando entrambe lo stesso bambino. "Salomone non sa decidere di chi è - ha ricordato - e allora dice alle guardie di tagliarlo a metà e la vera madre, per salvarlo, dice che il bambino è dell’altra". "Questo è quello che ho fatto io - ha concluso - il bambino è suo".
(01 luglio 2012)

PEZZI DI STAMATTINA SUI GIORNALI
PRIMO PEZZO DI CREMONESI SUL CORRIERE DELLA SERA
ASSAGO (Milano) — L’ora decisiva scatterà nella tarda mattinata. Quando i circa seicento delegati al congresso di Assago acclameranno Roberto Maroni come loro nuovo leader. Un esito scontato, visto che l’ex ministro dell’Interno è candidato unico, e 473 dei 630 delegati hanno sottoscritto a suo favore: «La mia candidatura unitaria — ha detto ai suoi fedelissimi — è un segnale importantissimo che ci aiuta ad andare nella giusta direzione».
In effetti, l’arco che lo sostiene tiene insieme figure e aspettative assai diverse. Dagli indipendentisti di Mario Borghezio ed Erminio Boso, ai super pragmatici come il sindaco di Verona Flavio Tosi. Ma è un’apertura di credito che ha un sapore diversissimo dal vecchio fideismo in Umberto Bossi. Basta ascoltare Borghezio. L’eurodeputato torinese garantisce sì «lealtà al nuovo segretario», ma grida anche che «saremo una spina nel fianco, il nuovo segretario se lo ficchi bene nelle orecchie: noi indipendentisti ci saremo sempre». Peraltro, l’articolo 1 dello Statuto che sarà approvato oggi dall’assemblea continua a parlare di «Lega Nord per l’indipendenza della Padania».
Mentre Giovanni Torri, senatore da sempre poco diplomatico avvisa il nuovo timoniere: «I voti te li devi conquistare uno a uno. Non ti arrivano da Facebook». E ancora: «Se dobbiamo essere democristiani ci sono già Casini & company. Vedo che qui di verde ormai c’è solo il tappeto». A indispettire i pasdaran bossiani anche il divieto di esporre striscioni di cui parlavano ieri i ragazzi del servizio d’ordine del Forum di Assago. E dunque non è detto che qualche striscione non apparirà all’esterno dell’edificio. Anche se ieri una gran scritta inneggiava a Maroni («Grande Bobo») e nessuna a Umberto Bossi.
Ma ben più numerosi, in un forum in gran parte spopolato, sono gli interventi che esprimono l’amarezza per i fatti emersi negli ultimi mesi. E che non fanno sconti neppure a Bossi. Uno per tutti, l’emiliano Piero Fusconi: «Quando andiamo in giro a chieder voti per la Lega, ormai ci ridono dietro. Bossi deve andare in pensione perché si è fatto prendere per il c... ».
Roberto Calderoli ha indossato i panni del pompiere: «Questa è la democrazia, qui chi vuole chiede la parola e parla». Quanto alle posizioni in campo, anche assai divergenti, secondo l’ex ministro alla Semplificazione «sono declinazioni diverse del medesimo libero sentire, esistono diversi modi di pensare, ma, per me, le correnti dovrebbero essere proprio vietate».
Resta grande attesa per il discorso di Maroni. Che al di là dell’indubbio ricambio generazionale che sta imponendo al movimento dovrà destreggiarsi in un partito che per molti versi resta diviso. Lo farà anche attraverso gli atti del rinnovato consiglio federale, che sarà in gran parte a sua immagine: per il fronte bossiano, si parla dei soli Massimo Bitonci, Toni da Re e Marco Desiderati. Difficile, invece, che Maroni si soffermi sulle alleanze future. Anche se ieri, a Milano, Pier Luigi Bersani bersagliava il Carroccio: «La Lega ultimamente l’ho vista molto al guinzaglio su De Gregorio, e prestarsi alla commedia del presidenzialismo. Noi la rispettiamo ma se ogni volta che Berlusconi ancora schiocca il dito loro arrivano, allora no».
M. Cre.

SECONDO PEZZO DI CREMONESI SUL CORRIERE DELLA SERA
ASSAGO (Milano) — «Tanto tra un anno torno io... ». Umberto Bossi, il grande assente, ne è convinto. Ieri neppure si è presentato all’epocale congresso del Carroccio che acclamerà Roberto Maroni come nuovo capo delle genti padane. È stato invece, nei giorni scorsi, a San Gallo, in Svizzera, dove si firmava un protocollo sulla «macroregione alpina». Ed è lì che il Senatur ha confidato ai presenti, un po’ più che stupiti, la sua idea: tornare in sella al movimento da lui fondato. Superare l’attuale momento di divisione attraverso la candidatura di Roberto Maroni per poi tornare a far risuonare forte la sua voce nel giro di una dozzina di mesi.
