Marco Rogari; Roberto Turno; Giorgio Costa; Saverio Fossati e Gianni Trovati; Marco Mobili e Roberto Turno, Il Sole 24 Ore 30/6/2012, 30 giugno 2012
Statali subito in pensione Tagli tra 7 e 10 miliardi con la stretta su società ed enti pubblici Deroga di 1-2 anni alla riforma Fornero per favorire l’immediato pensionamento degli statali in esubero non ricollocabili: è una delle principali novità del pacchetto sul pubblico impiego che confluirà nel decreto sui tagli alla spesa
Statali subito in pensione Tagli tra 7 e 10 miliardi con la stretta su società ed enti pubblici Deroga di 1-2 anni alla riforma Fornero per favorire l’immediato pensionamento degli statali in esubero non ricollocabili: è una delle principali novità del pacchetto sul pubblico impiego che confluirà nel decreto sui tagli alla spesa. La stesura del testo è in fase avanzata; uno dei punti fermi resta la riduzione delle piante organiche: -20% i dirigenti, 5-10% gli altri statali. Previsti inoltre dai 10mila ai 30mila esuberi; per quelli non ricollocabili si profila o la mobilità per due anni o il pensionamento. Prosegue anche la messa a punto del piano di tagli alla spesa, che nelle ultime ore sembra prendere corpo nella versione rafforzata: l’obiettivo è 7-8 miliardi, con una stretta su enti e società pubbliche, non escludendo di salire a 10 miliardi. Probabile un rinvio del decreto a martedì o mercoledì. *** Statali, esuberi subito in pensione– ROMA Uno o due anni di deroga alla riforma Fornero per favorire l’immediato pensionamento degli statali sessantenni in esubero non ricollocabili. Il pacchetto sul pubblico impiego che confluirà nel decreto sui tagli alla spesa è a buon punto. I tecnici del Tesoro e del ministero della Pubblica amministrazione hanno lavorato alacremente anche ieri valutando nuove opzioni. A partire da un particolare meccanismo per favorire lo smaltimento delle ferie negli uffici (in primis delle amministrazioni centrali) non direttamente coinvolti nell’erogazione di servizi in tempo reale a cittadini e imprese. Il punto fermo del pacchetto resta la riduzione delle piante organiche: 20% per i dirigenti, a cominciare da quelli generali, 5-10% per gli altri statali. L’altra operazione che scatterà sarà quella sugli esuberi (dovrebbero oscillare tra i 10mila e i 30mila): per quelli che non saranno ricollocabili si profilano due percorsi. Anzitutto il pensionamento. Che sarà garantito con le vecchie regole previdenziali (quelle ante-riforma Fornero) a chi ha maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2011. E sempre con le vecchie regole dovrebbe accedere alla pensione anche chi maturerà i vecchi requisiti entro il 31 dicembre 2012 e, forse, fino a tutto il 2013. In altre parole, si tratterebbe di una deroga alla riforma Fornero di uno o due anni. Il secondo percorso di gestione degli esuberi dovrebbe essere agganciato alla mobilità per due anni (80% dello stipendio). A salvarsi da questa stretta dovrebbero essere gli insegnanti. L’unica misura restrittiva, congegnata a viale Trastevere, dovrebbe riguardare i quasi 1.500 docenti all’estero: un nucleo che verrebbe significativamente ridotto di numero (di almeno un terzo). Il personale sarà interessato anche dal programma di riorganizzazione dell’intera pubblica amministrazione. Il decreto sui tagli rappresenterà una sorta di antipasto visto che sarà previsto l’accorpamento alle amministrazioni centrali di alcuni enti e strutture collegati ai ministeri e scatterà una prima riorganizzazione interna degli stessi dicasteri (riduzione di direzioni generali e dipartimenti). Ma il grosso dell’intervento dovrebbe arrivare con la cosiddetta fase due del piano di revisione alla spesa, ovvero la spending review vera e propria, alla quale stanno lavorando i ministri Piero Giarda e Filippo Patroni Griffi. Con un pacchetto di provvedimenti da collegare a ottobre alla legge di stabilità dovrebbero essere ridisegnate diverse strutture, anche degli enti pubblici, con conseguente spostamento (mobilità) del personale e gestione degli esuberi. Una questione che, insieme al timore di tagli "lineari", preoccupa non poco i sindacati, dai quali non a caso nei giorni scorsi era arrivata al premier Mario Monti la richiesta di un incontro urgente sul pubblico impiego. Il Governo ha convocato le organizzazioni sindacali, insieme alle altre parti sociali, per lunedì mattina per illustrare le linee guida di tutto il provvedimento sulla spending review. Un provvedimento che dovrebbe confermare fino al 2014 ed estendere a tutte le strutture pubbliche il vincolo sulle nuove assunzioni: non più del 20% della spesa sostenuta per i dipendenti in uscita. E i nuovi ingressi dovranno in gran parte essere laureati. Confermato anche il giro di vite su auto blu e consulenze. Nel primo caso la misura messa a punto dai tecnici del Tesoro e di Palazzo Vidoni prevede il taglio del 50% della spesa sostenuta nel 2011 per le auto di servizio. Delle attuali consulenze ne dovrebbero sopravvivere solo una su quattro o una su cinque. In arrivo anche una stretta sui permessi al personale e sui distacchi sindacali, che potrebbero essere decurtati del 20 per cento. In arrivo anche un intervento selettivo sul personale comandato in altre amministrazioni. Un’altra misura ormai certa è quella sui buoni pasto che verrebbero allineati a 7 euro in tutte le amministrazioni centrali, gli enti pubblici non economici e (con un meccanismo di raccordo) nelle regioni e negli enti locali. Su questo intervento non è esclusa un’ulteriore riflessione anche a causa delle numerose proteste che si sono già scatenate. © RIPRODUZIONE RISERVATA Gli interventi per il pubblico impiego PIANTE ORGANICHE Il pacchetto sul pubblico impiego che confluirà nel decreto sui tagli alla spesa contiene due pilastri per intervenire sul personale: riduzione delle piante organiche del 20% per i dirigenti, a cominciare da quelli generali, e del 5-10% per tutti gli altri dipendenti pubblici, esclusi gli insegnanti MOBILITÀ L’altra operazione che scatterà sarà quella sugli esuberi, che dovrebbero oscillare tra i 10mila e i 30mila. Per i lavoratori in esubero non ricollocabili si profila l’ipotesi della mobilità per due anni (80% dello stipendio): un percorso di gestione che dovrebbe scattare per chi non ha i requisiti per andare in pensione PENSIONAMENTI Sarà la prima opzione per gestire gli esuberi non ricollocabili. Il pensionamento sarà garantito con le vecchie regole (quelle ante-riforma Fornero) a chi ha maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2011. E sempre con le vecchie regole dovrebbe accedere alla pensione anche chi maturerà i vecchi requisiti entro il 31 dicembre 2012 e, forse, fino a tutto il 2013 FERIE OBBLIGATORIE La pubblica amministrazione è alle prese con il problema del consistente monte ferie arretrate dei dipendenti. Per favorirne lo smaltimento si sta valutando un piano imperniato su un meccanismo ad hoc per gli uffici (in primis quelli dei ministeri) non strettamente coinvolti nell’erogazione in tempo reale di servizi a cittadini e imprese BUONI PASTO Un’altra misura ormai certa che contribuirà al taglio della spesa pubblica è quella sui buoni pasto. I ticket verrebbero allineati a 7 euro in tutte le amministrazioni centrali, gli enti pubblici non economici e (con un meccanismo di raccordo) nelle regioni e negli enti locali. Ma sulla misura non è esclusa una pausa di riflessione a causa delle numerose proteste scatenate INSEGNANTI La riduzione delle piante organiche allo studio dei tecnici del Tesoro e di Palazzo Vidoni non dovrebbe interessare i docenti. La sola misura restrittiva in arrivo, congegnata a viale Trastevere, potrebbe riguardare gli insegnanti italiani all’estero che attualmente sono quasi 1.500: questo "nucleo" verrebbe ridotto di almeno un terzo *** SANITA. LA CARTA DELL’ESECUTIVO– Il ministro della Salute è arroccato a quota 1,085 miliardi in più da rastrellare nei sei mesi che mancano del 2012. L’Economia chiede invece almeno 2 miliardi, ma è pronta ad alzare ancora di più la posta per farla salire nell’ipotesi massima addirittura fino a 3 miliardi. Tra spending review e tagli lineari, la spesa sanitaria è più che mai