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 2012  giugno 25 Lunedì calendario

Che bluff lo Sviluppo: 80 miliardi di promesse senza un euro in cassa - Il governo Berlusconi cadde lo scorso novembre sull’impossibili­tà (causa Tremonti) di mettere a punto un organico decreto svilup­po, già allora considerato fonda­mentale per l’economia italiana in tempo di crisi e di spread impazzi­ti

Che bluff lo Sviluppo: 80 miliardi di promesse senza un euro in cassa - Il governo Berlusconi cadde lo scorso novembre sull’impossibili­tà (causa Tremonti) di mettere a punto un organico decreto svilup­po, già allora considerato fonda­mentale per l’economia italiana in tempo di crisi e di spread impazzi­ti. Otto mesi dopo, con il governo dei tecnici, si ripresenta la stessa si­tuazione con gli stessi spread, ma con una maggiore comprensione delle cause della crisi (l’impotenza europea). Oggi, ci sta provando il super mi­nistro Passera. E questa volta non c’è nessuno né all’economia né al­le finanze che gioca contro e il­presi­dente della Repubblica è prontissi­mo a dare il via libera, purché gli ar­rivi un testo (evidentemente se­gno dei tempi). E i giornali tutti a ti­fare sviluppo, magari prendendo lucciole per 80 miliardi di lanter­ne. Tutto bene, dunque. Non pro­prio. Anche questa volta soldi non ce ne sono, e il recente e tanto atte­so provvedimento del governo sul­lo sviluppo «Misure urgenti per la crescita del Paese»,appare,a legge­re le anticipazioni di stampa, più come una bolla mediatica che al­tro. In primo luogo sorprende co­me, a una settimana di distanza dalla sua approvazione in Consi­glio dei ministri, del decreto non ci siano altro che indiscrezioni e voci di corridoio. Una ridda di parole dette e contraddette che non aiuta­no a capire ma che, al contrario, danno il senso di una visione con­fusa su cosa sia urgente e su come sia necessario intervenire. In se­condo luogo è oramai evidente un sostanziale problema di architettu­ra dell’intervento. Come ci inse­gna la saggezza dei vecchi a dare troppi significati alle cose si finisce per non darne nessuno. E questo decreto sembra scritto da troppe mani (molte delle quali incompe­tenti...) e sembra contenere tante (anche in questo caso troppe?) di­sposizioni tra loro non organiche e non rispondenti a un vero disegno di sviluppo. L’odore di lobbies è molto forte, delle cattive burocra­zie, delle rese dei conti. Non si trat­ta di valutare solo i singoli passaggi ma l’impianto nel suo complesso e le motivazioni che ne sono alla ba­se. Infine,c’è un problema di meto­do. Un decreto legge ha validità provvisoria, limitata a 60 giorni. Se il Parlamento, in questo lasso di tempo, non riesce ad approvare la legge di conversione, il decreto leg­ge perde la sua efficacia con effetto retroattivo. Il decreto è dunque uno strumento potente ma delica­to che, per poter scavalcare la titola­rità legislativa esclusiva del Parla­mento, impone siano rispettati i necessari presupposti di necessità e urgenza dell’intervento. Ora, nel decretosiindividuanochiaramen­te alcune misure strutturali. Molte di esse sono indubbiamente neces­sarie. Resta però tutta da dimostra­re un’urgenza tale da giustificare l’immediata decretazione gover­nativa: dalle misure per la giustizia civile alla semplificazione della go­vernance di Unioncamere, dalle di­sposizioni in materia di idrocarbu­ri alla revisione della legge falli­mentare, dall’Agenzia per l’Italia digitale alle iniziative volte a favori­re l’occupazione giovanile nel set­tore della green economy . Nei 61 articoli e nelle quasi 200 pagine dello schema in circolazio­ne è senz’altro ravvis­abile il tentati­vo di dare risposta a molte delle cri­ticità del Paese ma, contestual­mente, restano forti dubbi sulle modalità prescelte per dare solu­zione a questi problemi. L’articolo 19, ad esempio, istituisce l’Agen­zia per l’Italia digitale, alla quale sa­rà affidato il compito di dare unita­rietà all’attuazione agli interventi che dovrebbero essere oggetto del quadro di azione in materia di in­novazione digitale. Come essere in disaccordo su un intervento che vuole dare unitarietà a una politi­ca, quella dell’innovazione, che a causa della sua trasversalità e della conseguente frammentazione del­le competenze spesso stenta a tro­vare percorsi efficaci di attuazio­ne? Ma, come spesso accade, an­che questa volta, il diavolo sta nei dettagli. Infatti, se da un lato al­l’Agenzia saranno assegnate le competenze relative alla regolazio­ne, al coordinamento e alla diffu­sione delle iniziative in materia di e-government , dall’altro non c’è traccia nel decreto del trasferimen­to al nuovo soggetto delle compe­tenze necessarie per attuare