Così come l’avrebbe detta Bossi, l’idea è semplice, ma avventurosa assai. E cioè, un congresso straordinario per farsi rieleggere segretario una volta che il tempo abbia sbiadito il ricordo degli investimenti tanzaniani, delle paghette ai familiari, dello shopping di diamanti da parte di esponenti di un movimento che si sognava popolare. Perché, Bossi ne è tuttora convinto, «la mia gente è con me». L’ex leader leghista parte da un presupposto regolamentare: «Il congresso straordinario — ha detto — lo convoca il presidente, e il presidente sono io...». Eppure, l’idea che continua a ronzargli in testa deve averla diffusa già un po’ troppo. Quello che l’ex ministro alle Riforme sembra non sapere è che il nuovo statuto del Carroccio — che salvo sorprese sarà approvato giusto questa mattina dai delegati al congresso di Assago — cambierà le carte in tavola. In maniera poco visibile, ma decisiva. L’articolo 14 assegna infatti al presidente federale la prerogativa di convocare congressi straordinari. Peccato che all’articolo 9, comma 1, la bozza della futura carta fondante del movimento aggiunge che il congresso può essere convocato «in via straordinaria quando ne facciano richiesta almeno i due terzi dei membri del consiglio federale o il segretario federale». Come dire che il presidente, cioè Bossi, potrà sì convocare un congresso straordinario. Ma soltanto come notaio di una decisione su cui devono essere d’accordo due componenti su tre di un organo che sarà, ovviamente, a larga o larghissima maggioranza maroniana. Per Bossi, convocare un congresso straordinario nel momento che lui valutasse più opportuno è dunque non solo difficile ma praticamente impossibile.
Resta il fatto che il Senatur non getta la spugna. È vero, nelle ultime settimane ha respinto parecchie cariche dei suoi supporter più accesi che lo invitavano a rovesciare il tavolo e a presentarsi candidato al congresso: «È l’ora dell’unità» è sempre stata la risposta. Ma, appunto, quello in corso non è il suo congresso. E lui lo ha fatto capire: ieri neppure si è presentato. Certo, il suo intervento è previsto per questa mattina. Eppure, la macchina organizzativa lo attendeva già dalle undici del mattino.
Al di là dei desiderata bossiani, che ormai paiono velleitari anche ai suoi più inossidabili sostenitori, resta il fatto che la macchina del partito deve essere rimessa in piedi da cima a fondo. Magari evitando le gaffe più imbarazzanti. Come la foto apparsa sulla copertina della Padania di ieri (la «Pravdania» come la chiamano scherzosamente molti leghisti). L’immagine ritrae i governatori di Piemonte e Veneto, Roberto Cota e Luca Zaia (che tra l’altro neppure è andato a cena con Bossi), il vicepresidente lombardo Andrea Gibelli, Umberto Bossi, il vicecapogruppo piemontese Michele Marinello che fanno sventolare in Svizzera un vessillo con il Sole delle Alpi. Peccato che il buon Gibelli, certamente presente in spirito, fosse assente giustificato dalla photo opportunity: quando sono state scattate le foto, lui proprio non c’era. In Padania, nel senso del giornale, non ci si è pensato due volte: Gibelli è stato fatto apparire con un fotoritocco neppure troppo sofisticato. Peccato che a farne le spese siano stati i veri presenti, cancellati dalle immagini senza troppi complimenti: l’assessore alla sanità lombardo, Luciano Bresciani, e la consigliera provinciale sudtirolese Elena Artioli. Entrambi, tra l’altro, considerati non proprio in linea con il nuovo Carroccio. Ma questo sarà certamente un caso.
Marco Cremonesi

CRONOLOGIA DEL CORRIERE DELLA SERA
• Una svolta sofferta
Il congresso federale che oggi si conclude segna una svolta per la Lega: Roberto Maroni diventerà segretario al posto di Umberto Bossi, dimessosi
il 5 aprile a seguito dell’inchiesta relativa all’uso
di fondi della Lega per fini privati.