nell’occhio del ciclone della riduzione dei conti pubblici che il Governo ha in cantiere con la manovra che, salvo sorprese, è attesa in Consiglio dei ministri fin da lunedì. Dopo che, la mattina, incontrerà a palazzo Chigi anche i governatori che proprio sulla nuova spuntatura alla spesa sanitaria sono pronti ad alzare le barricate. Beni e servizi, industrie farmaceutiche e farmacisti, case di cura e specialistica convenzionata: questi i capitoli di spesa su cui sui concentrano le misure allo studio della manovra. Ma oltreché sul valore dei tagli, è sui metodi e anche sui puri e semplici interventi di riduzione lineare della spesa di asl e ospedali, che nel Governo non c’è identità di vedute. Senza dimenticare che le forze politiche e sociali non intendono rinunciare a dire la loro e a far pesare le proprie indicazioni nelle scelte di Mario Monti. Il Pd, in particolare, ha già fatto sapere direttamente Pier Luigi Bersani, non ci sta in alcun modo ad assestare un nuovo attacco alla spesa sociale e a quella sanitaria in particolare. Tanto più se si tratta di attacchi alla cieca e di riduzione della copertura sanitaria, non di una limatura agli sprechi, ma accertati e aggredibili. Sulla stessa linea tutti i sindacati, sia confederali che di categoria. Mentre industrie farmaceutiche, farmacie, produttori di biomedicali, case di cura, fornitori di beni e servizi, sono contro qualsiasi intervento che li colpisca direttamente. Un sentiero strettissimo, insomma, per il Governo. Che però continua a riservarsi almeno due carte: i 108 miliardi del Fondo 2012 e altri 1,5 miliardi dei cosiddetti "obiettivi di piano". Non è un caso che il riparto di questi finanziamenti non figuri alla conferenza Stato-Regioni di giovedì prossimo. Segno evidente che la potatura delle risorse per quest’anno è ormai solo questione di stabilire l’entità del taglio. Che dunque potrebbe "limitarsi" non soltanto alla spending review, ma appunto a colpi d’accetta lineari vecchio stile. Che si sommerebbero agli altri 8 miliardi già in cantiere per il 2013-2014 con la manovra estiva di un anno fa. Lo stesso intervento su beni e servizi è tutto da decidere. Anche se l’emendamento approvato alla Camera al decreto sulla spending review sulla rinegoziazione dei prezzi "sopra la soglia", ha aperto un nuovo capitolo al quale sia il supercommissario Enrico Bondi che l’Authority dei contratti pubblici stanno lavorando. *** Tagli alla spesa per 7-10 miliardi (Marco Rogari) ROMA Arrivare a quota 7-8 miliardi, non escludendo di salire anche a 10 miliardi. Con il trascorrere delle ore l’ipotesi di un piano di tagli alla spesa "rafforzato" sembra prendere il sopravvento sull’opzione "light" da 5-6 miliardi. Anche se il malumore che comincia a serpeggiare in diversi ministeri per il possibile ricorso, sulla base del menù abbozzato dai tecnici del Tesoro, a un intervento dai connotati più simili a quello di una stretta di tipo "lineare" piuttosto che a un vera e propria spending review (destinata a decollare veramente solo in autunno) potrebbe ricollocare la barra sulla versione soft. Decisivo sarà l’atteso vertice tra i ministri, a partire da quelli di spesa, e il premier Mario Monti, che ieri da Bruxelles ha ribadito che non è necessaria una manovra aggiuntiva. Una riunione che sembrava doversi tenere nella serata di domani ma che, con la decisione del premier di essere presente alla finale dei campionati europei di calcio, potrebbe anche slittare. Dalla nuova tabella di marcia dipende anche la convocazione del Consiglio dei ministri chiamato o varare il decreto sui tagli, che fino a ieri restava fissata, seppure solo in via ufficiosa, per lunedì pomeriggio. A questo punto un nuovo slittamento a martedì o mercoledì appare tutt’altro che improbabile. I previsti incontri di lunedì mattina tra il Governo e le parti sociali e, subito dopo, le Regioni dovrebbero invece essere confermati. L’obiettivo del Governo resta quello di evitare il previsto aumento autunnale dell’Iva e di trovare nuove risorse da destinare alle aree dell’Emilia Romagna colpite dal terremoto. Nel caso