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 2012  giugno 27 Mercoledì calendario

Nella tempesta globale quali numeri ci salveranno? - A proud company falters», una società orgogliosa vacilla, titolò il «New York Times»

Nella tempesta globale quali numeri ci salveranno? - A proud company falters», una società orgogliosa vacilla, titolò il «New York Times». Era il settembre 2008, quando la banca d’affari Lehman Brothers fece bancarotta, innescando il più grave crack nella storia. Le immagini di quei giorni, con i colletti bianchi licenziati e gli effetti personali in scatole di cartone, ammoniscono che qualcosa di fondamentale non venne compreso. Eppure, teorie scientifiche su come acquistare e vendere azioni, indicazioni matematiche su come si dovrebbero comportare gli «agenti economici» (dai traders alle banche) e ricette economiche su come affrontare le recessioni ce n’erano eccome. Fin dagli Anni 80 computer programmati secondo quelle regole avevano preso piede nel gestire gli immensi flussi di denaro che si spostano da un continente all’altro, rendendo sempre più marginali gli umani. Poi, il crollo di Lehamn ha riportato il sistema all’«ora zero» e la crisi è testimone dell’inadeguatezza di molte scienze, considerate il Graal dell’economia. Dove si è sbagliato? Ci si è affidati troppo ai numeri? «Niente affatto - ribatte Jean Philippe Bouchaud dell’Ecole Polytecnique di Parigi e capo del Capital Fund Management -. Il problema è quale matematica usare. L’idea che mercati sempre più deregolamentati conducano verso situazioni ottimali e che le crisi avvengano solo a causa di perturbazioni esterne è elegante ed è alla base della teoria classica: purtroppo è sotto gli occhi di tutti che le cose non stanno così». I dati - continua - «dicono una cosa diversa: se si vuole uscire dalla crisi, l’approccio dev’essere sempre matematico, ma deve rifarsi alla teoria dei fenomeni emergenti e alla meccanica statistica». Bouchaud illustrerà le teorie sulla predicibilità dell’attuale crisi in una conferenza organizzata oggi a Bologna e che vedrà un serrato confronto con l’economista politico Erik Jones della John Hopkins University, il tutto nell’alveo del convegno internazionale «Disorder in Probability and Statistical Mechanics», organizzato dall’Università di Modena e Reggio Emilia e dall’ Alma Mater di Bologna con il supporto della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. «L’idea dell’incontro - racconta Pierluigi Contucci dell’Università di Bologna - è nata dalla considerazione che tutto sta cambiando. Una volta c’era l’investimento sicuro: il mattone, l’oro, i diamanti. Ma l’economia basata su lenti scambi locali e piccoli mercati stabili ha lasciato il posto a un’altra, globale, di altissima complessità, in cui gli effetti a catena si susseguono continuamente. La necessità di affrontare i pericoli connessi alle sue instabilità e crisi - prosegue Contucci - ha favorito il dialogo tra culture diverse: ecco perché abbiamo pensato a due riflessioni sulle nuove prospettive, una dal punto di vista delle scienze "dure", fisico-matematiche, e l’altra da quello delle scienze "morbide", politico-sociali». La convinzione di molti ricercatori è la stessa di Bouchaud e Contucci. Ora la meccanica statistica - che studia i rapporti fra dimensioni microscopiche e macroscopiche, utilizzata dai fisici per spiegare le proprietà di un gas - può fornire molte risposte: indaga la crisi non come evento esterno, semmai come il prodotto di interazioni intrinseche delle innumerevoli componenti del sistema. «Ma l’obiettivo non è solo la finanza, - sostiene Cristian Giardinà che, assieme a Claudio Giberti e Cecilia Vernia, ha curato il simposio -. Lo sforzo è applicare questo approccio a problemi di diversa natura, come l’immigrazione o le campagne di sensibilizzazione ai controlli medici». Con l’obiettivo, anche in questo caso, di portare nelle scienze sociali il rivoluzionario mantra del Nobel Philip Anderson: ridurre il tutto a poche leggi fondamentali non implica la capacità di riuscire a ricostruire l’Universo a partire da quelle leggi. Ecco perché micro e macro richiedono nuove logiche.