Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 25 Lunedì calendario

Lei, lui e l’«Altro» (cioè Anders) Il triangolo scaleno dell’amore - Il destino beffardo di Günther Anders

Lei, lui e l’«Altro» (cioè Anders) Il triangolo scaleno dell’amore - Il destino beffardo di Günther Anders. Fu uno dei più acuti filosofi del Novecento, com­prese come pochi la perdita dell’uomo nella partita con la tecni­ca, disegnò un lucido cammino di postumanesimo disincantato. Ma fu schiacciato dall’amore,anzi dal­l’abbraccio mortale dell’amore con la filosofia. Di solito, quando si parla del Novecento filosofico, si parla di lui come dell’altro, e d’al­tronde il suo stesso nome d’arte scelto, Anders, vuol dire proprio «l’Altro»,perché in realtà si chiama­va Stern, Günther Stern (1902-92). Ma lui appare come l’ombra di Han­nah Arendt e di Martin Heidegger e il suo ruolo evoca una celebre can­zone di Aznavour. Dell’amore tra Hannah e Martin, da anni si scrivono libri e si pubblica­no carteggi. Eppure Anders fu colui che Hannah Arendt sposò, ebrei ambedue, per superare la relazio­ne proibita d’amore con Heideg­ger. Ma atroce come sanno essere le persone troppo amate, Hannah Arendt scrisse proprio alla moglie di Heidegger: «Mi sono sposata giu­sto per sposarmi, con un uomo che non amavo», perché alla fine è me­glio «vivere solitaria insieme a un al­tro, che la ama». Un altro, Anders. Terribile frase di una donna inna­morata di Heidegger, che a sua vol­ta si era libera­to di lei per non far sal­tare l’architettura rassicurante del­la sua vita, la serenità del filosofo do­mestico, sposato con figli. In fondo Heidegger era un uomo di provin­cia, un contadino all’antica, pasto­re dell’Essere, trasgressivo nel pen­siero, rivoluzionario nel linguaggio quanto conservatore nella vita. Il triangolo è così composto: Günther ama Hannah, Hannah ama Martin e riversa su Günther le sofferenze e le crudeltà che ha ricevuto da Mar­tin. Di queste asimmetrie si nutre l’amore e delle stesse asimmetrie poi muore: anche in filosofia si com­pone il triangolo scaleno dell’amo­re. Con un’aggravante:il filosofo An­ders è schiacciato anche dalle ope­re e dalla personalità della Arendt e di Heidegger, di cui anch’egli è sta­to allievo stravagante, condannato al destino di minore dall’ingom­brante presenza dei due. E alla fine si arrende alla separazione della Arendt che si sposa con un altro, uscendo dal ménage filosofico. E Anders poi li aiuterà, anche econo­micamente. In principio fu il ballo, che la Aren­dt amava molto. Anders dichiara il suo amore a Hannah durante un ballo,le dice che l’amore è quando un«a posteriori»diventa un«aprio­ri » della propria vita»; lei è colpita dall’acutezza della riflessione ma non dall’amore, che non ricambia. Lui amaramente commenterà da vecchio: «Questa bella formula non ha trovato conferma».E tuttavia An­ders, sopravvissuto ad Hannah e Martin che muoiono tra la fine del 1975eil1976, edecedutopoinovan­tenne giusto vent’anni fa, nel 1992, racconta con tenerezza indicibile il suo amore per lei intrecciato alla fi­losofia. È appena uscito un denso li­bretto, La battaglia delle ciliegie (Donzelli) sulla sua storia d’amore con la Arendt.L’immagine del loro amore, che dà il titolo al libro, è in­centrata sulle ciliegie. Lei venti­duenne, lui di poco più grande che discutono di filosofia in una sala da ballo davanti a un cesto di ciliegie per farne marmellata: e i pensieri si confondevano con le ciliegie, a vol­te gustosi a volte indigesti, quando ingoiavano nella foga del pensiero e della gola anche il nocciolo di en­trambi i frutti. A volte lei si leccava «le dita grondanti di succo». Lei era «profonda,sfrontata,gioiosa,avida di dominio, malinconica». La foto che accompagna il volume conden­sa il loro rapporto asimmetrico: lui guarda ispirato un altrove d’amore e pensiero, cingendola con un brac­cio, lei fissa l’obbiettivo,come se lui non ci fosse. Solo un altro; Anders, appunto. Quanto ha pesato sul pensiero di Anders quell’amore unilaterale e fe­rito? Quanto ha pesato l’amarezza diquell’esperienzanellasuaconce­zione dell’irrilevanza dell’uomo, schiacciato dalla tecnica e ridotto a strumento della sua espansione ­l’uomo divenuto antiquato, come recita la sua opera principale ( L’uo­moèantiquato , Bollati Boringhieri) -nell’epoca in cui cresce«il dislivel­lo prometeico» ovvero lo scarto tra la tecnica che domina e la cultura che non riesce più a padroneggiar­la? Quantohacontatoilrisentimen­to verso Heidegger nella sua visio­ne dell’uomo isolato dal cosmo, co­struito artificialmente, estraneo al mondo, monade, anzi animale chiuso nel suo guscio,l’opposto del­l’heideggeriano pastore dell’Esse­re, situato nel mondo? E quanta acredine contro Heidegger c’è nel­la sua critica ai «palloni gonfiati me­tafisici »,aifilosofimalatidi«egocen­trismo vanesio »? E la Arendt descri­ve a sua volta Anders come un «ego­maniaco malato», frustrato nella sua mania di grandezza. Eppure Anders ha scritto pagine mirabili sul destino dell’uomo nel­l’era della tecnica, sulla bomba ato­mica, sul nazismo e anche una sor­prendente lettura di Kafka, «com­preso a morte» (in Italia è Kafka. Pro e contro , Gabriele Corbo edito­re). Dovel’uomorisultaprigioniero della sua libertà, «non chiuso den­tro ma chiuso fuori ». Anders rielabora il lutto del suo amore per la Arendt anche in una se­rie di appunti newyorkesi sulla sto­ria della sensibilità (usciti in Italia col titolo Amare, ieri , Bollati Borin­ghieri). Qui si legge anche una stron­catura del matrimonio («Alcuni si sposarono nonostante l’amore»), ritenuto «lo stato antifilosofico per eccellenza»; anzi innamorarsi è «una vergogna» per il filosofo, che non può nemmeno consolarsi con gli eredi: «perché a un figlio è indiffe­rente essere nato da un bottegaio o daunfilosofo. Ciòcheereditadalpa­dre è il suo volto sfuggente o i suoi piedi piatti, non la sua melanconia metafisica» che non è «una malat­tia ereditaria ». Pensieri scritti aven­do davanti alla mente e al cuore gli occhi verdi di Hannah e «quello sguardo stupefatto da ghetto». Da parte sua l’ultima Arendt scrive ai coniugi Jaspers che «la propria mor­te è di solito preparata dalla morte di coloro che ci appartengono, co­me se il mondo si spegnesse lenta­mente, per lo meno il pezzetto di mondo che si può definire il pro­prio ». Presagio perfetto: infatti, la morte di Heidegger fu preceduta di poco dalla morte di Hannah. Cioè di colei che gli apparteneva. I circoli viziosi della filosofia investono la vi­ta, annunciano la morte.