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 2012  giugno 28 Giovedì calendario

SÌ AL TAGLIO AGLI ONOREVOLI MA NON SARÀ MAI LEGGE


Alla fine il numero dei parlamentari non sarà ridotto. E pure il bicameralismo imperfetto, il rafforzamento del ruolo del premier, il senato federale resteranno sulla carta dei propositi. A dispetto del via libera di ieri del senato, la riforma costituzionale non ha nessuna chance di venire fuori dalle secche parlamentari prima della nuova legislatura, che si vada o meno a elezioni anticipate.
Perché con la modifica apportata ieri in aula, e votata solo da Pdl e Lega, modifica che ha introdotto il senato federale tanto caro al Carroccio, il provvedimento deve tornare in commissione a Palazzo Madama. Ci saranno poi altri tre passaggi parlamentari e tre mesi di stop dopo il primo sì della camera. Ma soprattutto, non essendoci più la maggioranza Abc, non ci sono i due terzi dei voti a favore e dunque è facile che si vada a referendum. Insomma, la riforma è su un binario morto. Un brutto segnale per il governo Monti, che ha visto per la prima volta spaccarsi la maggioranza Pd-Pdl-Udc, sotto le evidenti pressioni degli ex colonnelli che hanno cavalcato l’offerta della Lega di uno scambio: senato federale contro semipresidenzialismo. Uno scambio che potrà produrre effetti sul fronte delle rispettive campagne elettorali e basta. «Vogliono far saltare il banco», dirà Pierluigi Bersani, segretario Pd. «Le riforme così sono finite», dirà la capogruppo democrat, Anna Finocchiaro. Dopo alcuni momenti di tensione in aula, presieduta da Renato Schifani, il via libera al senato federale è arrivato con 153 sì, quelli di Pdl, Lega e Coesione nazionale, 136 no (Pd e terzo polo) e 5 astenuti. Subito dopo il voto sull’articolo 2, si è dimesso Carlo Vizzini, relatore del provvedimento e presidente della prima commissione, che spiega: «Il mio mandato era su un testo diverso e con una maggioranza diversa, questo voto è il certificato di morte delle firome». Il provvedimento torna in commissione, dove potrà essere licenziato non prima di una settimana per tornare in aula. Dove però ci sono anche decreti legge in scadenza che vanno approvati. Il senato federale come delineato ieri conta 250 senatori (contro i 315 di oggi più quelli a vita) ai quali però si devono sommare 21 rappresentanti regionali: i senatori complessivamente scendono quindi a 271 (invece che 311 come nella precedente formulazione che era stata bocciata ieri in prima commissione), non ci sono quelli eletti all’estero. I rappresentanti regionali, viene specificato, «non sono membri del parlamento e non ricevono la relativa indennità», ad essi si applica solo l’immunità per le dichiarazioni rese nell’esercizio del loro mandato. «Ma non è chiaro, votano o meno per la fiducia al governo?», chiede provocatoriamente Giuseppe Valditara, Fli-Terzo polo, «perché se votano è fuori dal sistema costituzionale, perché non sono stati eletti dal popolo al senato, e se non votano vuol dire che non contano nulla. Come la si mette, è un pastrocchio».