• Cambiano statuto e simbolo
Il Congresso approverà il nuovo simbolo, da cui scompare il nome «Bossi», e il nuovo statuto, che ridefinisce i poteri del presidente (carica data a vita a Bossi), togliendogli quello di convocare un congresso senza i 2/3 dei membri del consiglio federale
• Il nodo dell’indipendenza
Ieri Mario Borghezio ha presentato
una mozione indipendentista. Maroni, che insieme a Tosi rappresenta l’ala più istituzionale del partito, dovrà tenerne conto, anche perché lo statuto ribadisce che la Lega Nord è «per l’indipendenza della Padania»
• La mozione sulla legge Merlin
Ieri sono state presentate anche altre mozioni:
i giovani padani chiedono che
la Lega si svecchi, Davide Caparini ha chiesto l’abolizione, per via referendaria, della legge Merlin sulla prostituzione, trovando l’appoggio della triumvira Manuela Dal Lago
• «Privatizzare la tv pubblica»
Lo stesso Caparini, uomo della Lega nella Vigilanza Rai, s’è fatto promotore di una mozione per la privatizzazione della tv pubblica e l’abolizione del canone. Il Carroccio ha deciso di non esprimere un nome per il cda, ma starebbe trattando per lasciarlo al Pdl

PEZZO DI RODOLFO SALA SU REPUBBLICA
ASSAGO
— Cinque minuti dopo le 11 l’annuncio dalla presidenza: «Non ci sono altre richieste di candidatura». Parte un applauso, neppure troppo fragoroso: com’era scontato, Bobo Maroni è il candidato unico (lui dice «unitario ») alla leadership della Lega. Da oggi, secondo e ultimo giorno di questo congresso federale da lui fortissimamente voluto, sarà segretario e primo successore di Bossi. Per l’ex ministro dell’Interno - solo cinque mesi fa era stato a un passo dall’espulsione dopo la fatwa del Senatùr che gli imponeva il silenzio - firmano 473 delegati su 630. Nessuno gli si contrappone, il tira e molla dell’Umberto, tra promesse di non belligeranza e fiere autorivendicazioni («il nuovo segretario dovrà andare d’accordo con me») non ha finora prodotto colpi di coda nella truppa dei lealisti bossiani. Ma lui, qui ad Assago, ieri non si fa neppure vedere. Secondo il programma parlerà oggi, prima del suo successore.
Comincia così, con la certezza del timone a Bobo, il congresso che si vorrebbe della «ripartenza ». L’unica dichiarazione del
nuovo segretario, a metà giornata: «Dibattito molto interessante, ma senza divisioni; la mia candidatura è unitaria, un segnale importantissimo che ci aiuta a marciare nella direzione giusta». Dal palco parlerà solo oggi, Maroni. Con un discorso da leader e non da candidato, perché avversari non ce ne sono. E non eviterà, assicurano i fedelissimi, di affrontare il tema spinosissimo delle alleanze.
Nell’attesa parlano, eccome, i suoi colonnelli. A cominciare da Flavio Tosi, il sindaco di Verona da un mese segretario della Liga Veneta, che ripercorre le ragioni del “cambio” senza diplomatismi: «A infangare la Lega, con il loro comportamento scorretto, sono stati in pochi, ma ora è necessario concludere la battaglia per la credibilità, perché siamo gli unici ad aver detto chi ha sbagliato è fuori; e completare la svolta fino in fondo». Insomma: «Momento difficile, ma questa Lega ha tutte le possibilità per recuperare». Poi Matteo Salvini, l’ex ragazzaccio ora al timone della Lega in Lombardia, che ripropone a modo suo l’avviso di sfratto già consegnato da Maroni a Formigoni con la richiesta delle elezioni regionali anticipate al 2013: «Al presidente della Lombardia noi diamo buoni consigli, come quello di lasciare l’incarico di commissario straordinario all’Expo; quindi non facciamo minacce, ma se vorrà restare in carica dovrà fare di più, altrimenti ci arrabbiamo». Prima cosa da fare: «Via i ticket sui farmaci».
Lega di movimento, anche se il futuro è incerto. L’importante, è il mantra che molti ripetono - è «restare uniti». E non appassionarsi al gioco delle correnti, come avverte il triumviro Roberto Calderoli: «Dovrebbero essere vietate, perché tutti devono essere parte della stessa Lega». Il resto è noia,
fino a metà pomeriggio si discutono le mozioni (una decina) presentate dai delegati. Quella della triumvira Manuela Dal Lago che vuole riaprire i bordelli, poi Massimo Polledri che fa arrabbiare Salvini con le sue proposte sui temi etici giudicate di stampo «papista
». Quindi Mario Borghezio che ripropone l’indipendentismo e Davide Caparini che vuole privatizzare la Rai e abolire il canone. Oggi si vota anche per il nuovo consiglio federale: preponderante la presenza dei maroniani, i bossiani puri puntano sul
lombardo Marco Desiderati e sui veneti Toni Da Re e Massimo Bitonci. Vittoria netta di Bobo, l’incognita resta sempre Bossi, il cui intervento di oggi è forse ancora più atteso di quello del nuovo segretario.