l’Agenda digitale:reti di telecomu­nicazioneeriduzionedel digital di­vide tecnologico, digitalizzazione del sistema formativo ed e-com­merce . Tolto il ricco boccone delle gare Spc,affidato-guarda caso-al­la gestione di Consip, in pratica il nuovo soggetto erediterà solamen­te le competenze che, fino a oggi, erano esercitate dalle strutture che dipendevano dal ministro del­l’Innovazione: il Dipartimento per la digitalizzazione della Pa e l’inno­vazione, DigitPa e l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’in­novazione. Con l’ulteriore aggra­vante che, nel caso in cui il Parla­mento non converta il decreto in legge entro 60 giorni, come detto, la decadenza retroattiva degli effet­ti­del decreto inevitabilmente con­fliggerà con quanto già avvenuto proprio in quei 60 giorni. A fronte di ciò, quello che cam­bia veramente è il modo in cui è or­ganizzata la struttura di responsa­bilità­che savraintenderà all’opera­tività del nuovo soggetto. Infatti, se per un verso l’Agenzia nascerà con­traddistinta da un profilo tecnico che porta ad accentrare tutti i pote­ri d­i gestione in capo al direttore ge­nerale, la struttura di potere che so­vraintende alla sua azione sarà molto articolata. Saranno ben tre i Ministri da cui l’Agenzia dovrebbe dipendere (e forse se ne aggiunge­rà un quarto...): quello con le dele­ghe per l’Innovazione, quello del­lo sviluppo economico e quello del­l’istruzione, università e ricerca. Così, mentre non è vero che con l’Agenzia si istituirà un luogo unita­rio di attuazione delle policy in ma­teria di Agenda digitale (il sistema delle competenze che non riguar­da l’ e­government resterà infatti immutato), l’unica cosa di rilievo che produrrà il provvedimento sa­rà l’annullamento, di fatto, dei po­teri (peraltro già limitati) di quello che era l’unico ministro competen­te per l’innovazione, i cui poteri ver­ranno frammentati e assegnati a più decisori. Insomma, altro che ra­zionalizzazione: la nuova Agenzia nasce come un arlecchino inesora­bilmente servo di troppi padroni. Un altro articolo interessante è il 24, che prevede un contributo sot­to forma di credito di imposta per le nuove assunzioni di profilo alta­mente qualificato (dottori di ricer­ca e laureati in discipline tecniche e scientifiche) con un limite di 200mila euro annui per impresa. Immaginando che la media del contributo sia di 100mila euro per impresa i 50 milioni di euro stanzia­ti per il 2013 vedrebbero coinvolte solo 500 imprese. E per le altre? Che ne sarà di oltre 4 milioni di im­prese escluse- di fatto- dal provve­dimento? Basterà un intervento su 500 imprese per rilanciare l’intero sistema produttivo italiano? In ogni modo si precisa che il Ministe­ro per lo sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’eco­nomia e delle fina­nze per la gestio­ne di questa misura potrà avvalersi di società in house o di enti in pos­sesso dei necessari requisiti tecni­ci. Altra lotta di potere? Tra i più innovativi elementi del decreto vorrei ricordare il 58 nel quale viene istituito un fondo per il finanziamento dei programmi na­zionali di distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti nel territorio della Repubblica. Certo, è doveroso donare del cibo a chi ha fame ma ci è stato anche in­segnato che la carità deve essere un fatto privato. Organizzare e pro­muovere la c­rescita della donazio­ne di cibo da parte di organizzazio­ni caritatevoli è operazione sana e giusta ma il Fondo cosa c’entra?In che misura si tratta di un provvedi­mento urgente per la crescita? E perché non un fondo per la dona­zione di vestiti, o in favore di terre­motati, o dei senza casa,o per l’assi­stenza ai ammalati cronici o ai disa­bili? Risparmio ai lettori, per il mo­mento, un’analisi puntuale del de­creto, anche perché ci sarà modo di farla più avanti. Quanto detto mi sembra sufficientemente significa­tivo. Un consiglio, credetemi. For­se è giunto il momento di porsi qualche domanda sull’azione del governo e sull’impianto comples­sivo offerto alla crescita del Paese. Come hanno detto i «sovversivi» commentatori del Wall Street Jour­nal solo pochi giorni fa, il Decreto Sviluppo sembra voler prosciuga­re il lago di Como utilizzando un mestolo e qualche cannuccia. Un’ultima considerazione, non è che i decreti sviluppo portino ma­le ai governi in questa triste con­giuntura economica e politica? Il governo Monti rifletta seriamente: può forzare la propria maggioran­za, può violentare il Parlamento con inutili voti di fiducia, può in­gannare l’opinione pubblica, ma la realtà si vendica sempre. L’eco­nomia italiana non ne può più di tante e inutili tasse, di tante inutili promesse e di tanti impegni man­cati. La misura è colma.