Gianni Clerici, la Repubblica 28/06/2012, 28 giugno 2012
UNDICI SECONDI SENZA TOCCAR PALLA
Le circostanze per divenire famosi prescindono, a volte dalla volontà del protagonista, Attilio Regolo grazie a una botte, Enrico Toti per una stampella.
Credevamo, sin qui, che Cichi Errani sarebbe rimasta nella storia del nostro gioco per la finale raggiunta al Roland Garros, mentre invece lo diverrà per la più breve continuazione di partita disputata a Wimbledon. Ma andiamo con ordine. Cichi era stata, martedì sera, bloccata sul match point dalle prime gocce di quella che gli indigeni chiamano “shower”, e cioè doccia.
La sua avversaria, Coco Vandeweghe, era stata più rapida ad approfittarne di quanto si fosse sin lì dimostrata, sovrappeso com’è, semimmobile com’è. Rispettando le consuetudini, la continuazione era stata programmata quale secondo match, sempre sul campo n.16 , modesto palcoscenico attribuito, per la prima partita, alla giapponese Kimiko Date Krumm, la più anziana del circuito, con i suoi 42 anni, opposta alla Cibulkova. Avevo seguito il punteggio per raggiungere la tribunetta in anticipo, vedendo al contempo alla tv il giovane Fognini impegnato in un palleggio agonistico con S.M. Federer sul Centre Court. E, quando mi era parso chiaro che la povera giapponese spirasse, avevo allertato i miei vicini di banco, l’americano Mark Winters, e il bergamasco Lorenzo Amuso, per recarci insieme sul n.16. Lì giunti eravamo stati gentilmente travolti da una piccola marea giapponese che abbandonava il campo delusa , e ci eravamo assisi tra i pochissimi spettatori, per lo più ignari del rischio di uno spettacolo limitato, almeno nel tempo. Erano in quella giunti il mediomassimo Coco e il peso gallo – anzi gallinella – Errani.
Le due avversarie si erano amabilmente riscaldate per i cinque minuti regolamentari, l’arbitro Tedd Watts aveva poi annunciato il punteggio (6-1 5-3 vantaggio Errani) e Coco si era allontanata dalla rete, prendendo posizione dalla parte del campo adiacente la costruzione del Centrale. Batte la palla a terra con la sinistra, la bestiolona, la rilancia in aria, e la colpisce: in rete. Volge gli occhi al cielo grigio e forse ai suoi dei, ribatte sei volte, rilancia e di nuovo colpisce: in rete! In quella Lorenzo, certo meno ritardato dello Scriba, domanda a Mark: “How long did it take?”, quanto tempo c’è voluto, e l’americano, controllando il cronometro “Eleven”. Undici secondi.
Mentre giungevano alcuni ritardatari, mi veniva un’idea. Il campo 16 si trova a cento metri dal Museo, dove ho libero accesso grazie ad alcuni mie operette. Lì mi affrettavo, per incontrare, sommerso di libri, Alan Little, il bibliotecario, e per informarlo della partita terminata in undici secondi. Era un record assoluto? O, nei 146 anni di Wimbledon, qualcosa di simile si era già verificato?
Ho visto Alan, che tante volte ha trovato precedenti incredibili, a disagio. Ha tolto dagli scaffali un libro, l’ha consultato, ha scosso la testa, ne ha tolto un altro. Infine: “Sei a casa quest’estate?” mi ha domandato. E, alla mia risposta affermativa, ha concluso “Se vengo dalle tue parti, te lo faccio sapere”. Rimangono pochi dubbi che Sara Errani non abbia concluso la più rapida continuazione di un match di Wimbledon. E senza nemmeno sfiorare la palla.