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 2012  giugno 25 Lunedì calendario

Quei depistaggi anti Berlusconi su uno scandalo targato sinistra - Il Cavaliere, i boss, la trattativa con Cosa nostra

Quei depistaggi anti Berlusconi su uno scandalo targato sinistra - Il Cavaliere, i boss, la trattativa con Cosa nostra. Una ossessione. Più indagavano sulla mediazione con la mafia ai tempi di Berlusconi e più l’evidenza dei fatti, giorno dopo gior­no, li costringeva a fare i conti coi silen­zi, le omissioni o le bugie di personaggi di centrosinistra. Più dicevano che c’era la vecchia mafia nella cassaforte dell’uomo di Arcore, e più erano co­stretti a rimangiarsi le conclusioni smontate da consulenze contabili. Più sfornavano pentiti anti Cav e più si scontravano con l’inesistenza dei ri­scontri e i disastrosi confronti in aula (vedi il processo Dell’Utri con Spatuz­za). A un certo punto, disperati, si sono affidati all’oracolo Massimo Ciancimi­no, figlio del mafioso don Vito, che do­po aver tenuto fuori Silvio dai suoi ra­gion­amenti cambiò versione in un cre­scendo di taroccamenti e copia e incol­la giudiziari in qualche modo collegati all’esistenza –si fa per dire-di pupari e agenti segreti dai volti sfregiati e dai no­mi vari, Carlo o Franco. Anche qui è fi­nita come doveva finire. Male. Il super­testimone in cella per calunnia all’ex capo della polizia De Gennaro e la sua attendibilità fatta a pezzi da altri pm (Caltanissetta) in disaccordo totale coi colleghi di Palermo che considera­vano Massimuccio nostro «un’icona antimafia». Senza ripercorrere le «bu­fale » seriali del ragazzo che sotto inter­cettazione giurava di essere in grado di sapere tutto sulle inchieste avendo ac­cesso alla banca dati della procura di Palermo, va detto che si è arrivati persi­no a perquisire il giornalista-senatore Lino Jannuzzi pur di dare un senso a quell’unica linea (spezzata) di conti­nuità che collega più precedenti «trat­tative », tutte incompatibili con la disce­sa in campo del Cavaliere nel 1994. Una prima mediazione sarebbe av­venuta all’indomani della morte di Li­ma (marzo ’92), la seconda a cavallo tra le stragi di Falcone e Borsellino con improbabile protagonista Mori e i suoi carabinieri del Ros (maggio ’92),la ter­za con i governi Amato e Ciampi che ammorbidirono il 41 bis (nel 1993), la quarta è difine novembre ’93 stando a quel che rivela il pentito Spatuzza che dal boss Giuseppe Graviano disse d’aver appreso che il Paese era stato consegnato nelle mani di Cosa nostra da Dell’Utri e Berlusconi (rivelazioni non confermate da Graviano e nel suo complesso definite dalla corte di appel­lo del processo Dell’Utri, «inconsisten­ti e frutto di inammissibili congettu­re »).A ciò aggiungeteci la quinta tratta­tiva, nuova di qualche settimana, av­viata nel 2003 per l’arresto, o meglio una resa condizionata, del capomafia Provenzano. Nel festival della trattativa perenne ce l’hanno messa tutta per retrodatare la nascita di Forza Italia agli inizi del ’93 così da farla combaciare con le pri­ma bombe di maggio a Roma e Firen­ze, e le seconde di luglio a Milano e Ro­ma. Prove? Pochine. Qualche pentito (Brusca che cerca di avvicinare Manga­no a settembre ’ 93, molto dopo le stra­gi, quando scopre dall’ Espresso che lo stalliere lavora ad Arcore) e qualche li­bro di politica contraddetti da testimo­ni come l’ex presidente Cossiga che parla di Forza Italia nata i primi mesi del’94. Eppoi c’è un interrogatorio di un ex consigliere politico di Berlusco­ni, tale Paolo Cartotto (riesumato in queste ore per dimostrare l’esistenza della trattativa con la pubblicazione di un’intercettazione del 2011 nella qua­le si metteva d’accordo per un appun­tamento con Berlusconi a cavallo del faccia a faccia coi pm di Palermo) che fa cenno a una «intenzione» di Del­l’Utri di scendere in campo «matura­ta » a maggio-giugno ’92, un mese pri­ma della strage di Capaci. L’ipotesi fa a cazzotti con la storia e con la sentenza nissena che ha archiviato Berlusconi e Dell’Utri quali mandanti esterni delle stragi. Non regge nemmeno con la suc­cessiva sentenza di Firenze dell’otto­bre 2011 sulle stragi del ’ 93 (quando go­vernava il centrosinistra) che ha spedi­to all’ergastolo il boss