Mario Sensini, Corriere della Sera 30/6/2012, 30 giugno 2012
ROMA —
«La concretezza» della spending review è già sul suo tavolo a Palazzo Chigi. Appena rientrato da Bruxelles dopo il Consiglio europeo, il presidente del Consiglio ha preso in mano il dossier dei tagli alla spesa pubblica, fermamente intenzionato a dargli la più rapida attuazione possibile, anche se non tutti i tasselli dell’operazione sono ancora a posto. Anche ieri si sono susseguite riunioni tra i ministri e altre ce ne saranno oggi e domani mattina. Lunedì è previsto l’incontro tra il governo le parti sociali e gli enti locali, il Consiglio dei ministri è in pre-allerta per le 16 del pomeriggio, ma non è scontato che si arrivi alla quadratura del cerchio in giornata.
Il piano nelle sue grandi linee è definito, ma ci sono da superare ancora delle resistenze. Quella dei ministri restii ai tagli al proprio bilancio, tanto per cominciare. Difesa, Giustizia, Esteri e Scuola ed Università stanno facendo difficoltà, e c’è un crescente nervosismo anche tra gli enti locali, che hanno annusato un nuovo taglio alle porte. L’obiettivo di Monti è quello di varare un piano di risparmi che frutti 10 miliardi di euro da qui alla fine dell’anno, e che sul 2013 varrebbero il doppio, di fatto annullando l’aumento dell’Iva.
A Palazzo Chigi e al Tesoro spingono per un unico decreto e corposo, ma c’è sul tavolo anche l’alternativa di varare il piano sulla spesa pubblica in due fasi. Una immediata, per decreto, con i tagli suggeriti dal commissario Enrico Bondi sugli acquisti dei beni e servizi della pubblica amministrazione, il piano dei risparmi dei ministeri (se venissero superati i problemi), la revisione degli incentivi alle imprese proposta dall’altro commissario, Francesco Giavazzi. Un pacchetto dove sarebbero inseriti anche i tagli alla sanità (il ministro Balduzzi propone la riduzione delle spese per la specialistica convenzionata e per gli altri appalti, mentre Bondi profila forti risparmi sull’acquisto di beni e servizi) e, probabilmente, una nuova sforbiciata alle risorse delle Regioni e degli enti locali.
Un’altra parte delle misure potrebbe invece confluire nella Legge di Stabilità per il 2013 da varare a ottobre, in cui inserire gli interventi per ridurre le piante organiche nel pubblico impiego, la razionalizzazione degli uffici di governo sul territorio e l’accorpamento delle Province. Che ieri hanno ribadito al governo la piena disponibilità alla riduzione del loro numero, chiedendo però di metter mano anche ad una serie infinita di enti e società controllate da Regioni e Comuni.
In ogni caso il volume degli interventi messi in campo dall’esecutivo sarà più elevato di quanto ipotizzato dallo stesso Monti (5 miliardi) all’avvio della spending review. Materia su cui lavorare, certo, non manca. A cominciare dagli acquisti dei beni e dei servizi da parte dell’amministrazione pubblica sui quali si concentrano le proposte di Enrico Bondi. Gli ultimi dati esaminati dalla Corte dei Conti nel giudizio di parificazione del bilancio 2011 dimostrano che c’è uno spazio enorme per rafforzare gli acquisti centralizzati attraverso la Consip, controllata dal Tesoro.
I ministeri, che dovrebbero essere i primi utilizzatori, di fatto la ignorano. Allo Sviluppo Economico solo il 6-7% degli acquisti passa da Consip, all’Ambiente il 6,52%. Negli altri va un po’ meglio (per gli Esteri gli acquisti Consip coprono il 34%, all’Agricoltura il 28%), ma in generale il ricorso agli acquisti centralizzati, nel settore pubblico, è ancora marginale. Secondo il bilancio 2011, attraverso Consip sono transitati solo 28,8 miliardi di euro di spesa pubblica (con un risparmio sui prezzi di 4,5 miliardi), molto poco rispetto ai 415 miliardi della spesa dello Stato e delle sue amministrazioni dell’anno scorso.
E sono gli stessi dati sull’articolazione della spesa pubblica, certificati il 28 scorso dalla Corte dei Conti, a spingere per una nuova sforbiciata alle risorse degli enti locali. Negli ultimi tre anni la spesa dello Stato centrale si è ridotta da 191 a 176 miliardi, quindi di 15 miliardi, mentre quella delle amministrazioni locali, che ha un volume doppio, è scesa solo di 6 miliardi, da 244 a 238. Le Province, che hanno proposto loro stesse all’esecutivo di accorparsi, di fatto dimezzandosi di numero, con un risparmio che arriverebbe a 5 miliardi l’anno considerando però anche la riorganizzazione degli uffici del governo sul territorio (a cominciare da Prefetture, Questure e Sovrintendenze), ieri hanno scritto una lettera aperta al presidente del Consiglio, suggerendo di affondare la lama delle forbici nel sistema sterminato delle società controllate dagli enti locali. Sono 3.127, le aveva censite il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, e secondo l’Unione delle Province costerebbero 7 miliardi l’anno, di cui due solo per la remunerazione dei consiglieri d’amministrazione.
Mario Sensini