SECONDO PEZZO DI SALA SU REPUBBLICA
ASSAGO
— Aleggia, come tutti i fantasmi. Ma non si materializza. Sì: Bossi è un fantasma, almeno in questo primo giorno di congresso della sua Lega che ora gli volta le spalle. Più per necessità che per scelta: per spirito di sopravvivenza. Lui lo sa, e se ne sta alla larga: forse per alimentare le attese del suo arrivo, stamattina. Per dimostrare che senza di lui gli entusiasmi — come avviene in questo primo round — non si accendono.
Impensabile, solo qualche mese fa, un congresso che
si apre senza l’Umberto. Neppure una scritta a ricordarlo, ce n’è uno, uno solo, per il nuovo segretario: «Grande Bobo». E oggi non ce ne saranno: la regia li ha vietati, forse per evitare «il casino» evocato da Bossi alla vigilia. E mai visti, in passato, quei larghi spazi vuoti negli spalti che ospitano i militanti, distinti e distanti dai 630 delegati seduti giù in platea. Saranno duecento i soldati semplici accorsi per assistere a qualcosa che per il Doge Luca Zaia (assente pure lui, impegni personali, presiederà il congresso solo nel secondo giorno) «passerà alla storia ». E non bastano a rincuorare la
truppa le parole degli organizzatori, che promettono per oggi l’arrivo di cento pullman. Verranno per Bossi o per Maroni?
«Per entrambi», è la risposta fin troppo facile fornita un po’ da tutti. Troppo facile e agiografica, la Lega 2.0 che partirà oggi con l’incoronazione di Maroni è un pentolone che ribolle, dove le vecchie divisioni sono dure a morire, nonostante la «candidatura unitaria » che Bobo sventola come trofeo per rassicurare i dubbiosi.
Perfino sul palco volano gli stracci. Prima degli interventi dei segretari “nazionali”, gli unici momenti forti li regalano due leghisti che dicono quel che tutti pensano, tra le opposte tifoserie. Piero Fusconi, ruspante avvocato romagnolo, parla a nome dei vincitori senza mordersi la lingua: «Quando andiamo in giro a dire che siamo leghisti, ci ridono in faccia, mi domando con quale coraggio chiederemo ancora voti dopo quello che è successo; Bossi
deve andare in pensione, si è fatto prendere in giro da chi gli stava intorno ». Poi il superbossiano Giuseppe Torri, che parla con il fantasma: «Umberto, io ti sono grato, senza di te nessuno di noi sarebbe in Parlamento». E attacca Maroni: «I voti non arrivano con facebook, ma parlando con la gente fino alle quattro del mattino; se vogliamo fare i democristiani, allora è molto più bravo Casini; sono deluso perché il nuovo statuto non ha cambiato niente, non vieta il cumulo degli incarichi».
Nel parterre si aggira il ruvidissimo Erminio Boso, che avvicina i cronisti e allarga le braccia: «C’è troppa gente che si parla addosso; io sono secessionista, ma sarò fedele a Maroni». Alla fine dovranno esserlo tutti, ma l’aria che tira nel catino del Forum — almeno oggi — è un po’ moscia. Ci penseranno i nuovi segretari — su tutti Salvini e Tosi, il primo con i suoi attacchi a Formigoni, l’altro con la storia della «Lega infangata» — a tirar su un po’ il morale. Certo non aiuta la scenografia assai diversa da quelle degli altri congressi: lo striscione sul palco è enorme, ma sobrio, nel suo inneggiare all’«Europa dei popoli», con l’Alberto da Giussano, ma non la data di questa difficile ripartenza. Neppure la gadgettistica fa sognare: gettonatissima, epperò datata, la maglietta con la scritta «Padania is not Italy», il massimo della creatività è la caffettiera “napoletanpadana” smaltata di verde...
(r.s.)

GIOVANNI CERRUTI SULLA STAMPA
«Forse qualcuno non ha capito che il nemico è fuori. Basta con la Lega che litiga, e si accomodi fuori chi non la pensa così...». Alle sette del pomeriggio il congresso leghista un poco si scalda. Sta parlando Matteo Salvini, per i lombardi. E sul palco sta per arrivare Flavio Tosi, il sindaco di Verona, per i veneti: «Al di là del comportamento scorretto di poche persone questa è la Lega!». I 477 delegati ora escono dal torpore. Dopo una giornata di comizi, di lamenti, di nostalgie, di voglia di ricominciare, ecco che la nuova Lega comincia a muoversi davvero. Bobo Maroni, seduto in terza fila, è già segretario. 400 delegati su 630 hanno già firmato la candidatura. Oggi la conferma, e l’acclamazione.
