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 2012  giugno 29 Venerdì calendario

LA BRECCIA AMERICANA

LA CORTE suprema, porto al quale va sempre a rifugiarsi la grande nave della società americana nelle tempe ste, ha di nuovo riscritto la rotta della nazione.
Nell´affermare la legittimità della riforma voluta da Barack Obama per estendere d´imperio, quasi di forza, il diritto/dovere alla sanità a milioni di cittadini ha fatto molto più che regalare al presidente in lotta per sopravvivere una vittoria politica insperata e un posto nella storia americana.
Ha aperto una breccia - come hanno capito subito i conservatori e l´opposizione che già gridano allo scandalo e all´avvento dello «stalinismo sanitario» - nel muro di interessi, di sfacciato lobbismo assicurativo, di tabù e paure che ha fatto degli Stati Uniti l´unico paese sviluppato, fra i trentaquattro che formano l´Ocse, senza un servizio sanitario nazionale. Pur spendendo, con duemila e cinquecento miliardi di dollari all´anno, e oltre ottomila pro capite, più di ogni altro, e questo senza essere affatto più «sano», più longevo o meglio curato degli altri.
La riforma di Obama, la «Obamacare» come derisoriamente era stata ribattezzata, non è la «mutua», non è il servizio sanitario nazionale, non è la formula del «single payer», di uno che paga per tutti (lo stato) che pure ottimamente funziona nel vicino Canada. S´impernia ancora sul privato, con l´obbligo di estendere a tutti e non negare a nessuno coperture a costi ragionevoli e paragonabili a quelli che le nostre «previdenze» prelevano dai salari, non esistendo mai nulla, in nessun luogo, di «gratutito». Ma accetta e costituzionalizza il principio che un governo federale possa imporre, per il più grande bene comune, leggi e norme universali sul terreno anche della salute. Magari impopolari e invise, come questa è.
Che questa breccia nella diga della anomalia americana sia stata aperta da una Corte Suprema formata da cinque giudici di provata fede conservatrice contro quattro considerati più progressisti, ha sorpreso tutti. Osservatori e allibratori avevano scommesso sulla cassazione di una norma che obbliga i cittadini non protetti già dallo stato - come gli anziani over 65 e i bambini sotto il livello ufficiale di povertà - a comperare polizze sanitarie, ma il «tradimento» di un magistrato, Roberts, passato da destra a sinistra per fare maggioranza 5 a 4 è la conferma del ruolo magnificamente super partes e indipendente che la massima Corte ha svolto e che è sopravvissuto a ogni prova. Il suo compito è di essere non un semplice verificatore robotico di coerenza costituzionale, ma interprete di giustizia, nel senso più profondo della parola. Più ancora della sentenza, è la sensazionale riaffermazione dell´autonomia della magistratura suprema dalle infiltrazioni della politica la buona notizia che ancora la Corte Suprema americana ci trasmette.
I giureconsulti si scandalizzeranno - e già lo stanno facendo insieme con i «boia chi molla» delle destra parlamentare decisi a demolire alla Camera la legge che la Corte ha approvato - di fronte all´acrobazia compiuta dalle cinque toghe del «sì». Esse hanno interpretato l´obbligo di acquistare e offrire polizze a tutti, e di sovvenzionarle nel caso i cittadini non possano permettersele, come una «tassa», non come un´intrusione nella libertà individuale di commercio. Poiché sulla tassazione, la Corte non ha competenza, non può intervenire e cassare. È un evidente «escamotage», molto simile a quel «diritto alla privacy» nel quale altri giudici, ormai 40 anni or sono, lessero la legittimità dell´aborto, visto come evento privato nella vita di una donna.
Proprio come nel caso di Roe vs Wade sull´interruzione di gravidanza volontaria, nel Brown vs the Board of Education, il provveditorato del Kansas al quale fu imposta l´integrazione razziale, nello scontro fra Stati Uniti vs Nixon quando fu stabilito che neppure il Capo dello Stato è al di sopra della legge, anche in questa occasione la Corte ha confezionato una scelta politica dentro la carta della Costituzione. Tutte le sentenze che nei due secoli di attività le nove toghe supreme, che scherzosamente sono spesso chiamate «The Supremes» dal nome di un famoso gruppo musicale, hanno emesso sono state di immensa portata politica, nei fatti, se non nelle intenzioni e non soltanto per gli Stati Uniti. Basti ricordare, oltre al caso dell´aborto legittimo che aprì la strada a leggi e referendum anche nelle nazioni più tradizionaliste, la decisione, sempre presa con il margine minimo di 5 contro 4 che nell´autunno del 2000 consegnò la Casa Bianca a George Bush.
Gli uomini e le donne (oggi tre, massimo storico, e tutte nominate da presidenti Democratici, Clinton e Obama) che compongono la Corte ne sono ovviamente consapevoli. Sanno che le loro rare sentenze - accettano circa 100 casi all´anno sugli oltre diecimila che vengono proposti - cambiano la storia della società, più di elezioni e presidenze. Ma se anche la loro assunzione a quel sommo trono giudiziario sul quale siedono a vita ha sempre una sponsorizzazione politica, essendo scelti da Presidenti in carica e poi sottoposti al voto del Senato, la loro indipendenza, il loro prestigio, la loro sensibilità ai venti del momenti, sono sempre stati rispettati. Anche dai perdenti, come fu Al Gore che accettò la sentenza e come quei 26 stati che si erano ribellati all´Obamacare vissuto come un diktat centralista contro la autonomia federalista.
La data del 28 giugno 2012 entrerà di diritto nel catalogo delle decisioni che hanno cambiato l´America, grazie al «ribaltone» di John Roberts, il presidente della Corte, un giudice che era stato scelto da George W Bush nel 2005 proprio per garantire una maggioranza di destra fra i «Supremes». Se anche Roberts, fiore di quella che altrove sarebbe chiamata spregiativamente la «casta», prodotto delle elite Harvardiane, protegè di un altro presidente ultra conservatore della Corte, consigliere legale di Reagan, alto funzionario di ministeri, giudice di Corte d´Appello, ha ascoltato la propria coscienza anziché il richiamo delle ideologie, significa che l´ora in cui l´America si riunirà al convoglio delle nazioni che considerano la sanità un diritto civile, e non un prodotto, è più vicino.