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 2012  giugno 25 Lunedì calendario

Luisa, l’«Insegnante d’Italia» che tutti vorremmo avere - «Sarò il vento» recita una sua poesia

Luisa, l’«Insegnante d’Italia» che tutti vorremmo avere - «Sarò il vento» recita una sua poesia. Come il ven­to, passare attraverso fo­glie, attraversare terre e acque, e ovunque «lasciare il segno: la pa­rola “insegnare” significa proprio questo». Luisa Gorlani è l’Inse­gnante d’Italia. Un premio ricevu­to in questi giorni, a Roma, dalla giuria del Premio Eudonna. Luisa è nata a Legnago, in provincia di Verona, ma è cresciuta a Brescia e ha cambiato città diciotto volte: il destino di suo marito, ammira­glio della Marina Italiana. Oggi ha capelli sulle spalle color argento e un bel paio d’occhi chiari. Spiega la sua vita, che come una matrio­ska sembra serrarne cento: croce­rossina, psicologa, saggista e drammaturga. Ma soprattutto, in­segnante di lettere antiche e tera­peuta della poesia, che quasi de­scrive come la forma più operati­va e universale della speranza. Padre filosofo che però, per mantenere i quattro figli, faceva il segretario comunale, fin da bam­bina Luisa ha nutrito il sentimen­to del sacrificio e della scoperta. Si­mile alla più tenace Anna dei mira­coli , ha avuto allievi da Nord a Sud. Percorrendo tragitti trafelati col pancione e la sua Cinquecen­to, sempre pronta a impacchetta­re tutto e conoscere chissà chi. Guarendo con la creatività del ver­so («la poesia delle paure, la poe­sia del segreto… ») balbuzie refrat­tarie ai maggiori specialisti euro­pei, traumi sepolti in episodi for­tuiti della prima infanzia, ambien­ti­destinati al degrado sociale e cul­turale. Tirando su generazioni di piccoli uomini dei quali ricorda, uno per uno, i nomi di battesimo. Già sotto i platani della sua adole­scenza, quando sgambettava da un sasso all’altro tra i fiumi, le sue giornate si affollavano dei personaggi di Dostoe­vskij e Tolstoj, con­segnando la solitu­dine a un mon­do di letteratu­ra che sarebbe stato il suo desti­no. «La lettera­tura è il luogo del­le risposte» dice. Suo marito lo ha conosciuto in Sicilia. «Mi sentì parlare con una bambina e dirle che non sapevo nuotare- racconta- . Allora non sa­pevo che fosse un sommergibili­sta. Aveva spalle larghe come quel­le di Atlante, capaci di sorreggere il mondo».Un giorno vivevano en­trambi a Taranto e lui era via da un mese, sparito nel mare a bordo di un sommergibile: Luisa non sape­va più neppure se fosse vivo, fin­ché una telefonata, a scuola, non le diede la notizia del suo ritorno. Doveva correre a vederlo, almeno per un istante. Ma quei ragazzi avevano un’indole ribelle, le rea­zioni più scomposte che avesse mai visto, un rigetto incondiziona­to e violento delle regole: persino i vetri delle macchine, fuori dalle scuole, spesso li si trovava in fran­tumi. Eppure la sua classe. quel giorno, le regalò un’abbraccio. I ragazzi restarono ad aspettarla nella quiete che solo lei aveva sa­puto impartire a tutti, a forza eser­cizi, ostinati e costanti come un pendolo, puntati alla loro creativi­tà e alla capacità di affidarsi. A Cesano invece (35 chilometri da Roma), ha insegnato agli stu­denti i tesori della loro stessa ter­ra. Si vide circondata da meravi­glie archeologiche, stornelli di nonne ormai estinti, cacciatori di nome Omero, luoghi e persone che, senza saperlo, detenevano re­perti preziosi scolpiti nell’archi­tettura e nelle nenie. Con quei ra­gazzi, Luisa Gorlani ha scritto un li­bro di archeologia. E per commentare la frase di Paul Nizan (traccia dei recenti esa­mi di maturità), su quanto sia diffi­cile avere vent’anni, sostiene che la più grande paura di oggi è quel­la di sempre: l’ignoto. «Ma in Val Camonica conoscevo una vec­chietta che si sedeva fuori dalla porta “ad ascoltare il sole”. Inse­gnava a sua figlia che chiunque può precipitare in un burrone ma, allo stesso modo, risalire. E deve farlo da solo». Luisa Gorlani cono­sce come le sue tasche il nichili­smo di Sartre, la Noia di Moravia, ma a queste risponde con la «logi­ca del fare », la parte preziosa e co­struttiva delle nostre fragilità. E, come dice una sua poesia, «al dia­volo il male del vivere».