Per la prima volta comincia un congresso leghista e Bossi non c’è. Per la prima volta, sul palco, non si vede il sole delle Alpi, il simbolo della Padania. Nè uno striscione, nè una bandiera, insomma niente che richiami o ricordi il vecchio Capo. Bisogna aspettare questa mattina, quando Bossi parlerà alle 10,30. Se ha seguito via radio gli interventi avrà capito che qui c’è una gran voglia di nuove avventure, di nuovi sogni, di nuova Lega. C’è chi l’ha difeso e chi l’ha accompagnato alla panchina, come il torinese Mario Brescia: «Sarai presidente per meriti storici, ma basta...». O Argio Alboresi, il delegato di Carpi: «Dobbiamo avere il coraggio di estromettere il nostro ex segretario!».
Maroni e i suoi occhialetti rossi si spostano tra le file dei delegati. «Grande Bobo!», grida lo striscione più grande, firmato dai «Lupi Retici» della Valtellina. Il maxischermo rimanda le sue immagini, i sorrisi, gli abbracci, lui che prende appunti o scatta foto con il telefonino. Ma la prima giornata non decollerà fino a Salvini e Tosi. «Vi vedo molto freddi», dice l’europarlamentare piemontese Tino Rossi ai 477 delegati presenti su 630, e ai pochi militanti sulle tribune del Forum di Assago. Giovanni Torri, senatore «che se io sono maroniano allora Mario Borghezio è magro», sibila il suo distacco dalla nuova Lega: «Mi sa che per riempire questo congresso bisogna ingaggiare extracomunitari...».
Non poteva che andare così. Si prende tempo, nella prima giornata. I colonnelli si sistemano davanti al tabellone pieno di simboli del congresso, come per le interviste allo stadio. La Lega è unita e si riparte. Stanno parlando i delegati, l’emiliano Remo Angiolini che dice «voglio un forte applauso per Umberto Bossi!» e pare che l’abbiano sentito in pochi, forti applausi per niente. I Giovani Padani esaltano e invocano Gianfranco Miglio: dieci anni fa, all’ultimo congresso, Bossi definiva il professorone «una scoreggia nello spazio», e la risposta è nota: «Parassita». Son passati dieci anni e la nuova Lega ritorna a quel passato, alle Macroregioni. Che per Bossi erano «roba da buttare nel cestino».
«Ringrazio le donne padane per la loro presenza solida e discreta». Alle quattro del pomeriggio il congresso riprende con Piera Pastore. Donne discrete, quelle della Lega: Avevano parlato 39 delegati, tutti maschietti, nessuna di loro. Tocca a colonnelli e marescialli e solo uno, Stefano Galli, veterano del Consiglio Regionale della Lombardia, si conquista una medaglia: «Dopo 15 anni non mi ricandido al Consiglio Federale. Faccio un passo indietro perchè così si mette in pratica la richiesta di rinnovamento che arriva da Maroni». Un’ eccezione, al momento. Al suo posto potrebbero eleggere Aurelio Locatelli, già autista di Bossi, dalla notte del coccolone detestato dalla Lega di Famiglia.
A parte Salvini e Tosi l’applausometro del congresso premia Mario Borghezio ed Erminio Boso, i due vecchi profeti dell’Indipendentismo e della Secessione. Nè applausi nè fischi per Giovanni Torri che difende Bossi e canzona Maroni: «Dobbiamo essere grati a Umberto perchè senza di lui non saremmo qui nè in Parlamento. E però ricordatevi che i voti non arrivano da Facebook, ma parlando con la gente fino alle quattro del mattino». L’unico a difendere Bossi, Torri. Tanto da meritarsi un grazie telefonico dal vecchio Capo.
E tocca a lui, al Capo, questa mattina. Ultimo giro di giostra, forse, e poi sarà la Lega di Bobo. A meno, con 172 pullman di militanti in arrivo, il congresso s’accenda e Bossi voglia rispondere a Salvini e Tosi. «Qua dentro - dice il lombardo- c’è gente che si deve vergognare di niente, e chi si deve vergognare non si faccia vedere nelle sezioni e vada in Marocco»: proprio dove è andato Renzino Bossi. E Tosi: «Per essere credibili non bisogna fermarsi: Chi ha sbagliato, comunque si chiami, deve uscire. Se qualcuno ha da vergognarsi per qualcosa non è qui...». Non c’era, Bossi, a sentire Tosi. Ma oggi sì. E magari risponde.

«IO RINNEGO CHI FA AFFARI CON LA ’NDRANGHETA»
Borghezio a sorpresa: «Balotelli è un padano con la pelle nera»
«Balotelli è un padano con la pelle nera. Per me va benissimo». A sorpresa l’eurodeputato della Lega Nord, Mario Borghezio, ed il Carroccio «adottano» Mario Balotelli, goleador dell’Italia agli Europei di Calcio, come bandiera «padana». «A me girano i coglioni - prosegue con il suo solito linguaggio colorito Borghezio - per i “padani” che si sono compromessi con la n’drangheta, quelli li rinnego da un punto di vista razziale», rispondendo ai giornalisti che gli chiedono se vedrà Italia-Spagna. A Borghezio però piace un po’ meno quando insieme ai compagni di squadra canta l’inno di Mameli.

