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 2012  giugno 28 Giovedì calendario

Se il crimine è «malattia» a cosa serve la giustizia? - Delittoecastigo: labasedeldirit­to. Ragione e azione: la base presunta della libertà umana

Se il crimine è «malattia» a cosa serve la giustizia? - Delittoecastigo: labasedeldirit­to. Ragione e azione: la base presunta della libertà umana. Volontà e pulsioni: la base del­la psicologia, come la conoscono i più. E questi tre binomi normalmente sembrano potersi sovrapporre abbastanza facilmen­te. Tant’è che per essere punibili di un delit­to, in quasi tutti gli ordinamenti giuridici del mondo, bisogna essere considerati capaci di intendere e di volere, non sottoposti, du­rante la sua esecuzione, a cause di forza maggiore. Ecco perché se una persona in preda a uno stato allucinatorio picchia un vi­cino di casa credendolo Bin Landen finisce all’ospedale psichiatrico e non in prigione, o un cassiere di banca che apre la cassaforte sotto la minaccia di una pistola non è un la­dro. Negli ultimi vent’anni però la possibili­tà di stabilire solidi confini, tra lucida volon­tà di far del male e pulsione incontrollabile, è diventata più labile. Un esempio noto agli esperti del settore: nel 1999 un tranquillo in­segnante della Virginia, che mai aveva dato segni di comportamenti devianti, iniziò a molestare la figliastra. Venne immediata­mente denunciato, condannato, allontana­to dalla famiglia e dalla scuola. Ogni tentati­vo di riabilitazione all’inizio sembrò vano... Poi all’improvviso i medici gli diagnostica­rono un tumore, comprimeva la parte de­stra del lobo frontale (zona del cervello do­ve si trovano le funzioni superiori di cogni­zione). Appena operato il suo carattere tor­nò normale, scomparvero le tendenze pe­dofile, scattò il senso di colpa... Tornò a ca­sa. Meno di due anni dopo l’irrefrenabile impulso si presentò di nuovo. Fu un enor­me trauma per la famiglia, però il professo­re si recò immediatamente all’ospedale... Il tumore era tornato, lo operarono di nuovo, «guarì» immediatamente. Ma se in questo caso, grazie alle nuove tec­nologie, la differenza tra sanità e malattia è immediatamente e (quasi) univocamente percepibile, in altri le nuove cognizioni pro­venienti dalle neuroscienze creano situa­zioni ambigue. Ci sono scienziati che cerca­no di dimostrare che la presenza di una va­riante genetica (localizzata nel gene MA­OA) aumenta la propensione alla violenza. Ma allora scatta il dilemma. Il giudice che deve fare? Considerare questa variante ge­netica un’attenuante, dare base scientifica alla frase di Dostoevskij: «Il criminale, nel momento in cui compie il delitto, è sempre un malato»? Oppure all’estremo opposto della scala del diritto «scietifizzato», dove si preferisce la sicurezza dei molti alla tutela deipochi, sidevedeciderechetutteleperso­ne che hanno quella caratteristica devono esseresorvegliateoprivatedeldirittodipor­tare armi? Sono domande difficilissime e che per il momento non sfiorano la mente dei legislatori, spesso in tutt’altro affaccen­dati, però rischiano di diventare sempre più pressanti visto il ritmo del progresso scientifico... Ecco il senso del saggio di An­drea Lavazza (filosofo esperto di neuro­scienze) e Luca Sammicheli (giurista e psi­cologo) intitolato Il delitto del cervello ( Codi­ce edizioni, pagg. 280, euro 15; sarà presen­tatooggi, alle18, allaFeltrinellidiviaManzo­ni a Milano). I due hanno voluto indagare il complesso rapporto tra il diritto della soci­e­tà a difendersi dai criminali e ciò che ci dice la scienza sulla responsabilità del singolo. E i discrimini sono sottili. Come spiega Andrea Lavazza: «La scien­za ci dice che dobbiamo cambiare il nostro modo di intendere il libero arbitrio... Molti dei nostri processi cerebrali sono più auto­matici di quanto siamo soliti immaginare. Le nostre capacita decisionali molto meno razionali di quanto sembrino. Sono fattori in cui allo stato attuale delle nostre cono­scenze il giudice deve decidere ancora caso per caso...non c’è ancora una giurispruden­za ». Però esistono già dei rischi: «Sì, per co­me la vedo io gli scienziati troppo determini­sti rischiano di riproporre teorie di stampo lombrosiano... o comunque di trascurare fattori come quelli ambientali nel delineare la propensione al delinquere». Però entrambi gli autori, da scienziati, pur difendendo l’esistenza di ampi margini di autodeterminazione dell’individuo e ri­fiutando determinismi genetici, pensano che il diritto debba prepararsi a una corsa in avanti: «Se sulla genetica del cervello siamo agli inizi, in altri settori di studio siamo più avanti. Invece ciò che le persone pensano nella loro “psicologia ingenua” su come si determinino nel cervello i concetti di Bene e Male è rimasto legato a concetti vecchi... È inevitabile che il modo di giudicare cambi». Un esempio? Per Maometto a un ladro si ta­gliava la mano. Se qualcuno gli avesse spie­gato l’esistenza della cleptomania magari ci avrebbe pensato su. Pare esistano molte cleptomanie che non siamo ancora abitua­ti a vedere, ma i neuroscienziati iniziano a scorgerle... Forse anche la giustizia dovrà le­varsi la benda e smettere di essere ceca.