Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 29 Venerdì calendario

La bancarotta di Alessandria - Il Comune di Alessandria è in dissesto. E’ il primo capoluogo di provincia a vederselo dichiarare dalla Corte dei conti, dopo la normativa del settembre scorso che le ha attribuito questa prerogativa

La bancarotta di Alessandria - Il Comune di Alessandria è in dissesto. E’ il primo capoluogo di provincia a vederselo dichiarare dalla Corte dei conti, dopo la normativa del settembre scorso che le ha attribuito questa prerogativa. Un record di cui gli alessandrini avrebbero fatto volentieri a meno, viste le pesanti conseguenze sui portafogli. La pronuncia della Corte è arrivata ieri, dopo mesi di attesa e un’elezione che ha esautorato il principale responsabile di questo crac: l’ormai ex sindaco Pier Carlo Fabbio, all’epoca capo di una giunta Pdl-Lega, oggi capo del Pdl all’opposizione. Nei 37 giorni dal suo insediamento il neo-sindaco Rita Rossa (Pd) ha affrontato una grana dopo l’altra nel tentativo di tenere a bada creditori sempre più inferociti e pagare gli stipendi. E’ andata anche a parlare ai magistrati contabili, assicurando una nuova linea del Comune, più attenta alle richieste di risanamento fatte dalla Corte. Ma sapeva che la frittata ormai era fatta. Il «grave squilibrio dei conti» i giudici l’avevano sottolineato fin dal primo esame del bilancio consuntivo 2010. Gliel’aveva inviato un consigliere del pd, Ezio Brusasco, che come dirigente contabile Asl (ed ex assessore) aveva capito subito che le cifre non tornavano. Molti i dubbi, ma soprattutto saltavano agli occhi le cancellazioni dalle uscite di molte spese in realtà effettuate. Fu tacciato di allarmismo e posizioni preconcette dall’allora assessore alle Finanze, Luciano Vandone, vero deus ex machina dell’operazione. Ma che è successo al Comune di Alessandria? Semplice, da ben prima dell’era Fabbio ormai le entrate non coprivano più le spese. «Devo trovare ogni anno una dozzina di milioni» disse Vandone in una delle prime interviste da assessore. Ma aveva un’idea: vendere (fu soprannominato «Vendone»), anzi valorizzare. «Il patrimonio comunale è ingente, spesso sottovalutato: terreni registrati col valore di poche migliaia di euro in realtà ne fruttano centinaia di migliaia». Di qui la scommessa di creare due società per cartolarizzare i beni: il Comune glieli cedeva a un certo valore, queste si facevano dare subito i soldi dalle banche con un mutuo, poi con calma avrebbero venduto ai privati, guadagnandoci pure. Non è andata così. Le società hanno dovuto svendere e accumulato milioni di debiti. Ma anche altre «creazioni finanziarie» di Vandone (come la cessione del servizio rifiuti ad anticipazione di canone) non hanno avuto fortuna. Nel frattempo il Comune continuava a indebitarsi con privati, enti, banche e l’unica strategia era promettere piani di rientro e poi di fatto non pagare. Un disastro che Fabbio non ha mai ammesso (né paradossalmente ammette ora), nonostante le procedure aperte sia dalla Procura della Corte dei Conti - che chiede per ora a lui, giunta e consiglieri di maggioranza 10,5 milioni di danni erariali - sia dalla Procura della Repubblica: lui e Vandone sono indagati per falso in bilancio, truffa e abuso, mentre per questi reati il ragioniere capo dell’epoca è stato anche arrestato. Che accade ora? Il consiglio comunale ha tempo 20 giorni per dichiarare ufficialmente il dissesto, se non lo fa il Prefetto lo scioglie e nomina un commissario che lo faccia. Insomma, non si scappa. Poi con decreto del Presidente della Repubblica viene nominata una troika di commissari che per prima cosa definirà la «massa passiva» cioè i debiti (secondo le stime della Corte dei Conti siamo già sui 100 milioni), quindi individuerà come pagare: vendite, certo, ma anche risparmi sui prossimi bilanci. La speranza è che alla fine dia una mano anche lo Stato: «In fondo - dicono in Comune ogni anno ripiana debiti fuori bilancio di Roma per centinaia di milioni, potrebbe fare uno sforzo una tantum anche per noi». Pesanti le conseguenze per i cittadini: aumento per 5 anni di tutte le imposte (l’Imu sulla prima casa potrebbe arrivare al 6 per mille) e dei servizi a domanda individuale. Quindi raddoppio delle tariffe dell’acqua, aumenti più contenuti per mense scolastiche e rifiuti, dove comunque gli utenti dovranno coprire l’intero costo. E rincaro notevolissimo dei bus. Il Comune per altro non potrà accendere mutui e fare assunzioni, anzi si prevede una riorganizzazioni degli organici - insomma tagli anche nelle partecipate. Resteranno solo le lacrime.