in cui si dovesse optare per il piano rafforzato da 7-10 miliardi verrebbe anche avviato il finanziamento delle cosiddette spese inderogabili (in primis quelle per le missioni di pace). Il programma di tagli si snoderà in quattro direzioni. Anzitutto il piano del super-commissario Enrico Bondi sul freno agli affitti e sulla razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi, a cominciare dalla sanità, che sarà rafforzato con una parte del pacchetto-Balduzzi. Da questo versante dovrebbero arrivare dai 4 ai 6 miliardi (sanità compresa). La seconda direttrice è quella del pubblico impiego che si svilupperà sul mix di interventi messi a punto dal Tesoro e dallo staff del ministro Filippo Patroni Griffi (attesi dai 400 agli 800 milioni). Questo capitolo verrà rafforzato con alcune delle proposte di taglio arrivate dai singoli ministeri (accorpamenti di direzioni generali, dipartimenti e enti collegati, come ad esempio quelli di ricerca) e da un anticipo del programma di spending review vera e propria alla quale hanno iniziato a lavorare i ministri Piero Giarda e Patroni Griffi. A cominciare dalla riduzione dei tribunalini, delle Prefetture e degli uffici periferici del Governo (indirettamente collegato alla razionalizzazione delle Province). Il terzo pilastro del decreto sarà la riorganizzazione delle Province (per la quale resta in piedi anche l’ipotesi di un provvedimento ad hoc). L’idea è di lasciare attivi 42 enti, ma si starebbe valutando anche l’ipotesi di arrivare a una configurazione con una sessantina di Province convincendo le Regioni a statuto speciale e inglobando le 10 città metropolitane. La quarta operazione sarà quella sulle società pubbliche e su quelle, di piccole dimensioni, create da enti locali e territoriali. Nel primo caso si punterebbe a rendere molto più snelli i Consigli di amministrazione delle società non quotate a totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta, come ad esempio Fs e Poste. Sul secondo fronte la potatura riguarderebbe una parte dei 3.127 enti strumentali, società, consorzi di Regioni, Province e Comuni, che risultano spesso doppioni di altre strutture. A spingere per un giro di vite è anche l’Upi, l’Unione delle Province italiane. Il decreto potrebbe essere arricchito anche con altri interventi, come ad esempio una fetta del cosiddetto piano Giavazzi sul riordino degli incentivi alle imprese, in parte già confluito nel pacchetto sviluppo varato nelle scorse settimane. *** ACQUISTI In primo piano c’è il progetto di Enrico Bondi sul freno agli affitti e sulla razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi, a cominciare dalla sanità, che sarà rafforzato con una parte del pacchetto-Balduzzi. Da questo versante dovrebbero arrivare dai 4 ai 6 miliardi PUBBLICO IMPIEGO L’altro intervento di rilievo è quello dei tagli al pubblico impiego che si svilupperà su un mix di interventi (si veda la pagina a fianco) da cui sono attesi dai 400 agli 800 milioni. Questo capitolo verrà rafforzato da accorpamenti all’interno dei ministeri PROVINCE Il terzo pilastro del decreto sarà la riorganizzazione delle Province, lasciando attivi 42 enti. Si sta valutando l’ipotesi di una configurazione con una sessantina di Province convincendo le Regioni a statuto speciale e inglobando le 10 città metropolitane SOCIETÀ PUBBLICHE La quarta operazione sarà basata da un lato sullo snellimento dei Cda delle società non quotate a totale partecipazione pubblica e, dall’altro, dalla potatura di parte dei 3.127 enti strumentali, società e consorzi di Regioni, Province e Comuni *** IL TREND (Giorgio Costa) MILANO La crisi pesa sui bilanci delle imprese, riduce in maniera sensibile la marginalità (quando non la azzera del tutto) e a farne le spese sarà anche il fisco e, in particolare, l’Ires, l’imposta sul reddito delle società con aliquota fissata al 27,5 per cento (fino al 2007 era al 33%). E le prime stime al riguardo – fatte da settori produttivi e mondo della consulenza professionale – ipotizzano una flessione media che, sui redditi 2011 da dichiarare nel 2012, potrebbe superare il 