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 2012  giugno 28 Giovedì calendario

SUU KYI «SFRATTATA» DAL FRATELLO E GLI EROI (MANDELA COMPRESO) SI RITROVANO IL NEMICO IN CASA


È una storia avvilente. È una bega più che imbarazzante. È una lite familiare con risvolti surreali; fa pensare all’ultimo show di Corrado Guzzanti; quando Dio Padre spiega al figlio Aniene che suo fratello è un infamone, «s’è fregato pure lo scettro de pora nonna». Qui non ci si contendono scettri ma case, il che nelle famiglie è più frequente. Solo che la casa è un simbolo della lotta per la libertà dalla dittatura; e che la danneggiata non è una «pora nonna» ma un premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, che nella villa di University Avenue ha passato 15 anni agli arresti domiciliari. Anche qui c’è un fratello controverso, Aung San Oo, e ha vinto una causa sulla casa. Il tribunale di Rangoon gli ha riconosciuto la proprietà del 50%; l’avvocato della sorella ha annunciato che farà ricorso, ma lei rischia lo sfratto. La causa era partita 12 anni fa, il fratello vive in California; e non è mai andato a trovare Suu Kyi durante la detenzione, nonostante tornasse spesso in Birmania. Dove si dice che Oo sia influenzato dalla giunta militare; e che la causa vinta sia una rappresaglia contro la signora a capo dell’opposizione. Anche perché, secondo la legge birmana, un residente all’estero non può possedere né vendere immobili nel Paese. Intanto, si comincia a capire quanto disfunzionale sia la famiglia della delicata e irriducibile leader asiatica.
Il fratello filogovernativo vuole la casa che era della madre (una pora nonna, in questi casi, c’è sempre). I due figli trentenni, nati a Oxford, sono cresciuti con il marito inglese Michael Aris (morto nel 1999), lontani dalla madre prigioniera che rifiutava di piegarsi al regime per tornare a casa; e il maggiore, Alexander, non l’ha accompagnata a Oslo per ricevere finalmente di persona il Nobel, e non si è visto a Oxford alla cerimonia per la sua laurea ad honorem. Al netto del fratello chiaramente pessimo, sono gesti che mostrano quanto i comportamenti eroici possano segnare coniugi e figli.
C’è il tuttora privato dramma materno di Suu Kyi. E ci sono altri casi molto pubblici, come quello della famiglia Mandela. Dell’ex moglie Winnie, soprattutto. Per anni venerata come sposa e attivista, nei guai dalla fine degli anni Ottanta, quando il marito Nelson era ancora in carcere. Accusata (e condannata, con la pena detentiva commutata in multa) come mandante di due omicidi. Entrata nel governo sudafricano nel 1994, quando Mandela, già separato da lei, era presidente, poi allontanata per corruzione. Un caso-limite, con risonanza globale: le saghe familiari della gente famosa interessano il pubblico, i dettagli luridi ancora di più. Come i pettegolezzi a margine delle storie edificanti, le spigolature su eroi egolatrici, martiri narcisi, santi cattivissimi. Ora è il turno della grande resistente birmana; per lei si spera in una riconciliazione col figlio, ancor più che in un ricorso accolto per la casa (pare ci vorrà un po’, la giustizia civile è lenta, in Birmania come altrove).