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 2012  giugno 28 Giovedì calendario

California, in bancarotta la città della corsa all’oro - Da porta per i sogni di ricchezza dei cercatori d’oro, a «città più miserabile d’America»

California, in bancarotta la città della corsa all’oro - Da porta per i sogni di ricchezza dei cercatori d’oro, a «città più miserabile d’America». La parabola di Stockton, California, si è compiuta martedì notte, quando un consiglio comunale triste e stranamente pacato ha dovuto prendere atto della realtà: bancarotta. L’ amministrazione è fallita e porterà i libri in tribunale, cercando protezione dai creditori. Con quasi 300.000 abitanti, è la più grande città americana che cade sotto i colpi della crisi economica. Non la prima a fallire, e probabilmente non l’ultima. Ma la più pesante, finora. Era cominciata sotto un’altra stella, la storia di questo villaggio, benedetto dalla natura e dalla geografia. Infatti nel 1848, quando la corsa all’oro stava trasformando la California centrale nella nuova terra promessa, il capitano tedesco Charles Maria Weber aveva scelto questo luogo abitato dagli indiani Miwok come sua base. E si capisce, perché aveva tutte le fortune del mondo: stava al centro dello Stato, facile da raggiungere via terra in qualunque direzione, ma era collegato anche al mare, attraverso un sistema di canali e corsi d’acqua che arrivava fino alla Baia di San Francisco. Un approdo perfetto per far arrivare i cercatori d’oro e le loro forniture, e aiutarli a ripartire quando erano diventati ricchi. Weber decise di chiamare questo posto Stockton, in onore di un commodoro che aveva guidato la conquista della California, facendone la prima città dello Stato che non aveva un nome ispanico o indiano. Poi capì che il business di vendere attrezzi, forniture e servizi ai cercatori era la vera miniera d’oro, e così aprì la porta per la prosperità sua e di Stockton. È vero, come dicono gli americani, che tutte le cose belle hanno una fine, ma quando la febbre del metallo giallo era passata, la cittadina in mezzo alla California aveva trovato in fretta la strada per riciclarsi. Con quella posizione, infatti, era il porto ideale per il trasporto dei prodotti agricoli della regione, una risorsa inesauribile. Nel frattempo Stockton si era pure gemellata con Parma, perché in fondo mangiavano lo stesso pane. Quando all’inizio del nostro secolo anche questo filone sembrava destinato ad esaurirsi, o non garantiva più la stessa prosperità, la città del capitano Weber ha cercato di resuscitare per la terza volta. La posizione geografica la aiutava sempre come centro di trasporto per i prodotti agricoli, ma ci si poteva aggiungere anche l’industria manifatturiera e quella dei computer, nella vicina Silicon Valley. Oppure si poteva puntare ad attirare i residenti della Baia che volevano allontanarsi dalle città più popolate, o il circuito dei congressi. Così le autorità locali avevano lanciato il loro boom edilizio, ricostruendo la marina, alzando alberghi, piantando le fondamenta di ambiziosi centri residenziali. Qualcuno adesso dice che è stata follia, altri invece sospettano la corruzione. Fatto sta che è scoppiata la crisi dei mutui subprime, tutto era stato costruito o comprato a credito, e Stockton è diventata l’epicentro del terremoto: seconda nella classifica delle aree urbane americane con più «foreclosure», cioè proprietà pignorate, e seconda in quella del tasso di criminalità. Sventure che hanno spinto la rivista Forbes ad appiopparle il poco onorevole titolo di «Città più miserabile degli Stati Uniti». Per mesi le autorità comunali hanno cercato di evitare il collasso, e ripianare i debiti appellandosi all’apposita legge AB 506, che richiede una mediazione con i creditori prima di dichiarare il fallimento. Il city manager Bob Deis ha fatto tagli dolorosi per 90 milioni di dollari, riducendo di un quarto le forze di polizia, di un terzo i pompieri, licenziando dipendenti comunali, tagliando gli stipendi, l’assistenza sanitaria e le pensioni. Tutto è stato inutile, però. Solo il crimine ha continuato a crescere, visto che in strada c’era più gente povera e meno poliziotti. Martedì sera la realtà è franata sugli abitanti di Stockton, che ormai non hanno più nemmeno la forza di litigare sulle cause del disastro. Hanno accettato il fallimento, discutendo solo il modo di salvare i più deboli: «Sono nato e cresciuto qui - ha detto l’ex capo dei pompieri Gary Gillis - e posso pagarmi da solo l’assicurazione. Ma come se la caverà la mia ex segretaria, che ha il cancro?». Destino amaro e paradossale, per chiudere la parabola di una città che era nata con il miraggio di trovare l’oro.