10 per cento. «È una crisi - spiega Enrico Zanetti, coordinatore dell’ufficio studi del Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e degli esperti contabili - che sta facendo scomparire il ceto medio anche per quel che riguarda le imprese. La percezione è che ora ci si trovi di fronte a un piccolo gruppo, un’élite, che va bene e in certi casi benissimo, e a una grande platea di società che va male o molto male. Di fatto si va sempre più assottigliando il gruppo di quelle realtà con marginalità media che erano la struttura portante del sistema». Parlare di Ires significa affrontare, per il fisco italiano, una posta che nel 2011 (redditi 2010) ha pesato - dati del dipartimento delle Finanze - per 35.937 milioni di euro su un gettito totale di 411.790 milioni, un dato in calo rispetto al gettito 2010 del 2,9% (37.012 milioni) a sua volta in flessione, seppure marginale, rispetto al dato del 2009 (-0,4% pari a 167 milioni in meno). E se, in effetti, nel 2011 (redditi 2012) la direzione fosse quella di un calo del 10% il gettito scenderebbe abbondantemente sotto i 33 miliardi. Attese negative, dunque, anche se i dati dei primi quattro mesi del 2012 diffusi sempre dal dipartimento delle Finanze indicano un aumento delle entrate Ires pari al 7,9%; ma si tratta del gettito relativo a una minoranza di imprese che hanno un esercizio che non coincide con l’anno solare e di modesto rilievo economico. Particolarmente pesante, sul fronte del gettito Ires, si annuncia l’apporto del sistema creditizio che in epoca pre-crisi rappresentava per il fisco un soggetto molto produttivo. Del resto basta guardare i risultati di bilancio 2011 di una grande banca italiana, Intesa Sanpaolo, per capire l’aria che tira: se nel 2010 la redditività complessiva era risultata pari a 2,23 miliardi, nel 2011 il dato è stato negativo per 8,46 miliardi e così di Ires, nel 2012, non versa un euro. D’altra parte, invece, il settore del lusso presenta imprese con margini interessanti e in crescita (vedi la Giorgio Armani) e che le imposte continueranno a pagarle, mentre dal settore delle costruzioni potrebbe arrivare davvero poco. Del resto, che sull’Ires tirasse una brutta aria emergeva anche dalle statistiche sulle dichiarazioni presentate nel 2010 e nel 2011 (e relative all’anno 2009) realizzate dal ministero dell’Economia e delle finanze. Una ricerca del gennaio scorso, infatti, metteva in luce il forte incremento delle dichiarazioni presentate da società in situazione di fallimento (+61,67%) o estinte (+52,08%). La situazione di congiuntura negativa si riflette inoltre sulla quota di società in utile, calate di oltre due punti percentuali (ora al 57,9%) mentre, conseguentemente, aumenta il numero dei contribuenti in perdita (37% contro il 35% del 2008). Il reddito d’impresa si conferma fortemente concentrato nelle regioni del Centro e del Nord: nel Sud e nelle isole viene dichiarato solo l’8,5% del reddito d’impresa totale. Il reddito medio dichiarato, pari a 256.980 euro, subisce un decremento del 6,7% rispetto a quello relativo nel 2008. E le società di capitali hanno dichiarato un imponibile di 126.482 milioni di euro rispetto ai 137.244 milioni di euro nel 2008, con un calo di quasi 8 punti percentuali. *** Sul saldo Imu l’incubo dei minori trasferimenti GETTITO NON UNIFORME (Saverio Fossati e Gianni Trovati) Ce la faranno? I primi risultati del gettito Imu sono lusinghieri ma almeno un dubbio lo lasciano. Se in pratica mancano all’appello 700 milioni e il gettito dovrà però coprire almeno altri 2,5 miliardi di mancati trasferimenti, quanto sarà pesante il saldo di dicembre? L’iniziale entusiasmo è più che giustificato dal sostanziale fallimento delle politiche di rivolta fiscale. Anche tenendo presenti questi fattori, e la possibilità di suddividere in tre rate l’Imu sull’abitazione principale (inserita solo all’ultimo), è chiaro che questo primo appuntamento è andato bene. Ma il timore è che il saldo diventi davvero pesante. Se infatti alla fine si tratterà di ricavare un gettito reale di altri 2,5 miliardi, arrivando cioè a 23,9 