AMEDEO LA MATTINA INTERVISTA ALESSANDRO CAMPI SULLA STAMPA
«Maroni sarà un leader di transizione e Bossi è meglio che si metta da parte se vuole lasciare un buon ricordo di sè». Alessandro Campi, docente di storia del pensiero politico all’Università di Perugia, è convinto che il nuovo segretario della Lega non ha il carisma e la forza del Senatur. L’ex ministro dell’Interno dovrà tener conto del nuovo equilibrio territoriale.
Professore, sta dicendo che prima o poi Zaia o Tosi faranno le scarpe a Maroni e il Carroccio sarà a trazione veneta?
«Non ci sarà più una Lega come l’abbiamo conosciuta finora, con un capo che faceva il bello e il cattivo tempo. Quella di Maroni sarà una segreteria che dovrà avere carattere collegiale più di quanto si immagini. Ora questo partito ha bisogno di un unanimismo ipocrita. Poi si faranno avanti gli Zaia, i Tosi che vogliono far apparire Maroni il nuovo Bossi ma è operazione di chirurgia plastica. La Lega ha la necessità vitale di compattarsi attorno a un nuovo leader perché viene fuori da periodo difficile, ma l’egemonia lombarda è finita».
Intanto Maroni dovrà mettere a fuoco una linea politica. Crede che la Lega si ritirerà al Nord e non parteciperà alle elezioni politiche?
«La Lega esce da una brutta vicenda brutta giudiziaria ma soprattutto politica. Più che lo scandalo il Carroccio viene dal fallimento dell’esperienza di governo: aveva delle ottime carte da giocare ma ha perso la partita. Ha portato a casa molto poco, né il federalismo né la diminuzione delle tasse. Ora potrebbero riscoprire posizioni ultra indipendentiste con un rapporto privilegiato col territorio al punto che non si candida a livello nazionale. Non credo però che ciò convenga. Per un partito come la Lega è più opportuno cavalcare la battaglia anti-europeista, anti-statalista, anti-banche, anti-tasse. Da questo punto di vista il Carroccio è più attrezzato perchè fa parte del suo bagaglio ideologico che risale a Miglio, alla radice anarcoide liberista. Una sorta di Tea Party americano, una posizione che poi era il cavallo di battaglia di Berlusconi delle origini. Non a caso il Cavaliere e Bossi erano in sintonia, al di là dei rapporti personali, mentre Alfano è più orientato verso posizioni centriste e moderate e su una linea che è quella del Ppe. Ecco perchè non penso che Pdl e Lega potranno ritrovare un’alleanza».
Lei considera chiusa anche la stagione dell’intesa Pdl-Lega?
«La Lega in questo momento non ha il problema di trovare un’alleanza ma di crearsi una nuova verginità politica, di superare uno scandalo che ha toccato la sua stessa identità: incarnavano un’ identità luterana, ma è scivolata nel classico familismo italiano».
Cosa ha lasciato il leghismo bossiano alla politica italiana?
«Ha vinto culturalmente, e non lo dico in positivo, sul piano del linguaggio e nello stile di lotta politica: brutale e semplificatorio. All’inizio invece sembrava immediatezza. Con l’anti-italianismo ha incuneato il germe della divisione territoriale, dell’egoismo degli interessi tra nord e sud. Con il federalismo avrebbe potuto avere il merito di una diversa articolazione dell’Italia, ma non ha saputo giocare questa formidabile carta».

DAVIDE LESSI SULLA STAMPA INTERVISTA ALDO BONOMI
«No, non è solo colpa delle inchieste». Aldo Bonomi, direttore del Consorzio Aaster dal 1984, è uno che il territorio, totem caro ai leghisti, lo studia per professione. Ne interpreta gli umori e i cambiamenti. «È in atto una metamorfosi della politica e la Lega, se non cambia, farà fatica a trovare spazio». E ancora: «È finita l’epoca in cui il movimento riusciva a intercettare lo spaesamento, l’onda neo populista e i rancori del Nord». Poco c’entrano, secondo il sociologo Bonomi, l’ex tesoriere Belsito, la laurea albanese di Renzo e le perquisizioni in via Bellerio. «C’è dell’altro...», dice.
Professore, la Lega avrà un nuovo segretario. Sono passati dieci anni dall’ultimo congresso, il ritrovo al Forum di Assago segna la rinascita del partito?
«Ci andrei piano. Restano dei temi irrisolti. E non penso solo agli scandali giudiziari. Quelli sono sopraggiunti quando già il movimento era debole».
