MARIO DEAGLIO, La Stampa 27/6/2012, 27 giugno 2012
LO SPAZIO PER MEDIARE C’È ANCORA
I giorni che ci separano dal “decisivo” Consiglio Europeo di Bruxelles scorrono tra grandi cadute (lunedì) e piccoli rimbalzi (martedì) delle Borse mondiali, e in particolare delle Borse europee. E parallelamente si avvicina un altro attesissimo e diversissimo confronto, quello tra le nazionali di calcio di Italia e Germania, che si svolgerà proprio mentre i capi di Stato e di governo europei saranno riuniti nella capitale belga. I leader di Bruxelles sarebbero contenti di un pareggio che farebbe bene all’Europa, le squadre che si affronteranno allo stadio nazionale di Varsavia devono mirare a una vittoria netta che farebbe bene al calcio.
E’ probabilmente più facile che l’obiettivo venga raggiunto a Varsavia e mancato a Bruxelles. In questi ultimi due giorni, incertezze e dichiarazioni, mosse e contromosse hanno aumentato la probabilità che quella di Bruxelles si aggiunga una lunga serie di riunioni interlocutorie, dense di principi, propositi e prediche, senza alcun «pacchetto» di decisioni in grado di diventare operativo in pochi giorni.
La parte tecnica dovrà essere studiata, vagliata, approvata dai Parlamenti nazionali e forse anche dalla severissima corte costituzionale tedesca di Karlsruhe.
Quest’ultima, supremo custode della «germanicità» della Germania e fortemente restia a togliere al Parlamento nazionale la prerogativa di decisioni sovrane sul debito pubblico e a limitare il potere del governo (se mai ne fosse intenzionato) di pagare una parte del debito pubblico altrui. E tutta quest’attività di pesi e contrappesi richiederà settimane, anzi mesi.
Quindi, amici cari – potrebbero dire i convenuti nella capitale belga - arrivederci a dopo le ferie, con l’auspicio che fino alla ripresa dei lavori i mercati tengano e i fondi a difesa dei debiti sovrani risultino sufficienti. Sarebbe naturalmente una grave sconfitta per l’Europa. Del resto, il problema è solo marginalmente l’euro, una moneta con i suoi «fondamentali» a posto, migliori di quelli degli Stati Uniti. Il vero problema è proprio l’Europa. La debolezza non è rappresentata dall’economia europea ma dai politici (e dai cittadini) europei.
Per l’euro, se si lasciano da parte le immagini, troppo drammatizzate dai mezzi di informazioni, di «crollo» e «disintegrazione», la prospettiva è un ribasso sul dollaro e sulle altre monete nell’ordine di 10-15 punti nei prossimi mesi. Siccome contemporaneamente stanno calando i prezzi del petrolio e delle materie prime, l’impatto inflazionistico di questa caduta sarebbe limitato mentre lo stimolo aggiuntivo che ne deriverebbe alle esportazioni potrebbe alleviare sensibilmente la congiuntura negativa in Italia e in Europa. Avremmo insomma un ricostituente naturale, probabilmente migliore di molti ricostituenti artificiali che si stanno affannosamente approntando. Naturalmente non basta questo a risolvere i nostri problemi ma li farebbe passare da una fase dominata dagli eccessi mediatici a uno stato più realistico e costruttivo.
In questo abbassamento di toni, che dovrebbe accompagnarsi a una riduzione delle convulsioni dei mercati, è individuabile lo spazio di una mediazione italiana che non può non tener conto che, quando dice che gli Stati dell’Unione Europea devono mettere i loro conti in ordine, la cancelliera Merkel chiede qualcosa di assolutamente condivisibile e ha ragione al 75 per cento. Ha torto invece, per l’altro 25 per cento ossia quando stringe i tempi di fronte all’evidenza che un riaggiustamento troppo rapido delle finanze pubbliche di molti paesi rischia di far scendere una parte non piccola della loro popolazione a livello di vita da Terzo Mondo.
Il presidente del Consiglio italiano può inserirsi in questo spazio accettando largamente i principi e proponendo una loro diversa attuazione, con una messa in funzione rapida dei meccanismi già approvati per salvare le banche e le finanze pubbliche. Banche e Stati potrebbero fornire la garanzia di una condotta diversa (sancita da un patto fiscale oltre che da un’unione bancaria) e ottenere una concomitante garanzia di poter contare su una rete europea di sicurezza per i loro bilanci.
Così il presidente del Consiglio segnerebbe un punto, forse decisivo, non contro la Germania bensì contro la miopia dei mercati. Ce la farà? E’ difficile dirlo in quanto dovrà vedersela non solo con le esternazioni della Cancelliera Merkel («niente eurobond finché sarò in vita») ma anche con il silenzio del presidente Hollande, tutto sommato più preoccupante. Se qualcuno può ricomporre le lacerazioni franco-tedesche così chiaramente affiorate, si tratta naturalmente di un nonfrancese, non-tedesco, leader di un Paese non irrilevante e che sta facendo con molta rapidità i «compiti a casa». Solo l’Italia corrisponde a questo identikit.
L’Europa «pulita» che, con molta fatica, potrebbe uscire da Bruxelles dovrebbe essere basata anche su un forte mutamento di valori: non si può continuare con banche troppo grandi per non essere salvate e popoli considerati troppo poco importanti per essere lasciati affondare. La speculazione finanziaria non può pretendere di vincere sempre così come i governi non possono pretendere di continuare ad aumentare il debito pubblico. Speriamo che lo spazio tra queste due posizioni possa essere colmato.