Cédric Villani, Corriere della Sera 29/6/2012, 29 giugno 2012
Che porta alla verità Poincaré, la sublime imperfezione – Cento anni fa si spegneva Henri Poincaré, «primo matematico di Francia e del mondo», come si diceva in Francia, e anche nel resto del mondo
Che porta alla verità Poincaré, la sublime imperfezione – Cento anni fa si spegneva Henri Poincaré, «primo matematico di Francia e del mondo», come si diceva in Francia, e anche nel resto del mondo. Borghese tranquillo e grassottello, miope come una talpa, ha fatto comunque sognare, grazie al forte vigore della sua mente, gli uomini dei secoli a venire. Poincaré non era soltanto un grande matematico; era anche un grande fisico, un grande astronomo, un grande ingegnere, un grande filosofo, in una parola un grande uomo universale, consultato in tarda età come un oracolo, e su qualsiasi argomento. Simbolo della forza e dell’unità del pensiero umano, fragile e prezioso, sul quale Poincaré ha scritto pagine mirabili: «Il pensiero non è che un lampo nel mezzo di una lunga notte, ma è un lampo che significa tutto». Poincaré s’interessava a tutto, imparava tutto, rivoluzionava le teorie matematiche e fisiche, vedeva tutto in grande. Non stupiamoci, dunque, che commettesse anche dei grossi errori! In fondo, solo i morti non fanno errori; e Poincaré non era di quelli che preferiscono concentrarsi su enunciati prudenti e poco impegnativi che non hanno neanche il merito di essere falsi. Il suo errore più celebre, quello che illuminerà a lungo la leggenda delle scienze, l’ha commesso studiando il problema dei tre corpi. Perché tre corpi? Perché, da Newton in poi, si sapeva risolvere il problema di due corpi in interazione, ma non quello di tre corpi, o di quattro corpi, o di qualsiasi altro numero ancora maggiore di corpi. Prendete due corpi, due masse: la Terra e il Sole, per esempio; prescindete da tutto il resto dell’universo e calcolate il loro movimento servendovi delle equazioni di Newton. La soluzione è presto trovata: la Terra disegna una meravigliosa ellisse attorno al Sole, una traiettoria semplice ed elegante, scoperta già molti millenni fa dai matematici greci, ben prima che si venisse a conoscenza di una Terra orbitante — e riscoperta dall’astronomo tedesco Johannes Kepler ancor prima che Newton avesse compreso l’attrazione gravitazionale. Con due corpi, abbiamo dunque una bella ellisse, stabile all’infinito, che si perpetua fino alla fine dei tempi. Ma se consideriamo gli altri corpi, gli altri pianeti, che cosa accade? Dopotutto, se la Terra è attratta irresistibilmente dal Sole, è anche influenzata da Giove, Marte e da tutti gli altri pianeti più lontani. Certo, sono influssi che non hanno gran peso rispetto alla formidabile attrazione esercitata dal Sole, ma non potrebbero turbare l’equilibrio della bella macchina? La Terra continuerà a girare per sempre attorno al Sole, o un giorno finirà per entrare in collisione con un altro pianeta? A partire dal momento in cui consideriamo l’influsso del terzo astro, siamo perduti, non sappiamo più che cosa rischia di prodursi; e, quel che è peggio, nel sistema solare ci sono 9 o 10 pianeti! Ma cominciamo con i tre corpi, e cerchiamo la risposta nel cuore delle equazioni. Stabilità o instabilità? A 35 anni, per concorrere al premio per le matematiche offerto dal re Oscar di Svezia, Poincaré studiò il problema dei tre corpi, sebbene in una versione ancora lievemente semplificata. Un problema che lo appassionava — lui che amava osservare il mondo circostante solo per ricavarne le leggi costitutive. Un problema che gli fece superare se stesso! La giuria non stentò a riconoscere lo stile del giovane matematico francese in quel manoscritto anonimo che traboccava di idee nuove dai nomi originali, e che dimostrava la stabilità in modo tanto elegante. Poincaré vinse il primo premio per alzata di mano. La sua relazione non era comunque perfetta. Tutt’altro. Quante incertezze, imprecisioni, ambiguità nella dimostrazione di Poincaré! Nulla di sorprendente — tutti sapevano che il geniale matematico non era un modello di chiarezza. Stesura ellittica, asserzioni ingiustificate, digressioni pedagogiche che interrompevano il ritmo del discorso; erano difetti del tutto familiari ai lettori di Poincaré. I suoi articoli ribollivano di idee, ma la verifica di quelle idee non risultava affatto agevole, e nessuno rimase sorpreso dal lungo elenco di osservazioni preparato da Phragmén, il giovane e talentuoso assistente incaricato della pubblicazione del manoscritto di Poincaré. Poincaré corresse tutto ciò che poteva, fino a sentirsi convinto di aver ripreso il controllo di tutto. Un manoscritto ben costruito, un edificio inattaccabile! Eppure, una delle lucertole che Phragmén aveva scovato all’interno del monumento si mise a tormentare Poincaré più del lecito. Finché un giorno egli non