Si riferisce alla divisione tra «barbari sognanti», l’anima maroniana del partito, e «cerchio magico»?
«Non è solo quella. Certo, le correnti sono sempre state importanti nella Lega, almeno da quando agli inizi degli anni ’90 si è strutturata come partito. E con quelle Maroni dovrà ancora fare i conti: il “lombardismo” non basta più, cresce l’importanza dell’ala veneta. Ma il mio è un ragionamento meno “politichese” e più antropologico».
Si spieghi...
«Lo scenario è cambiato. Pensiamo alle vallate alpine, i focolai del primo leghismo alla fine degli anni ’80. Quelli erano i luoghi attorno a cui le leghe costruivano il loro consenso sugli “spaesati”. Ma la periferia, per esempio la Val Susa, adesso è diventata centro dello scontro politico. E la Lega è arrivata tardi rispetto ai grillini o alle altre formazioni politiche. Lì, come sui beni pubblici, si pensi all’acqua. Temi che per chi ha in mente il “territorio” dovrebbero essere alla base dell’azione politica».
Tra gli striscioni presenti oggi ad Assago si legge la scritta «Prima il Nord». Come a dire: «Noi siamo ancora la voce del Settentrione». È così?
«Maroni ha sempre avuto in testa un’idea del partito nei termini di “sindacalismo territoriale”. Un movimento che interpreta bisogni e paure della gente. Ma la sua visione è stata azzoppata dalla Lega di lotta e di governo, quella che ha sempre avuto un rapporto ambivalente con Berlusconi. Però, se si guarda alle ultime elezioni è proprio la Lega dei sindaci, quella territoriale, che ha perso: nei sette comuni dove è andata al ballottaggio è stata sconfitta».
Perché anche la Lega dei sindaci rischia di perdere?
«Anche la Lega ormai deve ripensarsi in un’ottica europea. Dove parole d’ordine come federalismo avranno senso solo in un contesto più allargato e non di scontro tra settentrionali e meridionali».
Bossi, da parte sua, ha portato a Milano la notizia della nascita della «Macroregione Alpina»...
«Non può bastare l’economia. L’Europa, anche da parte della Lega, deve essere concepita come una comunità politica».

CORRIERE.IT
«Bisognava impedire che la Lega si distruggesse. Qualcuno non l’ha capito. Questo ho fatto io... Allora il bambino è suo» di Maroni. Così, tra le lacrime citando la storia biblica di Re Salomone che deve decidere a quale di due madri dare un bambino conteso, Umberto Bossi lascia il palco del congresso della Lega e passa il timone a Bobo Maroni, nuovo segretario federale. Il Senatùr si commuove e tutti i militanti del Carroccio, riuniti al Forum di Assago per il congresso, si alzano in piedi e salutano il capo. O meglio, il fondatore della Lega. Maroni infatti, per alzata di mano, è stato subito eletto il nuovo segretario del partito. Pochi i contrari alla svolta, che sono stati fischiati da diversi militanti. «Umberto Bossi è mio fratello - ha detto Bobo subito dopo l’elezione - lo porterò sempre nel cuore. Ma oggi inizia una fase nuova».
IL DISCORSO DI BOSSI - È stato il congresso-svolta del Carroccio, quello che si è tenuto ad Assago tra sabato e domenica, un appuntamento che ha segnato ufficialmente il passaggio dall’era di Umberto Bossi a quella di Roberto Maroni. Momenti di suspence si sono registrati domenica mattina proprio per Umberto Bossi, che era atteso al congresso, secondo il programma, intorno alle 10,30. Invece il Senatùr è arrivato un’ora e mezza dopo. Un semplice ritardo, hanno fatto sapere dall’organizzazione. Poi il discorso di apertura: «Qualcuno ha aperto la fortezza della Lega dall’interno. Siamo qui in conseguenza dell’attacco della magistratura. La Lega non ha rubato nulla, i ladri sono altri, i farabutti romani». Poi ancora: «Fatico a credere che il nostro amministratore sia legato all’ndrangheta ma se pensavano che la Lega morisse, si sbagliavano, perchè la Lega si basa sulle idee e le idee camminano sulla gambe degli uomini. Mi dicono - ha aggiunto Bossi - che sono stato un simbolo perchè ho combattuto contro uno Stato forte, però i simboli servono se vengono utilizzati bene. Il sogno è una cosa sola. E lo dico per gli imbecilli che stanno nella Lega che girano col tricolore. Il sogno è la Padania libera».