di Brancaccio, Francesco Tagliavia, laddove si scrive che la trattativa fra Stato e Mafia «certa­mente vi fu» come dimostrano i prov­vedimenti morbidi sul 41 bis, ma For­za Italia non ebbe alcun ruolo come mandante o ispiratrice delle stragi né Dell’Utri fu il referente di Cosa nostra presso Berlusconi. E che dire del pro­cesso ( da rifare) al senatore siciliano il cui presunto concorso esterno alla ma­fia, per i giudici,scade nel ’92,a due an­ni dalla costituzione di Fi, a uno dalle stragi del ’93. Nonostante sia chiaro a ciechi e sor­di c­he l’allentamento del 41 bis è avve­nuto col centrosinistra, nella «chiusu­ra inchiesta » palermitana sulla trattati­va troviamo ancora riferimenti a Silvio per il tramite di Dell’Utri quale«interlo­cutore »dei mafiosi dopo l’omicidio di Lima (per conto di chi non si capisce) che agevolò la trattativa fino a Berlu­sconi del ’94. Incredibile. Su questo patto con la mafia il centrosinistra è in­chiodato dai fatti. L’ex ministro Manci­no (indagato) finisce prima nei guai per colpa dell’ex collega Martelli (ondi­vago e tardivo sulle sue dichiarazioni sul Ros, accusato dal direttore delle carceri Nicolò Amato di aver detto no a 5mila provvedimenti di 41 bis per i boss) e quindi viene beccato mentre chiede a Napolitano di intervenire sui pm di Palermo. Per tenere in vita il centrodestra re­stano, si fa per dire, i collaboranti Bru­sca, Spatuzza e Ciancimino. Ma i fatti, riscontrati, raccontano questa verità: Cosa nostra ottiene l’ammorbidimen­to del carcere duro nel 1993, con Oscar Luigi Scalfaro già salito al Colle sull’on­da degli attentati a Falcone e Borselli­no. Al governo c’è Carlo Azeglio Ciam­pi, il Guardasigilli è Giovanni Conso (indagato), ed è lui che firma la revoca del carcere duro a oltre 400 mafiosi do­po la cacciata dell’ex capo del Dap Amato ad opera di Scalfaro perché no­toriamente contrario a rivedere le sue politiche carcerarie denunciate in una lettera allo stesso capo dello Stato in­viata da un gruppo di mafiosi («signor presidente, se chi sta in cella muore, è colpa sua»). Scalfaro, interrogato, ha detto di non aver mai saputo nulla del­la sostituzione di Amato. Falso, secon­do due cappellani delle carceri che hanno ammesso il ruolo di regista di Oscar nel defenestramento di Amato e nella nomina di un successore meno talebano. E Conso? Ha ritrovato la memoria l’anno scorso, con ciò smentendo quanto dichiarato nel 2002 ai pm di Fi­renze ( «sono stato sempre contrario al 41 bis») e quanto scritto nel rapporto conclusivo del governo Ciampi («il 41 bis è rimasto inalterato nella sua strut­tura e funzione »). Nel 2011 in commis­sione antimafia ha confessato le revo­che del carcere duro «per frenare la mi­naccia delle stragi» aggiungendo che fece tutto da solo. Non disse niente a Ciampi (che mai, nemmeno in futuro, fiatò sulle quelle revoche). Disse qual­cosa a Mancino, che però lo smentisce (a sentire Brusca l’ex ministro dell’In­terno usò la mafia e poi la tradì da refe­rente di Riina). Non una parola sulle due lettere ricevute dal Ros di Mori nel­le qu­ali si chiedeva a tutti i costi il man­tenimento del 41 bis per i mafiosi. Ciampi ha spiegato che le stragi del ’93 erano contro di lui e dopo la decisione in «solitaria» di Conso, governò tran­quillo fino a scadenza mandato nel maggio ‘94. Quando a sorpresa sbucò quell’outsider Silvio Berlusconi che ro­vinò i programmi del centrosinistra, si­curo di vincere sulla scia di Tangento­poli e delle inchieste su Andreotti. Col senno di poi, con le evidenze dei fatti concreti, occorre chiedersi: cui prodest ? A chi giovarono le bombe del ’92? Perché non ne esplosero più dopo le revoche del governo Ciampi? Un in­dizio potrebbe ritrovarsi in ciò che in tempi non sospetti disse candidamen­te il pentito Giovanni Brusca (cui ven­nero concessi i benefici di legge solo dopo aver tirato in ballo i carabinieri del Ros). Il pentito, già al centro di viva­ci polemiche per aver viaggiato sullo stesso aereo dell’ex presidente della commissione antimafia Violante (un altro che sulla trattativa non ha fatto una gran bella figura) al processo Del­l’Utri, parlando di stragi, se ne è uscito così: «La sinistra sapeva». Sapeva della trattativa e sapeva pure delle bombe?