Federico Fubini, Corriere della Sera 30/6/2012, 30 giugno 2012
C’è stato un momento in cui si è capito che un accordo sarebbe stato possibile. Lo sarebbe stato anche se, per la prima volta da sempre, l’Italia e la Spagna avevano deciso di prendere in ostaggio un vertice europeo
C’è stato un momento in cui si è capito che un accordo sarebbe stato possibile. Lo sarebbe stato anche se, per la prima volta da sempre, l’Italia e la Spagna avevano deciso di prendere in ostaggio un vertice europeo. Ciò che Silvio Berlusconi aveva più volte minacciato, mettere un vero veto a Bruxelles, era toccato a Mario Monti: il premier aveva appena annunciato una «riserva» sui piani per la crescita che avrebbero dovuto essere il fiore all’occhiello del nuovo leader di Parigi François Hollande, peraltro uno stretto alleato di Monti. Il tutto per obbligare Angela Merkel a trattare sul cosiddetto «scudo blocca-spread», il sistema di interventi del fondo salvataggio Esm: nella psicologia del premier italiano non contano tanto i dettagli del meccanismo qui e ora, ma l’idea di aprire una breccia nella resistenza della Germania (e della Banca centrale europea) per arrivare un giorno a un vero prestatore di ultima istanza dell’euro. Un’entità che, come negli Stati Uniti, in Giappone o in Gran Bretagna, fornisca il credito necessario nei momenti di destabilizzazione finanziaria.
Un anno fa lo spread sui titoli decennali di Italia e Germania era intorno ai 200 punti base. Da allora è esploso, in buona parte a causa del cronico ritardo italiano nelle riforme. Ma dal 2007 in poi la storia di questa crisi euro-americana ha mostrato che i mercati non tendono all’equilibrio, né che i prezzi riflettono sempre fedelmente lo stato di salute di un’economia. Questa semmai è ancora la convinzione di finlandesi e olandesi, ripetuta agli italiani con durezza anche durante questo summit per incalzarli alle riforme. Gli italiani rispondevano che serve (anche) un prestatore di ultima istanza, perché i mercati a volte sbandano e non ritrovano l’equilibrio da sé. Un documento riservato delle istituzioni europee e gli argomenti dei tecnici di Roma, attorno a questo vertice, per la verità puntavano proprio su questo punto: quando gli spread divergono troppo da quota 200-250 punti base, nell’area-euro si crea un’alterazione insostenibile della concorrenza. Un’azienda tedesca e una italiana identiche si finanziano a condizioni diverse che rendono impossibile alla seconda di competere. Il principio di base è che una moneta non può durare subendo distorsioni del genere al suo interno.
La posta in gioco a Bruxelles l’altra notte era questa: la natura nella moneta e le sue istituzioni. La «riserva» italiana che blocca tutto nasce proprio da qui e dal fatto che il diritto di veto in Europa non si conta. Si pesa. In teoria anche Malta potrebbe fermare tutto se non ottiene qualcosa, ma in termini politici l’arma del veto presuppone influenza, preparazione, alleanze, obiettivi chiari: per Mario Monti su questi aspetti avevano lavorato da mesi Enzo Moavero Milanesi e Vittorio Grilli.
A quel punto, con Spagna e Italia a bloccare, si era allo stallo. Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, è tornato al piano alto del Justus Lipsius dopo una conferenza stampa delle 23 e ha proposto: continuiamo a oltranza. Si trattava di anticipare alla nottata i temi che opponevano Germania e Italia. Angela Merkel ha detto sì. Poteva dire il contrario. Invece si è continuato a parlare fra le due delegazioni di Roma e Berlino, spesso accompagnate dalla Bce di Mario Draghi che — secondo gli italiani — appariva piuttosto vicina alle posizioni dei tedeschi.
La scelta di Merkel di continuare a trattare nella notte è stato il segno che la cancelliera voleva un accordo. Dopo i cambio di guardia all’Eliseo anche lei sa bene che Monti rappresenta per lei la migliore speranza di trovare un interlocutore in Europa. Con Hollande per ora ha vissuto quasi solo incomprensioni. E più che alleati, finlandesi e olandesi sembrano i cani da guardia del rigore tedesco. È anche per questo che Merkel ha deciso di cercare un compromesso con Monti che non costasse politicamente troppo a nessuno dei due: respingere il premier e rimandarlo a Roma a mani vuote avrebbe significato indebolirlo al momento sbagliato.
Non è dunque un caso se sul cosiddetto «salva spread» è emerso un compromesso in cui ciascuno vede ciò che vuole. Per chi crede che l’euro debba avere un prestatore di ultima istanza, è il primo passo di un cammino che porterà sempre di più al coinvolgimento della Bce negli acquisti di bond. Il relativo isolamento di Merkel di fronte a Francia, Italia, Spagna potrebbe spingere anche l’Eurotower a dimostrarsi più flessibile, secondo il fronte delle «colombe». A questo obiettivo può contribuire anche la prospettiva di controlli più rigidi a Bruxelles sui bilanci dei vari Paesi: ma per ora Hollande non cede su questo, fino a quando non otterrà da Merkel la promessa degli eurobond in contropartita.
Secondo chi invece tiene una linea intransigente sui salvataggi, cambia ben poco: l’accordo di Bruxelles in realtà ripete quanto stabilito da tempo, perché un governo che vuole aiuto dovrà sottoscrivere impegni e accettare la vigilanza europea. Due modi opposti di leggere le stesse righe firmate da tutti contengono per ora un solo messaggio: non finisce qui.
Federico Fubini