MARONI - Ad applaudire Bossi anche Roberto Maroni, che al suo arrivo al Forum ha acceso gli spalti: lunghi applausi e cori al grido di «secessione», ma anche fischi quando vengono citati il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il ministro del Lavoro Elsa Fornero. «Voglio dirlo subito: patti chiari, amicizia lunga. Non me l’ha ordinato il medico di fare il segretario federale - l’incipit del discorso di Maroni prima della sua investitura - lo farò con lo stesso impegno con cui negli ultimi anni ho combattuto contro la mafia, al 150%». Le promesse: «Sarò segretario senza tutele, senza commissariamenti, senza ombre e con il coinvolgimento di tutti. Oggi non c’è la nuova Lega, oggi parte la Lega Nord per l’indipendenza della Padania. Non sarà facile recuperare la fiducia di chi non ci vota più - ha detto Maroni - ma io ci credo. Voglio che la Lega torni ad essere la Lega Nord, la potentissima, come è stata negli ultimi decenni. Noi siamo qui e ripartiamo con grande forza».
L’ELEZIONE - Poi l’elezione a scrutinio palese. «Statemi vicino - le prime parole di Maroni dopo la votazione -. Ho cominciato come militante e voglio che mi consideriate come un militante che momentaneamente ricopre un incarico che fa tremare le vene. Riuniremo il consiglio federale ed in settimana nominerò la squadra che mi affiancherà: tre vice con il numero due che sarà naturalmente del Veneto. Io sono uno di voi. La mia porta sarà sempre aperta, sono a disposizione dei militanti». Garantisco il mio impegno al 150 per cento, lavorerò per unire. Non ho altra ambizione che far tornare la Lega ai successi a cui siamo abituati, a cui ci ha abituato Bossi».
IL PROGRAMMA - Poi il programma del nuovo segretario: occorre «darsi obiettivi veri, concreti e raggiungibili. Il primo è licenziare il governo Monti senza possibilità di reintegro - ha detto Bobo, prima di elencare gli obiettivi della Lega a sua guida -. Dobbiamo commissariare le banche che ricevono soldi pubblici all’uno per cento e comprano titoli di stato invece di darli alle imprese; difendere il patrimonio dei nostri comuni. L’acqua deve rimanere pubblica; dobbiamo continuare senza indugio la lotta contro immigrazione clandestina; risolvere il dramma degli esodati». E qui, la domanda: «Come possiamo accettare un disegno criminale che mette sul lastrico 300mila famiglie?». Tra i punti, «un grande patto di solidarietà tra le Regioni del nord, con un consiglio regionale dei tre consigli regionali del nord per risolvere il problema degli esodati».
ROMA - Infine, la madre di tutte le battaglie. E cioè la «guerra contro il Patto di stabilità che affama i nostri comuni - dice Maroni -. I comuni in dissesto sono tutti da Roma in giù. È un patto assurdo, che aiuta i comuni che non fanno i risparmi e penalizza i nostri sindaci. Dobbiamo farlo saltare. Questa sarà la battaglia d’autunno della Lega». Poi la precisazione: «Per recuperare il consenso perso - ha detto Maroni - dobbiamo fare presto e bene. E servono una guida autorevole, poteri forti al segretario per una linea politica del partito, altrimenti non funziona. E allora trovatevi un altro segretario». Nel lungo discorso di Maroni, hanno trovato spazio anche l’eterna battaglia contro Roma («Via da Roma può essere la strada per far ripartire la Lega. Via da Roma significa via dalle poltrone e dalla Rai. Non ci hanno portato a niente se non a difenderci dalle accuse di essere lì. Via da Roma significa via dai doppi incarichi, soprattutto all’interno della Lega») e un attacco al governo Monti (dobbiamo «chiudere almeno 10 ministeri inutili. A partire da quello della Coesione sociale: sono soldi buttati nel cesso»). Nel corso del suo intervento prima della elezione, Maroni ha elogiato il lavoro del segretario nazionale della Lega lombarda il giovane Matteo Salvini sostenendo che «possa fare anche il segretario federale... ma ce ne sono anche altri». Della cosa lo stesso Salvini, al termine dei lavori, si è detto molto orgoglioso ma ha tenuto a sottolineare come quella di Maroni «non fosse altro che una battuta», augurando buon lavoro al nuovo segretario federale del Carroccio.
LO STATUTO - All’avvio dell’ultima giornata del congresso, i delegati del Carroccio hanno approvato per alzata di mano anche un nuovo Statuto proposto dal Consiglio federale. C’è stata una larghissima maggioranza sul testo che regola la gestione del movimento e che da oggi tra l’altro affida il ruolo di presidente a vita ad Umberto Bossi e rende la Lega una confederazione (non più una federazione) in modo da garantire maggiore autonomia decisionale delle varie anime territoriali. «La Lega è immortale - ha concluso Maroni - e continuerà la sua battaglia fino a che non ci sarà una Padania autonoma, indipendente e libera».