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 2012  giugno 29 Venerdì calendario

Roma, un mistero sepolto da mille metri e 69 anni - È uno dei più importanti relitti della Seconda Guerra Mondiale, l’ultima grande nave da guerra che ancora giace nell’oblio degli abissi

Roma, un mistero sepolto da mille metri e 69 anni - È uno dei più importanti relitti della Seconda Guerra Mondiale, l’ultima grande nave da guerra che ancora giace nell’oblio degli abissi. E per alcuni, il Titanic italiano, perché colando a picco il giorno dopo l’Armistizio sotto le bombe volanti tedesche portò con se 1.393 vite. Gli davano la caccia in tanti. Da 69 anni. Per l’ingegnere Guido Gay, industriale e inventore di robot subacquei, il relitto della corazzata Roma, ammiraglia della Regia Marina al comando dell’ammiraglio Carlo Bergamini, era una sfida che durava dal 1979. «La cercavo da allora. E ora l’ho trovata». Ecco la notizia che tanti appassionati, la Marina Militare, i familiari delle vittime attendevano. Per il suo valore storico, affettivo. L’ingegnere ha individuato un pezzo della nave, parte di una torretta antiaerea, con riconoscibili almeno quattro cannoni. «Il ritrovamento è del 17 giugno. L’ingegnere si è messo in contatto con noi, che abbiamo inviato due ufficiali a bordo della sua imbarcazione, i quali hanno certificato la scoperta. È la Roma» conferma la Marina. Era un relitto «most wanted». Si dice che anche Paul Allen, il co-fondatore di Microsoft, lo cercasse. Di certo, era in campo il gruppo guidato da Francesco Scavelli, regista della BluimageProductions, che si avvaleva degli specialisti della Comex di Marsiglia e dei consulenti Enrico Cappelletti e Gianluca Mirto, e che qualche giorno fa aveva annunciato la scoperta alle agenzie, sulla base di una elaborazione magnetometrica. Poi, ieri, l’ingegnere Gay - le cui ricerche sono corse evidentemente in parallelo a quelle degli altri «cacciatori» - ha reso note le immagini. E la caccia, con la certificazione delle stesse da parte della Marina Militare, si è chiusa. Lo raggiungiamo telefonicamente sulla sua imbarcazione. La voce arriva disturbata e ciò dà ancora più gusto alla storia. Azienda a Lomazzo, nel Comasco, l’ingegnere, che ha più di 70 anni, trascorre sei mesi in ufficio e altrettanti a bordo del suo «Dedalus», un catamarano di 21 metri per nove, da lui progettato, a setacciare i mari testando sul campo le sue invenzioni. L’ultima si chiama «Pluto Palla» ed è un prototipo di robot subacqueo che può calarsi fino a 4 mila metri di profondità. «L’ho messo a punto nella ricerca del relitto del Transylvania, il piroscafo per il trasporto truppe della Royal Navy affondato nel 1917 da un U-Boot tedesco davanti a Savona». L’ha trovato nell’ottobre scorso, con i sub dei carabinieri. Gay ha sguinzagliato il robot anche nella caccia alla Roma. «Quando ho iniziato a cercare il relitto della corazzata non avevo le strumentazioni attuali e alla fine avevo dovuto fermarmi. Ho ripreso di recente con le nuove “macchine”». Gay ha solcato per giorni, mesi le acque del Nord della Sardegna. Solitario, con il suo catamarano. E i suoi strumenti. «Ho passato al setaccio il canyon di Castelsardo (il canalone sottomarino che dal centro del Golfo dell’Asinara scende dalla scarpata continentale in direzione nord-ovest, ndr): il sonar aveva catturato alcuni contatti sospetti, ma era necessario verificarli. Il fondale del canalone, infatti, è composto da rocce di basalto, magnetiche, che confondono gli strumenti. Dovevo capire se erano solo rocce o qualcosa di più. Così sono tornato. Con il robot». Il prototipo ha fatto il suo lavoro. E sceso a oltre mille metri. «Ho visto la torretta con i cannoni, il pezzo di ponte affiorare dalla fanghiglia del fondale. Sì, ce l’avevo fatta». La corazzata, colpita a morte, si è spezzata in più parti. «Evidentemente, lo scafo è sotto il fango. Ed altri pezzi sono sparpagliati lungo il fondale» spiega Gay. La Marina Militare considera e difende il relitto in quanto sacrario. Per queste ragioni, l’ingegnere tiene riservate le coordinate del ritrovamento. «Sono felice di aver risolto il mistero storico della Roma. Ora sono pronto a mettere le immagini a disposizione di chi le utilizzerà al meglio». FABIO POZZO *** UN PEZZO DI RESISTENZA DA NON DIMENTICARE - In pochi minuti, meno di mezz’ora, va a picco la Corazzata Roma. Il gioiello della marina militare italiana era in navigazione a nord della Sardegna nel pomeriggio del 9 settembre 1943, il giorno dopo l’annuncio dell’armistizio con gli anglo-americani. Varata alla vigilia dell’ingresso in guerra, il 9 giugno 1940, grazie al lavoro dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico aveva raggiunto in pochi mesi risultati invidiabili. Tra le corazzate che solcavano i mari tempestosi della Seconda guerra mondiale i suoi 32 nodi di velocità rimangono insuperati e la dotazione militare la qualifica sin dalle prime miglia: cannoni di avanguardia progettati dall’Ansaldo e costruiti dalla Odero Terni Orlando. Il dramma dell’8 settembre non risparmia nessuno, una vergogna nazionale che pesa come un macigno: la nazione allo sbando, la famiglia reale in fuga, l’esercito senza ordini e indicazioni, migliaia i soldati abbandonati sui diversi fronti di guerra. Che fare della flotta? Come comportarsi nelle ore cruciali? In un primo momento si ipotizza di dover distruggere le imbarcazioni per impedire che finiscano in mano nemica. Roma è alla fonda nel golfo di La Spezia. Dalla Capitale arriva un’indicazione chiara, probabilmente un’intesa tra governo Badoglio e comandi alleati: salpare rapidamente, direzione La Maddalena, rotta per 218°. E cosi avviene, sotto la guida dell’Ammiraglio Carlo Bergamini, alle prime luci dell’alba del 9 settembre. La navigazione procede per poco, prima di essere modificata da nuovi ordini. L’arcipelago è occupato dai tedeschi, giunti a largo dell’Asinara occorre invertire la rotta repentinamente e puntare verso Sud. È troppo tardi. L’aviazione tedesca decollata da Istrés (Marsiglia) è sopra la flotta italiana, i bombardieri bimotore volano a pochi metri dal livello del mare. La corazzata diventa un facile bersaglio: poco prima delle 16, la Roma viene colpita due volte e ferita a morte. Si ferma, sbanda, prende fuoco, si piega di dieci gradi a dritta. Si spezza in due (46 mila tonnellate di stazza) e si avvia verso il fondo del mare portando con sé l’antico orgoglio. In 20 minuti tutto è finito, il mare si richiude dietro i due tronconi della corazzata. Le cifre sono impietose: dei quasi duemila uomini di equipaggio, i superstiti sono circa seicento. Un pezzo di Resistenza da non dimenticare. UMBERTO GENTILONI