miliardi con le manovre comunali, è inevitabile che l’aliquota ordinaria salga mediamente di almeno un punto percentuale, come è stato registrato su questo giornale in base ai dati dell’Ifel. Non servirà quindi un nuovo Dpcm, dato che le quote statali saranno probabilmente coperte dal gettito, ma certo i municipi stanno tenendo conto di quei 2,5 miliardi in più da coprire con l’Imu. Del resto i conti sono presto fatti: con l’aliquota media ordinaria dello 0,86 per cento il gettito può salire a 23,9 miliardi. Ecco, quindi, che se a giugno si potrà anche arrivare ad aver incassato 9,7 miliardi, tra settembre e dicembre ne dovranno arrivare altri 14,2. Un bel 46% in più. E sempre considerando che il gettito complessivo 2012 dall’abitazione principale non dovrebbe superare i 3,4 miliardi, 1,7 a giugno e 1,7 a dicembre, ecco che a dicembre dagli altri immobili dovranno arrivare ben 12,5 miliardi, cioè il 56% in più di quanto è stato versato a giugno. Ed ecco spiegata la scelta prudenziale di molti grandi Comuni, cioè quella di innalzare l’aliquota ordinaria al massimo. E non solo quella: per arrivare a coprire tutto occorre incidere anche sull’abitazione principale. Infatti in parecchi hanno messo l’aliquota ridotta allo 0,5 per cento. L’ipotesi di una riduzione delle aliquote già decise appare quindi difficile, quanto meno non sarà certo generalizzata. Intanto, però, anche il gettito del 18 giugno si è distribuito in modo non uniforme: a Torino, per esempio, sono già arrivati praticamente tutti i 120 milioni che Palazzo di Città si attendeva dall’acconto, in linea con il gettito stimato anche dal ministero dell’Economia. A Genova, invece, la lancetta si è attestata per ora a 77 milioni, un dato più vicino all’Imu annuale prevista dal Comune (160 milioni) rispetto ai calcoli più ottimisti elaborati a Via XX Settembre (175 milioni). Brescia è a metà strada: il Comune si aspettava circa 20 milioni dall’acconto, al momento ne sono arrivati 23, che non bastano ancora tuttavia a raggiungere con sicurezza il dato assegnato alla Loggia dal ministero (53 milioni). Anche Firenze è ferma a 23 milioni, se ne attende almeno il doppio ma è possibile un nuovo afflusso significativo nei primi giorni della prossima settimana. I conti, insomma, sono destinati a chiudersi a brevissimo. Poi, però, si aprirà la giostra delle perequazioni. I Comuni, infatti, al momento hanno dovuto iscrivere a bilancio in via convenzionale i dati di gettito stimati dall’Economia, per cui nei casi in cui i pagamenti effettivi si fermassero sotto quel livello si potrebbero creare problemi di equilibrio. Le prime analisi sui numeri ministeriali hanno mostrato, in generale, una certa sovrastima del gettito al CentroNord, e una sottostima al Sud. Il problema delle perequazioni, comunque, è ben presente anche al Governo. Lo stesso sottosegretario all’Economia Vieri Ceriani, che ha sempre respinto gli allarmi sul gettito complessivo dell’Imu, ha però riconosciuto che i dati relativi ai singoli Comuni avrebbero potuto evidenziare qualche problema, e ha già aperto all’esigenza di aggiustamenti. Un passaggio chiave, perché dalle assegnazioni definitive dipende anche il taglio effettivo che ogni Comune dovrà subire sul fondo sperimentale di riequilibrio. Sempre sul fondo, però, qualche nuova sorpresa potrebbe venire dalla spending review in programma al Consiglio dei ministri dei prossimi giorni: nel pacchetto di misure per reperire risorse, infatti, i tecnici del Governo stanno ipotizzando anche una nuova sforbiciata da un miliardo agli stanziamenti destinati ai Comuni. © RIPRODUZIONE RISERVATA I NUMERI DELL’IMU 9,7 miliardi Il gettito atteso e probabilmente raggiunto per l’acconto di giugno 21,4 miliardi Il gettito complessivamente atteso in base al Dl Salva Italia dello scorso dicembre 2,5 miliardi I minori trasferimenti dallo Stato ai Comuni 23,9 miliardi Il getitto complessivo dell’Imu che tenga conto anche delle manovre dei singoli Comuni per ripianare i minori trasferimenti 14, 2 miliardi Il gettito del saldo Imu di dicembre, compresi i versamenti della seconda