dovette arrendersi all’evidenza: era tutto sbagliato! La crepa si era ingrandita fino a formare una voragine che comportava il crollo dell’intero edificio del teorema! Ma Poincaré aveva già ricevuto il premio, le onorificenze e il denaro, il suo articolo era pubblicato, era una celebrità mondiale. Che pressione terribile sulle spalle del giovane matematico! Che fare di quella prova infetta? Prima di tutto, non diffondere l’infezione — e l’editore riuscì a riavere indietro tutte le copie dell’articolo pubblicato. Meno male che Internet non esisteva ancora! Fu possibile recuperare tutto e distruggere tutto. La faccenda costò cara a Poincaré, ma era in gioco la sua reputazione. E poteva fare di nuovo lavorare il suo potente cervello. E… incredibile! Poincaré riuscì a riparare tutto quanto. Certo, con una differenza di spessore: la sua conclusione, cambiando totalmente, aveva messo il dito sulla difficoltà maggiore, e scoperto come nella bella meccanica cosmica, retta da equazioni impeccabili e precise come orologi, potesse prender vita l’instabilità. Equazioni più esatte del più preciso orologio svizzero, ma così sensibili alle condizioni iniziali che le predizioni ultime possono essere modificate da un granello di polvere, dal battito d’ali di una farfalla, come si dirà in seguito. Viene in aiuto a Poincaré un altro francese, Jacques Hadamard, e i due devono per forza constatare che la perfezione kepleriana ha lasciato il posto a una sublime imperfezione, ricca e piena di possibilità. Come Cristoforo Colombo che intoppò per sbaglio nel continente americano, Poincaré scopre un nuovo continente scientifico, un mondo imperfetto e caotico, le cui leggi, anche se rimangono deterministiche, conducono a comportamenti imprevedibili, comprensibili ormai solo sotto il profilo statistico. (...) L’imperfezione ci è familiare. Ci bagniamo nell’imperfezione, siamo i figli dell’imperfezione, le dobbiamo tutto. È l’imperfezione della riproduzione che ha permesso l’evoluzione delle specie; centinaia di milioni di mutazioni, forse, a partire dell’invenzione del batterio, che fa di noi ciò che siamo; selezionati dal nostro stesso sovrappopolamento, di errore di trascrizione in errore di trasmissione. Come cantava la cantante di protesta Mama Bea Tekielski, «Siamo il risultato di un’equazione sbagliata». Per fortuna! L’imperfezione, statutaria e salutare, è la nostra forza; se fossimo tutti perfetti, saremmo condannati. La variabilità genetica è la nostra migliore risorsa nei confronti del mondo biologico, così mutevole e così minaccioso. E dà luogo a mescolanze così meravigliose. L’imperfezione la ritroviamo in tutto ciò che facciamo. Nelle lingue, la cui favolosa diversità è il frutto di innumerevoli sbagli di traduzione, errori di ortografia e di grammatica, alterazioni e pronunce erronee, cattivo latino cristallizzato in un buon italiano, dialetti incerti travolti da inflessioni tenaci, e centomila storie di errori consolidati che contribuiscono a formare la nostra torre di Babele. L’imperfezione è anche, ovviamente, acquattata in tutti i nostri programmi informatici, sempre più faraonici, di cui nessuno riuscirà a debellare tutti i bachi… Ed è acquattata nelle nostre realizzazioni tecnologiche, condannate a vivere con i loro intrinseci errori d’impostazione, che nessun progresso potrà emendare — come le nostre macchine da scrivere, dotate in modo ridicolo, e forse per sempre, di una tastiera dalla disposizione assurdamente inefficace. E il pensiero, quell’illuminazione di cui tutti andiamo fieri, è forse perfetto? Mi viene da ridere! Che confusione è mai il pensiero umano! Ha creato il ragionamento matematico, perfetto nella sua forma e nella sua logica, solo con uno sforzo enorme. Ma non è qui la sua essenza originaria. Poincaré l’ha spiegato molto bene analizzando alcune delle sue scoperte più magistrali: le associazioni d’idee, spontanee e incomprensibili, che subentrano ai periodi di riflessione cosciente, in un caos imprevedibile come quello previsto dalle sue teorie fisiche. Anche i grandi matematici devono far leva sull’irrazionale. E, contestualmente, sono esposti a errori. Anche i matematici migliori, com’è il caso di Poincaré. A volte commettono due errori alla volta, errori che hanno il buon gusto di annullarsi a vicenda. Come accadde a Galileo quando descrisse la traiettoria di una palla di cannone; o, a volte, più drammaticamente, se la devono vedere con tre errori, i quali si rafforzano l’un l’altro, come accadde a Lord Kelvin quando calcolava l’età della Terra. E si potrebbero moltiplicare esempi e controesempi. Non c’è però nulla di tragico; nel campo del pensiero umano, come in quello delle lingue e in quello della biologia, la possibilità di errore è una fortuna, perché da essa scaturirà l’inatteso e qualche volta il sublime!... (Traduzione di Sergio Arecco)