Vittorio Malagutti, il Fatto Quotidiano 28/6/2012, 28 giugno 2012
MPS, AIUTI DI STATO E TAGLI AI DIPENDENTI
Milano
Lo chiamano rilancio, ma il piano industriale presentato ieri agli analisti dai vertici del Monte dei Paschi assomiglia più che altro a una drastica cura dimagrante. Il gruppo Mps, costretto a chiedere il sostegno dello Stato per rispettare gli impegni con l’autorità di vigilanza, da qui al 2015 taglierà personale, chiuderà filiali e metterà in vendita partecipazioni e altre attività. Tutto questo con l’obiettivo dichiarato di rimettere in moto una macchina che adesso gira al minimo e raggiungere entro tre anni un utile di 633 milioni. È un obiettivo senz’altro ambizioso se si pensa che nel 2011 il Monte è andato in rosso per 77 milioni a cui vanno aggiunte le perdite da svalutazioni per la colossale cifra di 4,6 miliardi.
IL PRESIDENTE Alessandro Profumo ieri se l’è cavata con una metafora marinara. “É un piano scritto con il vento a prua”, ha detto l’ex numero uno di Unicredit approdato a Siena meno di due mesi fa. Nel senso che tutte le previsioni sono state elaborate scontando un contesto sfavorevole. Con il sottinteso che magari, nell’arco di un paio di anni, le cose potrebbero anche migliorare. Intanto però al Monte dei Paschi prevedono un calo dei ricavi (giù del 3,2 per cento nel 2015 rispetto al 2011) e anche dei prestiti, che dovrebbero diminuire dello 0,7 per cento possibilmente migliorando la qualità del credito, cioè selezionando meglio i clienti. Anche la quota di entrate da servizi (commisisoni) dovrebbe aumentare notevolmente rispetto al semplice margine d’interesse (differenza tra remunerazione dei depositi e proventi dei prestiti). Nel frattempo, però, bisognerà dare anche un taglio netto ai costi. E
allora la banca senese nei prossimi tre anni intende fare a meno di circa 4.600 dipendenti sui 31 mila circa attualmente a libro paga. L’obiettivo verrà raggiunto anche con la vendita di attività come la banca Biver (750 dipendenti), l’ex Cassa di risparmio di Biella e Vercelli, che verrà acquistata dalla Cassa di Asti.
Il grosso dei tagli viene però dall’outsourcing, cioè l’affidamento a una società esterna di tutte le attività amministrative di back office che valgono circa 2.300 posti di lavoro, a cui si aggiungerà l’accompagnamento alla pensione di un altro migliaio di dipendenti. La rete commerciale verrà alleggerita di almeno 400 filiali e secondo il piano anche un centinaio di dirigenti, il 20 per cento del totale, perderanno il posto. Alla fine di questa raffica di tagli il costo del lavoro dovrebbe calare da 2,2 a 1,9 miliardi. Quasi scontate le reazioni negative dei sindacati interni che in un comunicato parlano di “assoluta incapacità del top management e totale mancanza di idee a livello di progetto industriale”. Il segretario nazionale della Fabi, Lando Sileoni, critica invece un piano che definisce “di corto respiro e con un impatto sociale dirompente”.
Polemiche a parte, Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola, in carica da inizio 2011, hanno ereditato una banca in condizioni critiche. “I nostri problemi sono di ampiezza superiore al resto del sistema bancario”, ha ammesso ieri Viola. L’aumento di capitale da 2 miliardi varato giusto un anno fa è servito soltanto a tamponare le falle. E le richieste dell’Eba, l’autorità di vigilanza europea, ha costretto l’istituto a chiedere al governo 2 miliardi di Tremonti bond, che si vanno a sommare ad altri 1,9 miliardi di aiuti già ricevuti nel 2009.
TEMPI E MODI del nuovo intervento pubblico verranno stabiliti solo nelle prossime settimane. Di sicuro però i Tremonti bond costano cari. La banca potrebbe essere costretta a pagare interessi anche superiori all’8 per cento. Per questo ieri Profumo si è affrettato a precisare che le obbligazioni di Stato verranno rimborsate il più presto possibile, di sicuro entro il 2015. Per far fronte a questo impegno i vertici di Mps sono pronti a chiedere altri soldi al mercato con un aumento di capitale. Non subito, ma forse già il prossimo anno con un’operazione in Borsa del valore di un miliardo.
Chi paga? La Fondazione Mps, primo azionista con una quota del 36 per cento, no di sicuro. Soldi in cassa non ce ne sono. L’ente guidato da Gabriello Mancini, pure lui in difficoltà per salvare la poltrona, si è svenato per far fronte agli ultimi aumenti di capitale. E infatti il (possibile) prossimo aumento di capitale verrà lanciato con l’esclusione del diritto d’opzione, cioè non ai nuovi soci.
Per questo motivo molti sul mercato si attendono l’arrivo di nuovi azionisti importanti nell’istituto senese, contando anche sulla vasta rete di contatti del presidente Profumo. Un po’ quello che sta succedendo anche per Unicredit, che proprio l’altro ieri ha visto l’ingresso il fondo speculativo britannico Pamplona portare la sua partecipazione dall’1,9 al 5 per cento. I titoli Mps quotano in Borsa a prezzi di saldo e allora Siena sperano che qualche investitore si faccia avanti. Al momento però i soldi sono arrivati solo da Roma. Soldi di Stato.