rata di settembre per le abitazioni principali 0,86% L’aliquota media ordinaria che dovrebbe essere applicata a tutti gli immobili diversi dall’abitazione principale per arrivare a coprire i 23,9 miliardi necessari *** Corte dei conti: ancora troppi i furbi dei condoni NEL MIRINO DEI GIUDICI (Marco Mobili e Roberto Turno) I furbetti dei maxi condoni del 2002-2004 regalati da Berlusconi-Tremonti continuano a farla franca. Sarà infatti un’impresa pressoché impossibile riuscire a riscuotere i 5,2 miliardi (sui 26 miliardi totali attesi) che ancora mancavano all’appello dopo gli accertamenti di un anno fa. Di questa somma a fine 2011 il fisco è riuscito a incassare poco più di 1 miliardo, quindi con una pendenza ancora da riscuotere di 4,1 miliardi. Un vero e proprio fallimento e insieme un pericolo in più per la tenuta dei conti pubblici anche in proiezione del pareggio di bilancio, visto che la caccia agli evasori del condono un anno fa fu inserito di peso tra le misure della manovra estiva per far quadrare i conti. A certificare il rischio concreto di un nuovo flop fiscale, ma anche le criticità dell’intera operazione, è la Corte dei conti che nel rapporto sul bilancio dello Stato nel 2011, appena consegnato alle Camere e al Governo, ha lanciato un nuovo allarme. Poche righe, ma nette e circostanziate espressamente dedicate nel capitolo sulle entrate della relazione. «I risultati finora conseguiti sono lontani dalle aspettative – afferma infatti la magistratura contabile – e inducono a valutazioni molto caute circa l’effettiva possibilità di recupero di ulteriori rilevanti quote dell’ammontare complessivo delle somme ancora dovute all’Erario». Eppure, soprattutto dopo la manovra estiva del 2011 e la relativa indagine condotta da Equitalia fino a novembre scorso, il Fisco a questo punto dovrebbe conoscere per nome e cognome tutti i furbetti dei condoni che, dopo aver pagato la prima rata, si sono immediatamente dileguati lasciando dietro di sé un autentico buco di incassi. Sono stati identificati ben 63mila codici fiscali di contribuenti che hanno aderito al concordato preventivo, all’integrativa semplice, al condono tombale, alla sanatoria delle scritture contabili e alla definizione delle liti pendenti. Nei loro confronti risultano ancora pendenti iscrizioni a ruolo che, al netto degli sgravi, valgono 1,9 miliardi. Di questi, il carico residuo indicato da Equitalia ammonta ancora a 1,58 miliardi. Il che testimonia, afferma ancora la Corte dei conti, che le percentuali di riscossione sono ancora bassissime: appena il 16,6% sul carico netto, in lievissimo aumento rispetto al 15,7% registrato nel settembre dell’anno scorso all’indomani della manovra estiva. Gli stessi valori assoluti della riscossione testimoniano il passo da lumaca dei recuperi del Fisco nei confronti degli evasori: a marzo 2012 le riscossioni sono state appena pari a 14,7 milioni di euro. Le briciole, insomma. Capitolo a parte riguarda gli omessi o insufficienti versamenti. Che poi è la parte preponderante (il 69%) delle rate del condono non versate, sulle quali non è scattato il monitoraggio secondo le nuove metodologie indicate dall’amministrazione finanziaria. Una partita che vale ben 2,94 miliardi di «carico residuo» indicati da Equitalia e riportati dalla relazione della Corte dei conti. Infine la parte Iva del condono: da gennaio, sottolinea la Corte dei conti, agenzia delle Entrate e Guardia di finanza possiedono gli elenchi dei contribuenti che hanno aderito al condono salvo poi essere chiamati a riversare l’Iva come chiesto dalla Ue. © RIPRODUZIONE RISERVATA PASSO DI LUMACA 63mila I codici fiscali I contribuenti individuati dal fisco che hanno aderito al concordato preventivo, alla integrativa semplice, al condono tombale, alla sanatoria delle scritture contabili, alla definizione delle liti pendenti 1,9 miliardi Da recuperare Il valore delle iscrizioni a ruolo, al netto degli sgravi ancora pendenti nei confronti dei 63mila contribuenti individuati 14,7milioni Riscossione Il valore assoluto della riscossione da parte del fisco a marzo 2012