Federico Fubini, Corriere della Sera 29/6/2012, 29 giugno 2012
L’Europa Diffidente sugli Impegni di Roma – C’è un personaggio di cui non si sa niente, ma che sta svolgendo un ruolo di primo piano nel vertice di Bruxelles
L’Europa Diffidente sugli Impegni di Roma – C’è un personaggio di cui non si sa niente, ma che sta svolgendo un ruolo di primo piano nel vertice di Bruxelles. Non che sia sul posto. Di lui non si conoscono né il nome né le forze che lo sostengono, ma pesa già sulle discussioni perché è il prossimo primo ministro italiano. Chiunque lei o lui sia. In realtà succede di rado che in una grande democrazia occidentale a pochi mesi dal voto non sia chiaro né chi saranno i grandi candidati, né il quadro delle alleanze, né se i principali partiti sostengono davvero la moneta del Paese. Quest’incertezza riguardo all’Italia, un debitore da 1.949 miliardi di euro con interessi a dieci anni al 6,19%, ieri a Bruxelles si è fatta sentire almeno in uno dei due grandi negoziati in corso in parallelo. In quello più vasto sugli orizzonti futuri — l’unione bancaria, il controllo sui bilanci, qualche forma di eurobond — la scarsa visibilità sul futuro politico dell’Italia ha un’incidenza ridotta. Non così nell’altro dossier che proprio la delegazione italiana ha imposto al vertice di Bruxelles: le misure più immediate per cercare di contenere i tassi d’interesse sul debito. Dal 10 gennaio al 19 marzo gli spread dei titoli di Stato sui Bund tedeschi sono crollati da 531 a 278 punti, poi hanno invertito il senso di marcia in una specie di «v». Dal 20 marzo il costo del debito ha ripreso a salire, costantemente; tra piccoli alti e bassi il movimento al rialzo continuo è visibile, una linea che sale sempre. Goldman Sachs, la banca d’affari, stima che questa febbre si spieghi per metà con lo stato del debito e dell’economia del Paese, ma per il resto con «i timori (degli investitori, ndr) sulla tenuta dell’unione monetaria». Monti sa che anche mentre l’Italia avanza nelle riforme, la febbre può continuare a salire fino al punto in cui l’Italia rischia di non riuscire più a finanziarsi. Per evitarlo sta accelerando i tagli e le privatizzazioni. Ma nel frattempo in Europa chiede un sostegno esterno per avere il tempo delle riforme, ed è qui che l’incertezza sul futuro politico del Paese sta complicando il suo lavoro. Il meccanismo proposto dal premier prevede che un Paese in regola con i criteri di bilancio del «fiscal compact» possa automaticamente chiedere e ottenere un intervento dei fondi salvataggi. L’Esm, il nuovo fondo permanente con una dotazione effettiva di circa 350 miliardi, potrebbe acquistare titoli di Stato a scadenze più lunghe direttamente all’asta. Ieri ne ha parlato anche il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, ma lui e i suoi colleghi di Olanda, Finlandia, Austria e Slovacchia hanno in mente una procedura diversa per gli interventi. Come prevede anche il Trattato dell’Esm, loro pensano che per ricevere aiuto un Paese debba prima firmare un «memorandum d’intesa» nazionale con Bruxelles. Gli interventi sono condizionati a un programma di misure di cui poi la Commissione, l’Eurogruppo e la Bce sorveglieranno l’applicazione. Si tratterebbe della messa sotto tutela di un governo che chiedesse l’acquisto (parziale) dei suoi bond all’asta con il fondo salvataggi. È qui che pesa il «convitato di pietra» del dopo voto. «La sabbia nella clessidra di Monti sta scivolando via», ha osservato ieri il ministro degli Esteri di Helsinki Alex Stubb. I Paesi raccolti attorno alla Germania vogliono garantirsi che l’Italia non deragli dopo che Monti sarà fuori da Palazzo Chigi. Per questo insistono che qualunque intervento sia vincolato a un controllo europeo. Ma mettere sotto tutela Monti significa minare a Roma l’autorità di un premier nominato proprio per evitare che l’Italia finisse sotto tutela. Probabile che il governo tecnico non sopravviverebbe a un «memorandum». Ed è su questa quadratura del cerchio (quasi) impossibile che si gioca una fetta del futuro dell’euro.